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Gli scienziati sono diventati i sacerdoti di una nuova religione dogmatica

How Scientists Became the Priests of Our Brave New World Glen Edelson – it

Glen Edelson

Aleteia - pubblicato il 22/07/14

E i nuovi atei sono i loro chierichetti fanatici
Comte, che ha fondato anche la disciplina della sociologia, è stato uno dei primi a studiare la conoscenza umana come prodotto di forze storiche, ovvero sociali e culturali.
Comte considerava che in una fase iniziale la mente umana si sente attratta da spiegazioni occulte di osservazioni sensoriali, come forze personificate e cause soprannaturali. Progredendo, la conoscenza umana entra in uno stadio “metafisico” diverso: in questo secondo stadio, la mente riformula la sua ricerca di cause in termini razionali, anche se ancora soprannaturali.
Queste due fasi possono essere seguite da una terza e ultima, nella quale la conoscenza diventa propriamente mondana per la prima volta, radicata nei dati positivi dei sensi e nelle manifestazioni derivate da essi. Sarebbe la nascita della scienza moderna, positiva: l'apoteosi della ragione umana.
Anche i nuovi atei vedono la religione come un'espressione di immaturità cognitiva. Richard Dawkins scrive in “The God Delusion” che “c'è qualcosa di infantile nell'idea che qualcuno abbia la responsabilità di dare significato alla tua vita”, e contrappone questa prospettiva alla “visione realmente adulta”.
L'idea comtiana per cui la filosofia tradizionale è stata superata dalla marcia della scienza è diventata popolare negli ultimi tempi. In base a questo raziocinio, l'indagine metafisica è già stata produttiva, ma nella migliore delle ipotesi è rimasta sterile, e nella peggiore si è ridotta a mera distrazione. Mera distrazione da che? Dall'evidenza incontestabile dei nostri sensi, sui quali si basa presumibilmente la conoscenza scientifica. “Tutto ciò che sappiamo è quello che osserviamo con i nostri sensi e strumenti […]. Non abbiamo la minima idea di cosa esista 'realmente' al di là di questo”, scrive Victor Stenger.
Ma i nuovi atei e i loro alleati ideologici evidenziano anche in altri modi la loro volgarizzazione comtiana. Comte non solo cercava di mettere da parte i metodi teologici e metafisici del sapere: voleva sostituirli con la nuova scienza positiva, che chiamò “religione dell'umanità”.
La religione ha bisogno di dottrina; in questo senso, Comte considerava che le conclusioni della “filosofia positiva”, le leggi invariabili della natura, avrebbero potuto sostituire il dogma religioso. Questo avrebbe richiesto un'“evangelizzazione”. In questo modo, affermava che le scoperte scientifiche devono essere sistematizzate ed esposte da una “classe speciale di uomini” che non siano né praticanti delle scienze speciali né analfabeti scientifici. Questo “filosofi positivisti” sarebbero stati i guardiani di un nuovo dogma.
Comte non era ingenuo riguardo allo status epistemologico della conoscenza scientifica. Malgrado la sua enfasi sull'indubitabilità delle scoperte scientiche, ammetteva che potevano al massimo essere approssimazioni umane. Le leggi naturali, scriveva, “vero oggetto della ricerca [scientifica], non potrebbero rimanere rigorosamente compatibili con una ricerca troppo dettagliata”.
Il problema? Se le leggi scientifiche sono solo approssimate, i laici possono perdere la fiducia in esse. Così, credeva Comte, devono essere stabiliti dei limiti alla ricerca scientifica. La “classe speciale di uomini” disincentiverebbe le linee e i metodi di ricerca che possono minare la certezza nella conoscenza scientifica. Comte è andato sufficientemente lontano per condannare il calcolo delle probabilità emergenti, credendo che il probabilismo incoraggiasse l'idea che la conoscenza scientifica è solo “probabile”.
In questo modo, i filosofi positivisti sono stati i guardiani di una “verità nascosta”, riprendendo la nozione medievale per la quale la verità rivelata dalla luce della ragione naturale deve rimanere nascosta alle masse, la cui fede si basa sulla Scrittura.
I nuovi atei possono non condannare l'uso delle probabilità e non stabilire limiti alla ricerca scientifica, ma promuovono, forse senza rendersene conto, la nobile menzogna per la quale la conoscenza scientifica è basata su osservazioni incontestabili. Solo così la scienza potrebbe “rubare il potere alla religione”.
I potenziali pericoli di questo modo di interpretare la scienza sono innumerevoli, ma quello che rivela la storia del positivismo comtiamo è che è la scienza, e non la religione, a perdere maggiormente con questo atteggiamento.
