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La fecondazione artificiale e l’eterologa: le ragioni di un no

Heterologous artificial insemination – it

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Libertà e Persona - pubblicato il 21/07/14

Nate con lo scopo benefico di curare l’infertilità, queste tecniche stanno virando verso una “medicina dei desideri”

La fecondazione eterologa è un altro passo verso la “medicina dei desideri”. Se i desideri tecnoesaudibili degli adulti li facciamo diventare diritti, il “diritto ad un figlio” non accetterà limitazioni. E’ in corso una normalizzazione culturale per far accettare all’opinione pubblica pratiche che scardinano il significato del procreare umano. Le “leggi di natura” non sono un concetto superato di stampo cattolico. Nelle tecniche di fecondazione artificiale il gesto coniugale è sostituito da quello di un biologo: la scienza tenta di sostituirsi al Creatore, dimenticando il rispetto per i più piccoli.

L’infertilità è diventata un problema sociale: una coppia su quattro non riesce ad avere figli, e soffre. La Chiesa ci insegna però che un fine buono va raggiunto con un mezzo buono. Spostando il concepimento fuori dal grembo della donna, la fecondazione artificiale ha scardinato la procreazione dal rapporto sessuale, approfondendo una scissione che era stata avviata in senso opposto con la contraccezione. La vita umana oggi si accende in laboratorio, fuori dal corpo e dalle relazioni tra i corpi. Nate con lo scopo benefico di curare l’infertilità, queste tecniche stanno virando verso una “medicina dei desideri”: il progresso della ricerca ha infatti aperto enormi possibilità di manipolare il processo riproduttivo. In particolare, le tecniche di tipo eterologo (cioè che utilizzano gameti di un soggetto esterno alla coppia) riescono a soddisfare aneliti sempre più impensabili, offrendo un figlio a coppie sterili, in età avanzata o dello stesso sesso.

Stiamo sacralizzando il desiderio: la direzione è più importante della velocità
Nella società contemporanea, i desideri tecnoesaudibili degli adulti tendono a diventare diritti, presentandoci così un inedito “diritto al figlio” cui chiunque vorrà accedere senza essere discriminato. La rivista Nature ha annunciato che fra trent’anni sarà debellata l’impossibilità di avere figli a causa dell’età. Siamo giunti, spiega Manuela Ceccotti, «dalla possibilità di limitare la procreazione, alla possibilità di procreare al di là di qualunque limite». Dopo la sessualità senza gravidanza (contraccezione), e la gravidanza senza sessualità (fecondazione extracorporea), l’ultimo traguardo sarà quello di far ottenere un figlio senza sessualità né gravidanza: l’utero artificiale, infatti, potrà realizzare il desiderio di maternità a donne che, ad esempio, hanno subìto un’isterectomia. Vien da chiedersi da che parte stiamo andando. Testart, autore della prima bimba francese in provetta, s’interroga sulla china scivolosa di un mercato della riproduzione (La vita in vendita): già nel 1988 pubblicò su Le Monde con altri scienziati un manifesto in cui diceva che «la lucidità deve prevalere sull’efficacia e la direzione sulla velocità».

Dalla procreazione alla produzione di un figlio
Con la fecondazione in vitro si passa dalla procreazione (frutto del gesto sessuale di un uomo e una donna) allaproduzione di un figlio: commissionato ad un’equipe in una logica contrattuale, viene esposto ad un severo sistema di controllo e selezione, cioè un “eugenismo democratico” che tende a scartare il difettoso. Sul fronte dell’eterologa esistono cataloghi per scegliere le caratteristiche genetiche. In questa tecnica il figlio è concepito non soltanto ad opera di un laboratorio ma anche con il coinvolgimento di molteplici genitori, che possono arrivare fino a cinque: la coppia che richiede il figlio alla clinica, un padre biologico dà il seme, una madre biologica fornisce l’ovulo ed una surrogata affitta il proprio utero. Dopo aver separato procreazione e sessualità, così si dissocia la genitorialità dalla biologia: un profondo mutamento nelle relazioni parentali che smonta, come qualcuno ha detto, l’intera architettura dei sentimenti. Il terzo estraneo è eufemisticamente definito “donatore”, ma è espressione di un commercio che arruola di solito persone in difficoltà economica. Negli USA il mercato è fiorente: uomini che hanno donato il proprio sperma per pagarsi gli studi, oggi hanno scoperto di essere padri biologici di un centinaio di figli. In Inghilterra, essendo vietata la compravendita di ovuli, è stata legalizzata la pratica sostituendo “prezzo” con “risarcimento”: cioè un indennizzo per lo stress fisico (pericoloso) che le donatrici hanno dovuto sopportare.

