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46º anniversario della Humanae Vitae: una nuova visione sull’amore

Vatican Theologians Recognize Miracle Attributed to Paul VI SPO Presse and Kommunikation – it

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Aleteia - pubblicato il 25/07/14

Paolo VI decise di promulgare l'enciclica dopo “mature riflessioni e assidue preghiere”, perché era (ed è) un tema molto polemico

di Salvador Aragonés

I temi della trasmissione della vita e della paternità responsabile sono al centro dell’enciclica Humanae Vitae, promulgata da papa Paolo VI il giorno della festa di San Giacomo (25 luglio) del 1968, 46 anni fa. È stata – e continua ad essere – un’enciclica molto discussa perché affronta problemi sociologicamente “antimoderni” come la difesa della natura umana e la natalità responsabile di fronte al birth control allora tanto di moda. L’enciclica è uno dei documenti del magistero della Chiesa che fungeranno da base per il prossimo Sinodo straordinario sulla famiglia che si celebrerà a ottobre. Paolo VI verrà beatificato in autunno a Roma.

Ricordo che questa enciclica, presentata con conferenze stampa in tutti i Paesi del mondo negli ultimi giorni del luglio 1968, ha suscitato grandi polemiche, non solo nel mondo laico, ma anche tra alcuni teologi, esperti e perfino vescovi, che non ne hanno compreso completamente la base, perché il testo esige amore e responsabilità agli sposi prendendo il Concilio Vaticano II come guida.

Anche L’Osservatore Romano pubblicò alcune critiche provenienti da vescovi degli Stati Uniti e del Canada nell’estate 1968. Paolo VI aveva annunciato già nel testo che l’enciclica avrebbe sollevato un polverone, ma affermava che la Chiesa aveva il dovere di proclamare il suo magistero su ciò che è fondamentale nell’essere dell’uomo creato da Dio, com’è sua natura per come Dio lo ha creato. La Chiesa, come testimonia il Vangelo, è stata sempre “segno di contraddizione” perché ha il dovere di “proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la Chiesa non è stata autrice, né può, quindi, esserne arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete”, afferma l’enciclica.

Il Concilio Vaticano II non ha affrontato il tema della natalità, perché Paolo VI aveva detto che lo avrebbe fatto personalmente. Era un tema assai polemico – e lo è ancora oggi – per via, come si diceva allora, dell’incremento demografico del mondo e delle correnti che favorivano la libertà sessuale, attraverso il controllo artificiale delle nascite. All’epoca si diceva che la popolazione cresceva più velocemente degli alimenti, e che verso il 2020 non ci sarebbe stato più cibo per tutti gli esseri umani. Siamo già alle porte del 2020 e nel mondo c’è cibo in abbondanza, anche se è ripartito molto male. Oggi la demografia non è una questione che allarma l’uomo del XXI secolo.

Il matrimonio e il suo rapporto con la natalità vennero studiati da una commissione “ad hoc”, ma i suoi membri, negli anni Sessanta, non si misero d’accordo, per cui Paolo VI decise di promulgare l’enciclica dopo “mature riflessioni” e molte preghiere per affrontare questo “complesso argomento”. Le basi dottrinali dell’enciclica si rinvengono in primo luogo nella Rivelazione, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, e poi nel magistero della Chiesa, soprattutto nella costituzione pastorale Gaudium et Spes (nn. 49, 50, 51 e 52) del Concilio Vaticano II.

La Humanae Vitae parte dalla base che Dio è amore (Gv 4, 8), che si riflette nell’amore degli sposi tra di loro, attraverso il quale collaborano all’opera della creazione e procreazione ed educazione dei figli. Questa procreazione deve realizzarsi in base alle leggi che Dio ha posto nella natura dell’uomo e della donna, che mediante l’atto coniugale aperto alla vita collaborano con Dio nella procreazione e nell’educazione dei figli.

L’amore coniugale, afferma l’enciclica, “è prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera”, destinato “ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana”. L’amore tra gli sposi è “totale”, “fedele ed esclusivo fino alla morte” e “fecondo”, come testimoniano gli sposi al momento di unirsi in matrimonio. I figli “sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori”.

Quanto al numero di figli, i genitori devono agire in modo maturo con una “paternità responsabile”, che significa da un lato la piena conoscenza delle leggi biologiche che conformano la natura umana, dall’altro la possibilità, per “gravi motivi”, “di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita” utilizzando i periodi non fecondi della donna. “In rapporto alle tendenze dell’istinto e delle passioni”, aggiunge l’enciclica, “la paternità responsabile significa il necessario dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse”.

Il testo afferma che l’unione degli sposi e la procreazione sono inseparabili. L’atto coniugale dev’essere un atto di amore reciproco, di donazione dell’uno all’altro. Un atto “imposto” all’altro coniuge, in genere alla donna, non è quindi un atto d’amore, perché l’amore esige rinuncia e donazione all’altro.

Detto questo, la Humanae Vitae stabilisce le “vie lecite” perché la procreazione segua i piani che Dio ha stabilito per la natura umana. È lecito, quando esistono ragioni importanti, evitare i figli approfittando dei periodi non fertili della donna, ovvero seguendo il processo naturale. Ad ogni modo, bisogna escludere assolutamente la via dell’interruzione del processo generativo, così come l’aborto voluto e procurato. Bisogna anche escludere tutto ciò che rende volontariamente impossibile la procreazione, come la sterilizzazione e l’uso di mezzi artificiali per impedire le nascite. La differenza fondamentale tra i mezzi artificiali e quelli naturali è che i primi impediscono lo sviluppo dei processi naturali, mentre i secondi seguono i processi secondo natura.

Per raggiungere un maggior rispetto e una maggiore difesa della natura dell’uomo come Dio l’ha creata, è necessario creare un ambiente favorevole alla castità nella famiglia, nell’educazione e nella vita pubblica, un ambiente favorevole “al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale”.

La scienza deve studiare maggiormente questo tema. Tanto quanto ha progredito nella conoscenza dell’uomo, dovrebbe avanzare nella conoscenza dei “ritmi naturali” su cui si basa la regolamentazione delle nascite. L’enciclica si rivolge agli scienziati, soprattutto a quelli cattolici, perché indaghino sulla questione e dimostrino empiricamente che “non vi può essere vera contraddizione tra le leggi divine che reggono la trasmissione della vita e quelle che favoriscono un autentico amore coniugale”.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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