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Preoccuparsi per la terra

A religious procession

© Public Domain

Vinonuovo.it - pubblicato il 01/07/14

Anche una processione risalendo verso una Pieve diventa l'occasione per pregare: «Signore aiutaci a proteggere il tuo creato»

di Maria Teresa Pontara Pederiva

Si procede speditamente risalendo dalla Pieve di San Giovanni fino in cima al paese lungo le vie dove gli "smolleri" facilitano il cammino (li chiamano così i posatori di porfido perché usati per pavimentare superfici in forte pendenza: si lascia la massima scabrosità possibile alla pietra che in inverno impedirà la formazione di un lastrone, pericoloso, di ghiaccio).

In certi angoli il tempo sembra essersi fermato. Su una facciata un’immagine di Maria, ben restaurata, porta la data del 1798, la cascata di gerani tirolesi ai balconi, la pulizia dei muri (dove nessuno azzarderebbe un graffito …), il legno verniciato di fresco dopo l’inverno come quel capitello con il Crocifisso carico di fiori ancora in boccio… e dire che la valle per certi versi supera la Silicon Valley in fatto di tecnologia … Contrasti netti, con i quali convivere.
Lo sa bene la comunità cristiana. Come dire: tutti, perché sfilano tutte le persone che non siano bloccate nella casa di riposo appena sopra la Pieve, nonostante l’orologio si avvicini al mezzogiorno. "Signore, benedici le nostre famiglie" è la preghiera del parroco e del diacono permanente, ma si aggiunge "Signore, tieni unite le nostre famiglie". E ancora "Signore, proteggi i nostri giovani".

Dal prossimo autunno ci sarà un solo parroco per mezza valle: ciò significa che dovrà riorganizzare la pastorale di circa 10 mila residenti (quando i turisti triplicano il numero si confida nella Provvidenza che invia in vacanza i preti cittadini). Non sarà facile, ma qui si metterà alla prova la consistenza delle comunità, dicono in tanti.

Sarebbe bello procedere tutti quanti con lo stesso passo cadenzato di questi momenti di processione, il passo ritmato dalla banda la cui musica si alterna alla preghiera (i già numerosi turisti sono alla ricerca di qualche scatto dai balconi degli alberghi …). Ma non è così: lacerazioni e ferite rallentano il cammino di tanti che spesso si fermano a lato della strada in attesa dello sguardo e della mano dei fratelli, che in una comunità di montagna (dove la solidarietà è questione di vita da secoli) non manca mai. Spesso sono le mani a non bastare più. La natalità è, relativamente, la più alta della provincia, ma quanti proseguono con gli studi (per fortuna in costante aumento), si allontanano, com’è nella natura delle cose, e cresce anche qui il numero di anziani. "E’ come se l’Europa si fosse stancata di fare la mamma, ma solo la nonna" ha detto il papa nell’intervista al Messaggero.

Difficile però staccarsi definitivamente, come sempre accaduto un po’ in tutto il Trentino, quando la povertà induceva ad emigrare: le radici della tua famiglia restano salde, nonostante la lontananza, spesso anche la nascita lontano. Lo sapeva Degasperi (emigrante perché statista), rientrato dopo l’ultima delusione romana per trovare qui la morte quasi 60 anni fa, lo sapeva il beato Focherini (la cui famiglia prima di emigrare faceva Focher) che soggiornava ogni estate in valle di Non, la stessa valle delle mele dove è l’origine di padre Giancarlo Bregantini che il 5 luglio accoglierà papa Francesco nella sua attuale diocesi di Campobasso, lo sapeva Giacomo Matteotti ricordato con ancora maggiore intensità neanche un mese fa nella sua valle di Sole-Pejo, in occasione dei 90 anni dall’assassinio. E lo sapeva il card. Bernardin, figlio di emigranti del Primiero, che aveva voluto conoscere finalmente la terra dei suoi padri, la terra dove era stato concepito prima della drammatica partenza dei suoi.

Ma lo sanno soprattutto le tante persone sconosciute ai più che, nonostante la lontananza, conservano nel cuore l’immagine di queste montagne, uniche al mondo, che per loro rappresentano qualcosa di più dello sfondo di una fotografia ricordo di una vacanza.

E sono molti, sia qui che altrove a preoccuparsi per la propria terra, che sta mutando a grandi passi. Il cambiamento climatico preoccupa. La temperatura cresce di anno in anno. Durante lo scorso inverno il terreno non è mai gelato in modo significativo: non è solo un problema dei "cannoni" da neve che possono funzionare solo di notte, diventa difficile pure per i boschi. Non è mai accaduto che al Corpus Domini, alla Festa di San Giovanni Battista o al Sacro Cuore – il tempo è ancora scandito dalle ricorrenze religiose – i prati fossero già falciabili e in piena fioritura. Sulle pendici del Buffaure, ad oltre 2 mila metri, (26° di temperatura nel primo pomeriggio la settimana scorsa) si possono fotografare, ancora per pochi giorni, splendide genziane, e siamo solo a giugno.

Ci si preoccupa per la nostra valle, per la pietra dolomitica che moltiplica le crepe (e le frane), ma il pensiero va soprattutto ai fratelli lontani, a quanti l’aumento di temperatura impedirà di coltivare i prodotti per la propria alimentazione. "Signore benedici il mondo", "Signore, fai fiorire la pace", "Signore aiutaci a proteggere il tuo creato".
A noi l’acqua non manca di certo con la neve ancora in quota, ma che faranno in Africa, in Asia con questo caldo? Si chiedono in molti e le lettere dei tanti missionari locali confermano purtroppo i timori.

"Come esseri umani, non siamo meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha tanto strettamente uniti al mondo che ci circonda che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione! Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e le future generazioni": l’ha scritto papa Francesco nella Evangelii gaudium (215) e lo ricordano i nostri vescovi, o meglio i presidenti delle due Commissioni CEI Lavoro, giustizia e pace e quella per l’Ecumenismo e il dialogo (rispettivamente Bregantini e Bianchi) nel Messaggio per la prossima Giornata per la custodia del Creato.

"Manca una vera cultura preventiva davanti ai tanti disastri sociali e meteorologici", si legge nel testo "È l’aspetto culturale del problema, di certo l’aspetto più preoccupante, perché completa il quadro globale della violazione del giardino di Dio: "Siamo infatti tutti chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo" (Evangelii gaudium 215).

Ma "oggi, la coscienza ecologica è in consolante crescita, ovunque" è la constatazione dettata da speranza. E noi che si fa concretamente, a partire dalle nostre famiglie? Ci preoccupiamo per la terra e tutti i suoi abitanti?

Qui l’originale

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