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State vivendo davvero?

Still a Life Worth Living – it

CC Toshimasa Ishibashi

padre Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 09/07/14

È vivere e morire, un po' in ogni istante

Vivere è qualcosa di più di veder trascorrere il tempo. Vivere è dare la vita, senza fermare le ore. Disegnare i momenti che costruiscono la mia anima. Accarezzare il vento, come sognare ad occhi aperti, come toccare il vertice, come vivere senza pause, senza paura, senza ombre, senza tristezze.

Vivere davvero. Intensamente. Le cose profonde e quelle passeggere. Il piacere della vita e il dolore più profondo. È toccare le ferite con un rispetto santo, inginocchiati. È guardare al domani, quando albeggia, decifrando i segni, trovando la via.

È conservare tra le dita la luce che abbiamo toccato, o quella che non apprezziamo. È amare senza paura di perdere tutto. È approfittare del momento.

È prendere il volo e cadere ogni notte, stanchi, sfiniti, morti, senza scuse, senza esserci conservati. È pensare che i sogni valgono solo se fioriscono, perché se non lo fanno si perdono e si dimenticano.

È credere che le parole danno vita quando crediamo ad esse nella loro forza creatrice, in quel potere magico che trasforma tutto. È pensare che la mia vita è piccola e necessaria, utile e imprescindibile. Perché siamo unici. Perché valiamo oro.

È essere grati per il sole e sfruttare la tormenta, senza lamentare le perdite, senza sentirsi oppressi. È guardare ciò che dà luce e ricordarsi del passato, assaporandolo, contemplandolo.

È essere grati alla vita per tanti doni e sapere che tutto è positivo, anche il male. È sorridere quando siamo tristi e piangere con chi piange, anche se siamo allegri.

È camminare lentamente, aspettando quelli che ci seguono. È fermarsi ad aspettare, perché è la cosa più sana. Anche se perdiamo il tempo o il posto o il nostro spazio. Perché hanno bisogno di noi, perché non conoscono la strada.

È vivere e morire, un po’ in ogni istante. Soffermarsi davanti al caduto, anche se perdiamo la vita e ci sfugge un po’ il progetto ben tracciato.

È camminare con la ferita, senza pretendere di essere sani, lasciando nelle viscere della terra qualcosa di nostro, la cosa più sacra. È abbracciare e sorridere, alzarsi e cadere.

È costruire un palazzo anche se non vi abitiamo. Disegnare quel cielo che non solcheremo mai. È navigare con calma in un oceano sacro, senza conoscere il destino, senza curarsene molto.

È vivere davvero, perché la menzogna ferisce, senza nascondere le paure, senza occultare le cadute. A testa alta, senza affondare, camminando sempre in avanti.

È toccare la speranza fatta carne nella vita, nelle anime che incontreremo, nelle persone che ci vengono affidate.

È accettare le cose come sono, senza volerle cambiare, senza temere di perderle, senza volerle possedere. È solcare i mari profondi, assaporare la brezza, sorridere alla luce che rivela orizzonti e sostenere la notte che precede il giorno.

È albeggiare con calma e tramontare sorridendo. È vivere e morire, amando a ogni passo. È conservare nella mia anima la luce di ogni giorno.

Credo che la vita sia diversa quando impariamo a viverla con il Signore. Il Signore cammina al nostro fianco. Vivere con Lui significa vivere reclinati sul Suo petto. Come diceva C.S. Lewis, “Se vuoi essere caldo, resta vicino al fuoco. Se vuoi avere gioia, pace, vita eterna, resta vicino a ciò che le possiede”.

Se rimaniamo vicini al Signore sarà tutto più facile. Lì riposeremo. Lì troveremo la pace che tante volte ci manca. Torniamo a Lui. Riposiamo sul suo costato aperto.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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