Una parte considerevole della comunità scientifica attuale sente la necessità di considerare Dio un elemento inseparabile dalle ricerche scientifiche
La preponderanza conferita alle scienze naturali in Occidente negli ultimi secoli ha portato l’uomo contemporaneo a considerare il mondo in modo “asettico”, per non dire ateo.
In questo modo, in base a uno stato di spirito molto diffuso, l’unica maniera adeguata di conoscere a fondo la Creazione sarebbe assumere di fronte ad essa l’atteggiamento cartesiano di dubbio permanente, senza introdurre nell’analisi scientifica alcuna idea preconcetta.
La condizione per il progresso sarebbe allora mantenere la fisica e la metafisica separate da un muro invalicabile, perché Dio, nel caso in cui esistesse, sarebbe uno spirito informe sparso per l’universo, o qualcosa di simile a un ingegnere che poi si è disinteressato del funzionamento della macchina da lui costruita. La sua influenza sui meccanismi regolatori del cosmo sarebbe completamente nulla.
Ora, se da un lato non si può negare che i progressi ottenuti dall’applicazione del metodo scientifico abbiano portato innegabili benefici materiali all’uomo, dall’altro il fascino esacerbato per i mille vantaggi che fornisce può facilmente far sì che la scienza prenda il posto di Dio nel cuore dell’uomo.
È ciò che è avvenuto in certi ambienti accademici del mondo contemporaneo, che in nome del positivismo hanno trasformato la conoscenza in una sorta di dio onnipotente dal quale aspettarsi la cura di tutte le malattie, perfino l’esenzione dalla morte, e un torrente inesauribile di piaceri sempre più intensi e sofisticati.
La situazione non è nuova nella storia. Forse lo stesso San Giovanni Evangelista, se vivesse ai nostri giorni, troverebbe tratti di somiglianza tra una o l’altra corrente di pensiero odierna e lo gnosticismo che ha dovuto combattere all’interno del cristianesimo delle origini.
Oggi, nel frattempo, non è necessario ricorrere a raziocini filosofici per smentire questo stato di spirito, perché scoperte scientifiche recenti in vari settori puntano con enfasi crescente verso la necessità dell’esistenza di un Creatore. Dichiararsi atei sta diventanto scorretto a livello scientifico.
Tra i tanti esempi, richiama l’attenzione il parallelismo tra la teoria del Big Bang, oggi accettata dalla maggior parte della comunità scientifica, e la dottrina della Creazione.
In questo senso, afferma l’astronomo, fisico e cosmologo della NASA Robert Jastrow, “gli elementi essenziali della versione astronomica e della storia biblica della Genesi sono gli stessi” [1].
Tornando più avanti nello stesso libro al tema del Big Bang, l’esperto argomenta: “Consideriamo l’enormità del problema: la scienza ha dimostrato che l’universo ha avuto origine da un’esplosione. Domanda: quale causa ha prodotto tale effetto? Chi o cosa ha posto la materia o l’energia dentro l’universo? E la scienza non può rispondere a queste domande” [2].
Un altro esempio delle domande senza risposta presentate alla scienza è dato, con grande vivacità, dall’astronomo britannico Sir Fred Hoyle: “La vita non può aver avuto un inizio aleatorio […]. Esistono circa 10.000 enzimi, e la possibilità di ottenerli tutti in un’esperienza aleatoria è appena una su 1.040.000, una probabilità così drammaticamente bassa che non dovrebbe verificarsi neanche nel caso in cui il mondo intero fosse un brodo di coltura” [3]. Ciò significa che si impone la necessità di un Creatore.
Significativa è anche un’altra testimonianza dello stesso scienziato: “Immaginate che un tornado passi su un deposito di residui in cui sono ammucchiati in totale disordine tutti i pezzi di un Boeing 747. Quale sarebbe la possibilità che, dopo il suo passaggio, restasse nel deposito un Boeing 747 ben montato e pronto per volare? Del tutto irrilevante, anche se il tornado avesse attraversato depositi sufficienti a riempire l’universo” [4].