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Pericoli del successo e aspetti positivi del fallimento

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Jeffrey Bruno

padre Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 04/07/14

Possiamo essere una roccia solo quando abbiamo sperimentato la crepa, la ferita, l'inciampo, la caduta

A volte ci sentiamo forti, capaci di tutto. Crediamo che tutto inizi con noi. Vogliamo controllare la vita perché se non siamo presenti le cose non vanno bene. Abbiamo conosciuto il successo, baciato la fama, accarezzato la gloria.

In quei momenti il potere ci dà alla testa e lo sguardo si annebbia. La vanità e l’orgoglio si impadroniscono di noi. È la tentazione più costante dell’uomo. Crederci capaci di tutto. Sentirci potenti.

Diventiamo esseri individualisti alla ricerca di trionfi. Ci costa delegare, avere fiducia negli altri. Ci rinchiudiamo nelle nostre forze. Diventiamo rocciosi, duri, impenetrabili.

Ci allontaniamo dagli altri che sentono il nostro potere e si distanziano. La vanità ci fa disprezzare i deboli e ignorare chi non conta. Quanto è facile cadere in questa tentazione! Rifiutiamo i deboli, disprezziamo gli umili.

Non ci facciamo mai aiutare. Ci costa accettare le critiche. Pensiamo di fare tutto bene e che sono gli altri a sbagliare. Non vogliamo cambiare nulla. Sono gli altri che devono migliorare. Noi riusciamo a fare tutto.

Molte volte viviamo così. Siamo impenetrabili. Sembriamo perfetti, ci sentiamo perfetti, ci vedono come esseri perfetti.

Lo sguardo di Gesù e di Pietro ci commuove sempre nuovamente. Un prima e un dopo. Il tempo si ferma. Lo sguardo del perdono. Lo sguardo del desiderio. Le lacrime. Il silenzio. Non ci sono rimproveri. Non c’è ritorno. Semplicemente lacrime nella notte. Voce messa a tacere. Tristezza. Lo stesso sguardo di Gesù su di noi ogni volta che cadiamo.

Una poesia di Ernestina de Champurcín illustra questo momento: «Un giorno mi hai guardato / come hai guardato Pietro. / I miei occhi non ti hanno visto, / ma ho sentito che il cielo / scendeva fino alle mie mani. / Che lotta di silenzi / hanno scatenato nella notte / il tuo amore e il mio desiderio! / Un giorno mi hai guardato / e sento ancora / l’impronta di quel pianto / che mi ha arso dentro. / Vado ancora per le strade / sognando quell’incontro, / Un giorno mi hai guardato / come hai guardato Pietro».

Un incontro che è stato un “disincontro”. Un desiderio insoddisfatto. Una ricerca fallita. Sguardi che hanno smesso di incontrarsi. Forse Gesù ha potuto seguire Pietro con lo sguardo mentre si allontanava. Forse è stato Pietro a soffermare il proprio sguardo su Cristo mentre lo portavano via. Non lo sappiamo.

Ci è chiaro solo l’istante eterno dell’incontro. Gli sguardi confusi. Il dolore dell’anima. Ci sono momenti che restano registrati per sempre nella memoria, nel profondo dell’anima. Lo sappiamo.

Ci sono incontri e “disincontri” nella nostra vita in cui gli sguardi ci aiutano a decifrare l’istante. Guardiamo. Siamo stati guardati. Dolore. Tristezza. Pentimento.

Una persona diceva: «Suppongo che non ci sia pentimento maggiore di quello di poter restare in silenzio, accettando solamente. Resto così, e il silenzio del dolore mi sta riempiendo».

Paura senza parole. Anche se ci sarebbero molte domande nell’anima di Pietro. Chi sei, Gesù? È la domanda che fluttua nell’aria. Due uomini che si allontanano.

Pietro aveva paura. Negava, fuggiva. Voleva stare vicino e lontano allo stesso tempo. Amava e rinnegava. Voleva tutto e preferiva non avere nulla. Paura.