Non è indifferente il modo in cui si è concepiti: lo dice la scienza.
Di fronte a questo progressivo snaturamento del generare umano, prima ancora che dalla Chiesa, le obiezioni e perplessità provengono dalla stessa comunità scientifica dove studi ci dicono che non è indifferente il modo in cui si viene concepiti. L’incidenza di complicanze riscontrate nei “figli della provetta” porta il neonatologo Bellieni a dire che «il problema è clinico prima che etico». L’embrione concepito in vitro, dovendo passare i primi giorni di vita in un laboratorio invece che nelle tube, viene privato di quel fondamentale dialogo biochimico (cross-talk) che s’instaura con la madre fin dalle prime divisioni cellulari: l’epigenetica (analizzando le interazioni tra ambiente esterno e DNA) suggerisce che la manipolazione dell’embrione in queste delicatissime favorirebbe difetti d’imprinting genomico. Anche la psicanalisi si occupa del fenomeno: Bayle (L’embryon sur le divan) studia la psicopatologia del concepimento umano e s’interroga su quale impatto avrà nelle generazioni il nuovo “scenario concezionale”: «sarebbe imprudente banalizzare l’essere concepiti in modo desessualizzato, l’introduzione di un terzo nella procreazione, la costituzione di segreti sull’origine». C’è una «dissipazione di responsabilità» spiega lo psichiatra francese, in cui il medico «diventa l’architetto del destino senza essere in grado di prendersi la responsabilità di ciò». L’Authority bioetica inglese afferma che «non dobbiamo giocare alla lotteria con le generazioni future»: certi fallimenti delle nuove tecnologie possono rivelarsi «catastrofici e creare angosce non dette e vite danneggiate per sempre». Il governo britannico, dopo aver imposto l’anonimato alla donazione di gameti, nel 2004 dovette cambiare linea quando un gruppo di figli dell’eterologa ottenne dal tribunale la possibilità di conoscere il nome del proprio padre. Nelle memorie depositate dai ragazzi emerge una certa rabbia: «è una sana e normale risposta ad una deliberata inflizione di una pena: una metà della mia identità ancestrale mi è stata deliberatamente nascosta, causandomi una pena immensa». La gente, scrivono, «pensa che sia normale portarsi dietro questa situazione per tutta la vita», mentre invece «è un handicap nell’identità personale, deliberatamente costruito attorno alla tua vita. E non basta dire ad un bambino la verità perché cancelli le sue radici biologiche».

La voce della Chiesa e le leggi della natura, contro i “nuovi paradigmi riproduttivi”
Per legittimare certe pratiche occorre consenso sociale. Così oggi assistiamo ad una normalizzazione culturale che passa dal dolorismo di rotocalchi e salotti tv, dove star e persone comuni raccontano, con il loro bimbo in braccio, come hanno coronato un sogno e sconfitto la sofferenza. Ed è significativo che a trent’anni di distanza sia stato assegnato il Nobel all’inventore di queste tecniche, che hanno visto nascere nel mondo cinque milioni di figli. E’ un contesto ottimistico dove la voce del magistero può sembrare un fastidioso intralcio al progresso di una scienza che proclama “nuovi paradigmi riproduttivi” e considera le leggi di natura un concetto culturale e superato. La Chiesa “esperta di umanità” (Paolo VI) rimane invece ancorata al concetto di creaturalità, invitandoci ad accettare i limiti e le leggi della nostra natura. Continua a pensare che quelle leggi esistono, come esiste una verità sull’uomo. «Il paese deve progredire, ma si deve progredire rispettando le regole della natura. Sta a noi capire meglio quelle che sono le leggi della natura»: non era il Papa a parlare, ma il Presidente della Repubblica che pochi anni fa ci ricordava la tragedia del Vajont. L’artificialità può essere cosa buona: una diga, un farmaco, la chirurgia. Diventa moralmente illecita quando non si pone a servizio della persona e della sua dignità. La fecondazione artificiale, oltre a sacrificare sistematicamente piccoli esseri umani (9 embrioni ogni “bimbo in braccio”), degrada l’altissima dignità della procreazione, fondata per natura sul linguaggio del corpo: diventando addirittura superfluo, l’atto coniugale non viene “assistito” ma “sostituito” dal gesto di un tecnico. Nelle pratiche eterologhe, l’introduzione di un esterno alla coppia rompe anche l’unità del matrimonio: la reciproca fedeltà esige infatti di «diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro» (Donum vitae). C’è chi tenta impropriamente di accostare l’eterologa all’adozione. E’ vero che si può restare senza padre per cause naturali, ed il padre adottivo che ci cresce e ci ama è diverso da quello che ci ha concepito: invece, spiega Bellieni, nell’eterologa «del padre compare solo il seme, lasciando un vuoto, ma un vuoto pianificato, voluto, “normale”, tanto che al figlio viene sottratto anche il diritto di piangerne l’assenza. Il padre eterologo è diverso dal padre fuggiasco: il secondo è più colpevole, ma il primo ferisce di più perché, a differenza dell’altro, non ha voluto avere a che fare neanche con il concepimento; non ha mai amato, neanche in maniera sbagliata; è un padre per il quale il figlio è solo una fonte di reddito». Gli adulti hanno il dovere di concepire i figli in modo conforme alla loro dignità, rispettandone il naturale diritto: di nascere, di avere un padre ed una madre, di avere un’identità e radici, di non essere considerati oggetto di proprietà o prodotti di un procedimento. Perché i figli non sono un diritto: “i figli sono un dono” (Salmo 127). Anche se, precisa il magistero, il modo in cui un bambino è venuto al mondo non ne cambia affatto il valore.

