La risposta di Massimo Introvigne alla "provocazione" del direttore di Tempi, Luigi Amicone
Fa discutere nel mondo cattolico un’intervista del combattivo e benemerito direttore di Tempi,Luigi Amicone, al Foglio di sabato scorso. Amicone sembra dare per persa la battaglia sulle unioni civili e, in prospettiva, sul «matrimonio» omosessuale e propone una sorta di patto ai poteri forti che, tramite Renzi, governano l’Italia (e non solo). I cattolici rinuncerebbero a contestare il «matrimonio» omosessuale, e in cambio il relativismo lascerebbe che chi non è relativista si faccia le sue scuole non statali – non più discriminate dallo Stato – dove possa continuare a proporre una visione del mondo diversa, senza manuali dell’UNAR e senza leggi Scalfarotto. «Sono pronto a firmare un decreto che contemporaneamente autorizzi i matrimoni gay, le unioni civili, le adozioni marziane e tutti i diritti civili del cuore e della pensione che volete – afferma Amicone -. Ma che – contemporaneamente – riconosca e attui, e per davvero, la perfetta libertà di educazione: la parità di condizioni ideali e materiali. E, contestualmente, introduca nella nostra famosa bella Costituzione la parolina che manca: il primo emendamento di quella americana, la libertà di espressione. Prendetevi tutto il resto, le famiglie patchwork e multi-gender, ma lasciateci liberi, e liberi di educare».
Con qualche distinguo, la linea di Amicone è stata sposata dal direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che pensa anche a una sua traduzione politica dopo le uscite di Berlusconi a favore dell’agenda gay. Berlusconi, suggerisce Ferrara, segua pure la sua inclinazione libertaria in materia di unioni omosessuali, ma sia un libertario coerente e si batta contro i tentativi alla Scalfarotto di limitare la libertà di opinione. Naturalmente né Ferrara né, soprattutto, Amicone si sono convertiti alla dittatura del relativismo. Pensano però che il relativismo abbia vinto – nel caso di Ferrara, anche per una sua lettura che personalmente giudico sbagliata e distorta del Magistero di Papa Francesco – e propongono un patto di coesistenza pacifica che prevede un relativismo senza dittatura. Liberi gli omosessuali di sposarsi, liberi i cattolici di dissentire e di insegnare i figli a dissentire nei loro ridotti scolastici e familiari, senza dover temere di finire in prigione. Riserve indiane sì, ma protette.
Leggendola da sociologo, penso anzitutto che questa strategia – che, come dirò, è ultimamente sbagliata – possa sedurre e sembrare in prima battuta ragionevole: anche perché ha un precedente storico di successo. L’ha adottata, di fronte alle sconfitte politiche e militari, il fondamentalismo islamico. Negli anni 1980 dopo l’assassinio di Sadat (1918-1981) in Egitto (1981) e il colpo di Stato militare in Turchia (1980), le dittature militari medio-orientali hanno sconfitto il fondamentalismo islamico sul piano della repressione e della polizia. Molti suoi leader sono stati impiccati. Mentre una minoranza ha reagito con il terrorismo, la dirigenza più avveduta dell’islam politico, almeno in Egitto e in Turchia, ha precisamente proposto un patto non scritto al laicismo dominante dei regimi militari. Il patto suonava più o meno così: voi gestite lo Stato in modo (più o meno) laico, con leggi che ci ripugnano, e noi non reagiamo a queste leggi con la violenza. In cambio, tacitamente, ci lasciate creare degli spazi islamizzati, delle micro-società dove noi e i nostri figli possiamo vivere in pace secondo la nostra interpretazione del Corano. Questo patto è poi saltato nel secolo XXI, ma è andato avanti per decenni con risultati perfino spettacolari. I regimi laicisti sono sopravvissuti senza scossoni per molti anni, e nel frattempo le micro-società islamizzate dei fondamentalisti sono cresciute e sono prosperate.