Il sole continua nel suo giro, imperturbabile. I suoi raggi driblano l’angolo della costruzione e la stanza ne è tutta illuminata. «Mi accorgo di come è grande la sua condivisione – esclama Nicoletta – mi sento di accettare anche questa sfida della vita».
Finalmente respiriamo! Il progetto che le consegno firmato prevede colloqui a cadenza regolare, appuntamenti che puntualmente vengono rispettati. E il tempo vola. Sono stati fatti dei passi verso la famiglia d’origine, ci si è dati da fare e curricula sono stati sparsi dovunque. Un’offerta di lavoro per Marco: periodo di prova e poi un contratto a tempo indeterminato. Non vivono più a Milano. Per il lavoro di Marco a Savona, si sono dovuti trasferire.
Arriva anche il tempo del parto e una telefonata quasi allegra annuncia che Martina è nata. Madre e figlia stanno benissimo. Il patto, però, era che avremmo continuato a tenere la situazione monitorata erogando, da parte nostra, tutti gli aiuti promessi. Martina ha un mese e mezzo quando Nicoletta viene per il colloquio. Mi racconta del parto e di quei primi tempi, ma lo fa in modo stringato.
«Nicoletta, la sento un po’ in tensione. Mi vuole dire?»
«Ecco, sono contenta di raccontare ciò che abbiamo pensato. Il lavoro di Marco va bene. La casa in cui siamo andati ad abitare non è grande ma ci stiamo. La mia famiglia ora è vicina e il mio papà è andato in pensione. Vengono frequentemente a trovarci per darmi una mano con i bambini e mi aiutano anche concretamente. Sa, papà ha percepito la liquidazione; così ci fanno la spesa e portano ciò che serve ai bambini. Sono contenta».
La guardo intensamente. Sento che c’è dell’altro e la sollecito.
«Va bene! Con Marco abbiamo pensato che non solo la nostra piccola è nata ma che le cose sono andate a nostro favore. Così abbiamo deciso che non ci servono più i vostri aiuti preziosi. Averceli offerti ha fatto scattare la molla della speranza e ci ha dato coraggio. Ora, però, possiamo fare in altro modo e siamo sicuri che potrebbero far nascere la speranza in qualcun altro, disperato come lo eravamo noi allora».
Non sono riuscita ad andare oltre al “grazie!” perché sentivo le corde vocali annodate. L’ho stretta, però, in un abbraccio grande e forte, pieno di tutta la riconoscenza, la stima, l’affetto che non volevo andassero dispersi.