Il counseling sulla fertilità e la pastorale della vicinanza
Diversi sono i luoghi dove le coppie possono approfondire la dottrina della Chiesa in questa delicata materia. “Casa Betlemme” è la storica opera fondata nel 1964 dall’ostetrica Flora Gualdani: essendo sempre più le coppie che si avvicinano ai metodi naturali cercando una gravidanza, anni fa ha attivato l’equipe “olio sulle ferite” per offrire ascolto e orientamento in modo qualificato e gratuito. Aiutando i coniugi a districarsi in un complesso percorso clinico, diamo sostegno affettivo e accompagnamento spirituale, fondamentali nel loro cammino di sofferenza. I metodi naturali sono un primo livello importante nella diagnosi d’infertilità: in rete con il mondo accademico, quando emergono segni di patologia indirizziamo i coniugi al Policlinico Gemelli presso l’I.S.I., un centro internazionale specializzato nella cura dell’infertilità con ottimi risultati. Accanto a Flora ho toccato con mano i frutti silenziosi di questo servizio alle coppie. Spesso portano con sé disorientamento e disinformazione sull’insegnamento del magistero, così forniamo loro la necessaria alfabetizzazione bioetica: è un «cammino di consapevolezza integrato nella teologia del corpo», spiega la fondatrice, in cui «le persone scoprono la propria fecondità come una dimensione che va oltre la fertilità biologica, aprendosi a nuovi orizzonti e superando le tensioni». I percorsi della fecondazione artificiale sono infatti caratterizzati da un pesante stress psicofisico che può lacerare la relazione tra i coniugi, il cui ruolo è ridotto a fornitori di gameti.

Testimoni di speranza. Alcune storie per riflettere.
Lucia e Simone (i nomi sono di fantasia), trascorrono i primi anni di matrimonio nell’aspettativa di una gravidanza che però non arriva. Il dubbio di una patologia inizia a insinuarsi e lentamente logora gli equilibri di coppia: «dopo un‘operazione a fini diagnostici ci fu formulata una spietata “sentenza” di sterilità che dicevano superabile, forse, con tecniche FIVET o ICSI». Questa situazione, racconta Lucia, «è pesata drammaticamente sul nostro rapporto». Mentre lei cercava di concepire un figlio si accorge che deve ritrovare suo marito: «c’era da ricostruire il nostro amore seriamente messo alla prova, da risolvere difficoltà di comunicazione che erano intervenute mettendo in discussione persino le nostre promesse». Si fidano della voce della Chiesa e rifiutano l’iter della provetta: «la scelta non è stata facile» anche perché si ritrovano in mezzo ad amici, segnati dallo stesso destino, che invece percorrono l’altro itinerario «e che al momento ci appariva un’allettante scorciatoia». I due mantengono la fiducia «che persino le crisi possano essere principio di rinascita e la certezza che non c’è morte senza Resurrezione». Si rialzano, con buona dose di fatica: «abbiamo percorso tutta la strada della guarigione rielaborando il nostro dolore. La vita e l’amore che abbiamo dentro non possono non generare altra vita, anche se i tempi e i modi possono essere diversi da quelli che pensavamo all’inizio perché sono i tempi dell’adozione. Passata la tempesta ci ritroviamo più forti, consapevoli e innamorati. I figli che ci saranno donati cresceranno nutrendosi del nostro stesso amore rigenerato». Oggi Lucia e Simone sono felici genitori adottivi. Anche Marta e Antonio dopo due anni di matrimonio si ritrovano con accertamenti non buoni: «è stato un trauma, non riuscivamo a crederci». Loro accettano la proposta della fecondazione in vitro: «non c’era tempo per avere dubbi». Alle iniezioni di gonadotropine seguono continue trasferte per i controlli in ospedale: «ero comunque fortunata, avevo tempo e disponibilità economiche per poterlo fare. Abbiamo speso migliaia di euro. Alla fine della stimolazione ormonale le mie ovaie avevano prodotto 16 ovuli! Una donna non li produce neanche in un anno. Non avevo più forze, sentivo un gran dolore all’addome e le punture mi avevano provocato ematomi sulla pancia. Intanto mi domandavo se un bambino potesse venire al mondo così. Avevo sempre creduto che fosse il frutto della gioia e dell’amore e non di un laboratorio». Il trasferimento degli embrioni non ha effetto e i due rinunciano a un secondo tentativo. Sentono parlare del metodo Billings e arrivano a Casa Betlemme: «ho imparato a cogliere tutti quei segnali che il mio corpo mi dava ma che nessuno fino ad allora mi aveva insegnato a comprendere». Ritrovano serenità e intimità, vengono orientati a tecniche di cura dell’infertilità e intanto avviano le pratiche al Tribunale per i minori. Arriva l’adozione: «conoscere e stare con il nostro bambino è stato come vivere una nuova vita, come se tutto quello successo prima non fosse mai accaduto». Un pensiero anche per la mamma naturale di loro figlio: «non potremo mai sapere il motivo, ma qualunque sia stato, ha permesso alla nostra creatura di avere un’altra possibilità. Anche questo è stato un atto d’amore». Oggi, raccontano, «il dolore e la rabbia non ci sono più, l’amore ha prevalso e il frutto di così tanto amore ha generato una nuova vita»: è giunta in dono, infatti, un’ inaspettata gravidanza.

