Se si resta sacerdote per tutta la vita, questo vale anche se un prete si sposa?
È vero che il sacerdote, anche se «spretato», può comunque amministrare i Sacramenti? Se si resta sacerdote per tutta la vita, questo vale anche se un prete si sposa? Lo stesso principio vale anche per le suore?
Lettera firmata
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.
Le domande del nostro Lettore richiedono prima di tutto alcuni necessari ed elementari chiarimenti. Esse richiamano per alcuni aspetti il quesito dal titolo «Il prete rimane sacerdote per sempre?», che fu posto al P. Valerio Mauro in questa rubrica dell’11 giugno 2008.
L’ordine è il sacramento che per istituzione divina segna con carattere indelebile alcuni tra i fedeli costituendoli ministri sacri, consacrati e deputati a pascere il popolo di Dio, adempiendo ciascuno nel suo specifico grado le funzioni di insegnare, santificare e governare (can. 1008). Gli ordini sono l’episcopato, il presbiterato e il diaconato (can. 1009 §1).
La differenza di significato tra ordine sacro e stato clericale è sostanziale. L’ordine sacro introduce il fedele in una condizione sacramentale trasformandolo ontologicamente, cioè in modo soprannaturale nel suo stesso essere, costituendolo «ministro sacro» e abilitandolo ad agire in persona Christi nel caso dell’episcopato e del presbiterato, mentre i diaconi vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità (can. 1009 §3). Lo stato clericale, al contrario, determina una condizione giuridica che deriva dalla sacra ordinazione comportando per il chierico diritti e obblighi secondo l’ordinamento ecclesiastico.
Abbiamo detto che l’ordine sacro è un sacramento indelebile perché imprime il carattere. Su questa motivazione teologica nessuno potrà mai essere privato della potestà d’ordine (can. 1338 §2), che per la stessa ragione mai potrà essere dichiarata nulla se è stata validamente conferita (can. 290).
Pertanto, lo stato clericale è una conseguenza del sacramento dell’ordine, ma i due elementi sono distinti anche se correlati: un chierico può decadere dallo stato clericale, ma non potrà mai essere privato dell’ordine sacro, anche se spontaneamente lo chiedesse.
Il Legislatore ha previsto tre casi in cui il chierico può perdere lo stato clericale: invalidità della sacra ordinazione dichiarata per sentenza giudiziaria o per decreto amministrativo (can. 290 n. 1); dimissione legittimamente imposta a causa di un delitto che prevede una specifica sanzione (can. 290 n. 2); rescritto della Sede Apostolica con cui viene concessa la dispensa al diacono per cause gravi e al presbitero per cause gravissime (can. 290 n. 3).
In conclusione, la sacra ordinazione validamente amministrata ha un carattere permanente e la sua irreversibilità non cadrà mai nella disponibilità di alcuno, neppure della suprema autorità della Chiesa. Anche il peggiore comportamento delittuoso che venisse commesso dal chierico non produrrebbe effetti penali da annullare o invalidare la sacra ordinazione e la sua intrinseca potestà d’ordine.
Se il sacramento dell’Ordine conferito validamente è intangibile, come pure la relativa potestà d’ordine, una sorte diversa potrà toccare all’esercizio di questa sacra potestà. La competente autorità ecclesiastica, di fronte alla commissione di uno specifico delitto, potrà irrogare al chierico nei modi previsti dal diritto una censura come per esempio la sospensione parziale o totale dall’esercizio dell’ordine sacro, quella che abitualmente viene chiamata sospensione «a divinis», definita anche «pena medicinale» in quanto mira a ottenere la correzione del reo, e quindi non potrà essere una pena perpetua perché attraverso di essa se ne auspica il suo ravvedimento.