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Come è andata a Bruxelles per Renzi?

Matteo Renzi a Strasburgo

© Palazzochigi

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 03/07/14

Una analisi dei temi sollevati dal discorso del premier italiano

Ieri è stato il momento in cui l’Italia è stata al centro del dibattito politico europeo per cose buone. Non per indagini, non per scandali, ma per un intervento politico fatto all’Europarlamento di Strasburgo dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un intervento più o meno convincente o condivisibile, ma che ha il merito di aver aperto una discussione nel Vecchio Continente. I giudizi – come spesso capita in politica – sono divisi e molto diversi tra loro.

Come sottolineato ad esempio da Città Nuova: per il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso (PPE) : «Il suo è stato un discorso pieno di passione». E l’euroscettico Nigel Farage (Ukip): «Gli do 7, ha molta passione, ma non credo che collaboreremo, non c’è stata sostanza nel suo discorso, specie sui temi economici».
E’ tra questi due estremi che si polarizzano i commenti al discorso di apertura del semestre di presidenza italiana dell’Ue. D’accordo sulla passione, meno sulla concretezza dei contenuti. Contrariamente a quanto annunciato (ovvero che avrebbe letto il suo discorso), Renzi consegna il testo ufficiale a Schulz e parla a braccio, come di consueto (3 luglio).

Un aspetto molto importante che il premier italiano ha voluto citare nel suo discorso è il valore della persona, da mettere al centro assieme ai valori, oltre le cifre.

Con “coraggio e orgoglio” parla di Asia Bibi, delle liceali rapite da Boko Haram e di Meriam. “Se di fronte a una donna, Asia Bibi, che è ferma in carcere da quattro anni perché cristiana non c’è l’Europa che non si indigna, vuol dire che non stiamo rispondendo al nostro destino, se di fronte alle ragazze rapite in Nigeria da un gruppo fondamentalista perché educate ai valori occidentali, se non c’è la vostra, la nostra reazione, non possiamo definirci degni della grande responsabilità che abbiamo, se di fronte a donna, Myriam, che partorisce in carcere o alle ragazze del Medio Oriente, se diciamo solo slogan vuoti o parole retoriche e continuamo a rinchiuderci nelle nostre frontiere anzichè riaffermare i nostri valori, perderemo la capacità di essere politici europei" (Famiglia Cristiana, 3 luglio).

Duro sulla parte relativa alla strategia economica del premier, Stefano Cingolani su il Sussidiario: “le prime mosse compiute si sono rivelate sbagliate, se non proprio degli autogol. Prendiamo la richiesta di rinviare di un anno il pareggio del bilancio. Sul piano tecnico il parere è negativo, su quello politico bisogna aspettare il prossimo consiglio dei ministri finanziari e la nuova commissione. Ma nessuno crede che Jean-Claude Juncker smentisca i suoi eurocrati. Dunque, un doppio no rappresenta una sconfitta netta che probabilmente poteva essere evitata. La diplomazia europea consiglia sempre di informarsi se ci sono le condizioni favorevoli prima di presentare una petizione del genere. E le condizioni non c’erano prima, né ci sono adesso. Dal punto di vista degli equilibri parlamentari, i popolari sono i più forti grazie al peso dei democristiani tedeschi, cioè degli uomini di Angela Merkel. In conseguenza di ciò la Germania ha già fatto il pieno dei posti chiave nella struttura burocratica che guida la macchina di Bruxelles. Così stanno le cose, al di là delle parole” (Il Sussidiario, 3 luglio).

Ed in effetti dopo l’intervento di Renzi (18 minuti), parla Barroso (19 minuti), e tocca anche temi che inspiegabilmente il primo ha trascurato: il dramma della disoccupazione (25 milioni in Europa, Italia in cima con Grecia e Spagna) soprattutto giovanile, individuata quale priorità principale; il sostegno alle piccole e medie imprese; la ricerca; l’efficienza energetica e la lotta al cambiamento climatico; il sostegno al mercato unico nella più grande area di scambio interno al mondo (Città Nuova, 3 luglio).

E tuttavia, la cifra più positiva dell’intervento renziano, aldilà dei suggestivi riferimenti storico-mitologici, su cui pure varrebbe la pena di aprire una parentesi (il ritorno della figura del “padre” che incarna i valori da recuperare, la generazione Telemaco), è stata infatti soprattutto questa: “a quasi 70 anni dalla fine di un conflitto bellico devastante, l’ultimo e il più immane in una corona secolare di guerre che hanno seminato lutti e divisioni fra i 28 popoli oggi riuniti sotto la bandiera delle dodici stelle, l’idea di Europa, la sua «identità forte e profonda», va rilanciata con tutta la convinzione possibile e, soprattutto, con uno sforzo supplementare di lungimiranza e di solidarietà” (Avvenire, 3 luglio).

C’è molto da fare, per l’Italia e per l’Europa, dopo alcuni lustri dove il nostro paese ha avuto difficoltà a farsi prendere sul serio, oggi ci sono le condizioni per incidere sulle scelte di Bruxelles, a patto di aumentare il tasso di democrazia in quelle aule, e di far pesare da un lato un nuovo asse che non passi per la Germania e i suoi alleati, dall’altra premendo sull’ascendente che l’Italia può vantare sul gruppo del Partito Socialista Europeo (PSE), in virtù dell’elevato numero di parlamentari che ha potuto eleggere il PD col suo 40,8%. Ma ci vuole una abilità ancora tutta da dimostrare. Si vedrà.

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