Un’ostetrica che ci richiama al Vangelo: “Ecce concipies in utero
Anche Pamela e Daniele approdano con il loro calvario alla scuola di Casa Betlemme: «abbiamo passato anni da una clinica all’altra. In quei corridoi dividevamo lo stesso destino con tante coppie chiuse dentro il loro dolore». Quante cose potrei raccontare, dice lei, «sulle modalità di svolgere gli esami. Umiliarono così tanto mio marito che era sempre più chiara la consapevolezza di un’altra via tracciata da Dio per noi». Anch’essi maturano la scelta dell’adozione e, abbracciando la loro bambina, arrivano a «benedire quella sterilità». Molte altre sono le storie luminose che Flora Gualdani conserva nel suo “confessionale ostetrico”. Tra fede e ragione, il suo stile ci riporta alla sapienza di Dio, “Ecce, concipies in utero”: «le parole dell’evangelista Luca, medico, suonano come un richiamo preciso all’uomo post moderno che considera normale concepire figli in provetta». Quando gli aiuti non bastano e la natura dice “no”, sottolinea l’ostetrica toscana, «invece che far violenza alle sue leggi esiste un’alternativa: la maternità adottiva e affidataria. Gli sposi qui non delegano alle mani di un tecnico il loro atto coniugale. Ed è una strada che non sacrifica esseri umani in nome dei desideri degli adulti ma, al contrario, restituisce calore a piccoli innocenti che esistono già e che aspettano di essere amati da un padre ed una madre». Le riflessioni di Flora sono il frutto di una personale esperienza sul campo, lunga ormai mezzo secolo. La ritroviamo distillata in forma poetica così, in uno dei suoi scritti: “…di voi posso dirmi mamma./ Il mio utero non vi ha generati,/ ma non per questo vi ho meno amati…”.

L'insegnamento bioetico del magistero
La posizione della Chiesa cattolica, contraria alle tecniche di fecondazione artificiale (tra cui quelle eterologhe), trova spiegazione nelle Istruzioni Donum vitae (1987) e Dignitas personae (2008). L’ISI (Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di Ricerca sulla Fertilità e Infertilità Umana per una Procreazione Responsabile) presso il Policlinico A. Gemelli di Roma è centro di riferimento per la cura dell’infertilità in linea con gli insegnamenti del magistero. L’autrice dell’articolo ha discusso una tesi di baccalaureato in bioetica all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Beato Gregorio X” di Arezzo, collegato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale dal titolo “La procreazione medicalmente assistita: questioni scientifiche, antropologiche, etiche e pastorali” vincendo il Premio “Achille Dedè” (Verona 2011) promosso dalla Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità. Per altre testimonianze come quelle citate si può far riferimento ai testi: M. Griffini, Sterilità feconda: un cammino di grazia (ed. Àncora, Milano 2009) e A.M. Cosentino, Testimoni di speranza. Fertilità e infertilità: dai segni ai significati (ed. Cantagalli, Siena 2008). Questo libro ha vinto il premio letterario Donna Verità e Società «per aver mostrato il valore umano e sociale del talento naturale della femminilità» (Pontremoli 2009).

info@casabetlemme.it

Per gentile concessione di “Punto Famiglia”, bimestrale di pastorale della famiglia, settembre-ottobre 2012 n. 5 anno VII (www.puntofamiglia.net)

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