La nuova “religione dell'umanità” sognata da Comte non solo non si è concretizzata, ma la sua nobile menzogna ha avuto l'effetto opposto a quello desiderato. La scienza non è riuscita a mantenere le promesse del positivismo alla fine del XIX secolo, e le persone hanno iniziato a perdere la fiducia nella scienza.
Uno storico ha scritto: “Coloro che hanno divinizzato la scienza […] avevano in comune il dogma fondamentale per cui la ragione umana può, attraverso il 'metodo scientifico', arrivare a conoscere e a comprendere tutto […] Il positivismo ha affrontato anche problemi collegati alle origini e ai fini ultimi, promettendo troppi risultati, soprattutto nei settori morali, sociali e religiosi […] Ma il contrasto tra le promesse e le limitate realizzazioni dello scientismo ha portato a una forte reazione antipositivista”.
Il cosiddetto dibattito sul “fallimento della scienza” ha permeato la cultura francese e ha visto il confronto tra pensatori religiosi e ideologi dello scientismo, tra scettici e razionalisti, minacciando l'egemonia culturale della quale la scienza aveva goduto per buona parte del secolo.
Oggi stiamo assistendo ai nostri dibattiti sul “fallimento della scienza”. I pilastri dell'azione scientifica – la possibilità di riproduzione dei risultati sperimentali e, più di recente e in modo particolare, il processo di peer review – sono stati messi alla berlina, corrodendo la credibilità della scienza. E come all'epoca di Comte, questo dibattito non è una questione accademica, ma ha implicazioni culturali, sociali e politiche più ampie.
Gli scienziati e i loro sostenitori più entusiasti hanno ragione a criticare gli scettici e i credenti religiosi che sfruttano le “lacune” delle teorie scientifiche, le falle nel consenso individuale e la mancanza di prove indiscutibili. Agendo in questo modo, questi scettici mantengono implicitamente la scienza su una base alta in modo impossibile di certezza epistemica. Ma quello che i difensori della scienza spesso non riescono a capire è che sono loro stessi, e non gli scettici, i primi a vendere questa base troppo alta.
Le ragioni sono evidenti. L'idea di scienza indubitabile è confortante non solo a causa dello status epistemico – troppo alto – che essa conferisce alla disciplina, ma anche perché stabilisce limiti chiari e incontestabili tra scienza e “non scienza”. Le nozioni non solo religiose, ma anche “pseudoscientifiche” possono essere fermamente scartate: sono “infantili”, carenti di prove, irrazionali e così via. Nella peggiore delle ipotesi, gli schemi ideologici e politici possono essere giustificati sulla base di fatti scientifici presumibilmente incontestabili.
È difficile convincere il pubblico laico del fatto che certe conclusioni devono essere accettate perché possiedono un alto grado di probabilità e sono valide fino a che non sorge un'interpretazione migliore dei dati che vengono scoperti. Sarebbe più facile affermare la scoperta di un fatto non controverso solo attraverso mezzi di osservazione.
Il problema è che la scienza non arriva ai fatti non controversi solo attraverso i mezzi di osservazione. Essa propone teorie e modelli concettuali per spiegare e interpretare dati empirici, attraverso l'esperimento, l'inferenza e – sì! – l'immaginazione e la speculazione filosofica. Indipendentemente dal fatto che il pubblico laico sia capace di articolare ciò che fa la scienza, è ovvio a molti che le rivendicazioni esagerate fatte tante volte in nome della scienza non hanno base.
Il pericolo di gonfiare in questo modo lo stato della scienza è che le caratteristiche comuni, neutre o anche positive della scienza (il suo atteggiamento sperimentale, la sua apertura alla confutazione, la sua dipendenza da supposizioni extraempiriche, l'interpenetrazione di osservazione e teoria e perfino la difficoltà di riprodurre esperienze fondamentali) diventano lacune, supposizioni da esplorare, ragioni per abbandonare la fede nella scienza in quanto tale.
Anche se l'influenza di Comte resta, la generazione di pensatori successiva ai dibattiti sul “fallimento della scienza” ha esibito un maggior grado di sofisticatezza nella sua comprensione della scienza, producendo alcuni degli scienziati, filosofi e storici della scienza più brillanti del XX secolo. Forse i detriti dei dibattiti attuali sulla scienza e sulla religione forniranno un terreno fertile simile perché si radichi una visione della scienza più sofisticata e umanista. Per iniziare, potremmo cogliere un suggerimento di Comte ed esaminare la nostra storia.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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