Ci sono istanti che ci cambiano la vita per sempre. Gesù ci guarda. Lo fa in modi diversi. Ci viene incontro quando ci allontaniamo con paura. A volte non lo vediamo. Egli ci guarda. Noi ci allontaniamo. Egli continua la via seguendo le nostre orme. Questo momento mi emoziona sempre. Quanto sarebbe cambiata la vita di Pietro dopo quello sguardo!

Possiamo essere una roccia solo quando abbiamo sperimentato la crepa, la ferita, l’inciampo, la caduta. Pietro cade, e il dolore delle sue lacrime spezza la roccia. Caduto e spezzato come Saulo sulla via.

Caduto e spezzato, ferito nell’orgoglio, Pietro capisce dove inizia la salvezza. Prima non poteva seguire Gesù. Ora, benedetto paradosso, può seguire i suoi passi verso la croce.

Pietro e Paolo sono stati uniti dalla croce di Gesù. Non c’erano quel giorno. Gesù è morto abbandonato, senza Pietro e senza Paolo. Pietro lo ha rinnegato. Paolo lo ha perseguitato. Non erano accanto a Maria il pomeriggio del Venerdì Santo.

La ferita del costato di Gesù è la ferita di Pietro e di Paolo. La condividono. Non erano con Lui quando Egli cercava l’amore degli uomini. Erano lontani. Quanto è difficile accettarlo e perdonarsi! Che grande dolore!

Pietro aveva giurato fedeltà. Era l’amore della sua vita, quello che ha dato senso alla sua storia e aveva trasformato il suo cuore. Quanto è stato codardo e fragile quella notte!

Non si è avvicinato a consolarlo quando ha detto che aveva sete, non gli ha dato in quel momento l’abbraccio di un amico, il suo “sì” fedele. Non è stato capace di proteggere Maria come ha fatto Giovanni.

Pietro è fuggito. La sua promessa di seguire Gesù fino alla morte che aveva espresso quella notte nel Cenacolo è svanita nel nulla. Egli, che era salito sul Tabor con Gesù, che era andato nell’Orto degli Ulivi, che aveva visto tanti miracoli, che aveva camminato con Lui sulle acque, aveva fallito. Sembrava impossibile. La paura di Pietro. Il suo orgoglio ferito. Il dolore per non essere stato con Gesù.

Quante volte non ci perdoniamo per le cose che abbiamo fatto male! Falliamo e cadiamo. Non siamo stati dove dovevamo essere. Non siamo stati fedeli a ciò che avevamo promesso. Non siamo stati ai piedi della sua croce.

Pietro e Paolo hanno condiviso l’esperienza d’amore più forte che si possa provare. Perché hanno fallito e poi hanno conosciuto nella propria vita la profondità dell’amore di Gesù. La ferita è il segno dell’amore di Gesù. È stata questa la base della loro vita. Quell’amore impossibile.

Hanno ascoltato da Gesù quello che scrivevauna persona: «Guiderò con la mia luce le tue notti più oscure. Sosterrò con le mie braccia rotte le tue cadute. Sanerò con il mio costato aperto le tue ferite. Colmerò con la mia ricchezza la tua povertà. Placherò la tua sede con la mia fonte di acqua viva, e la tua fame con il mio pane spezzato. Calmerò le tue sofferenze con il mio amore. Ingrandirò la tua piccolezza, trasformerò il tuo cuore meschino. Ti avvicinerò un po’ di più al cielo, ogni volta che senza sapere dove ti porto camminerai al mio fianco».

Hanno vissuto il perdono senza condizioni, l’abbraccio senza rimproveri, la sua tenerezza, la sua misericordia. E Gesù ha messo nelle loro mani la Chiesa. Ha confidato in Pietro in quanto roccia, e in Paolo in quanto fuoco evangelizzatore.

Ora sì, perdonati, umiliati, vinti, potevano seguire Gesù ed essere colonne. “Mi ami? Sì, Signore, Tu sai tutto, Tu sia quanto ti amo”. Sapevano di essere sostenuti dall’amore ferito di Gesù. Quell’amore li ha resi forti e fedeli.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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