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Approvato a Roma il bio-testamento

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 26/06/14

Ma in assenza di una legge quadro nazionale si direbbe solo l'ennesimo provvedimento ideologico

Il bio-testamento approda nella Capitale tra le polemiche. Ieri il provvedimento è passato in consiglio comunale con il voto di una maggioranza ampia e trasversale (25 sì, 4 contrari e 4 astenuti, si legge su Il Messaggero). L’assemblea capitolina ha così ratificato la delibera di iniziativa popolare depositata con oltre 8 mila firme dei romani nel 2009. Allora fu Mina Welby, moglie di Piergiorgio a farsi promotrice della petizione e depositarla presso il Comune di Roma.

L’atto prevede di istituire un registro telematico dei testamenti biologici presso l’Ufficio Comunale di Stato Civile. «Un segno di civiltà», per il sindaco Ignazio Marino, che premeva da mesi per il via libera al bio-testamento, sfidando forze politiche critiche nei confronti del provvedimenti e movimenti pro-life.

Teoricamente, con il testamento biologico una persona dichiara a quali terapie intende sottoporsi e a quali vuole invece rifiutare in caso non sia in grado di esprimere il proprio giudizio al momento della necessità del trattamento medico, in particolare per malattie o lesioni invalidanti e patologie che obbligano a trattamenti permanenti con macchinari come quelli per la respirazione artificiale. Se non si è grado di esprimere la propria volontà, per legge, la scelta passa ai parenti di primo grado o a rappresentanti legali.

Nella pratica non c’è nessuna norma dell’ordinamento giuridico che disciplini il bio-testamento. I registri, non a caso definiti «inutili» da L’Avvenire, che ha analizzato il caso-Roma, sono semplicemente provvedimenti di "opinione", indirizzati dai consigli comunali. Peraltro, i dati evidenziano che nelle città in cui si sono aperti i registri del bio-testamento, la partecipazione della popolazione è stata pressoché nulla. A Genova in tre anni ha firmato lo 0,029% dei cittadini. A Cagliari lo 0,0089%. A Rimini i promotori del registro erano 700 le firme sono state 7.

«Che sia chiaro – tuona ad Aleteia il presidente del Movimento per la Vita Fausto Casini – Il testamento biologico è una forma impropria non prevista dalla legge. Sono solo elementi di pressione psicologica e quindi di violenza nei confronti dell’opinione pubblica, perché impediscono di effettuare una riflessione serena nei luoghi preposti, cioè il Parlamento e non il Comune. Quindi, lo ribadisco: quello che è stato approvato a Roma non conta nulla. E noi contrasteremo chiunque vuole imporre il proprio modo di pensare, facendo credere che l’eutanasia in Italia si possa effettuare come una routine».

«Siamo di fronte all’ennesimo tentativo di aggirare per via amministrativa ciò che è una lacuna legislativa – rincara Domenico Coviello, co-presidente dell’associazione nazionale Scienza e Vita – il Comune non può assumere una competenza in materia di fine vita, riservata al legislatore nazionale. Lo scopo dei registri è puramente dimostrativo». Peraltro, sottolinea Coviello, quando nel merito si deve applicare il bio-testamento, è sempre necessario l’intervento di un giudice che deve verificare una serie di parametri (tra cui la veridicità di quanto trascritto dalla persona; il tempo trascorso dalla firma al decorrere della malattia; valutare se la persona in quell’arco di tempo ha potuto cambiare idea in merito al bio-testamento; ecc..). «Il cittadino va aiutato e non disorientato come invece fanno i Comuni che approvano il registro. Rischiamo il far west, la confusione generale», chiosa il co-presidente di Scienza e Vita.

«Ciò che è stato approvato dal consiglio comunale di Roma – sentenzia Gianluigi De Palo, ex assessore alla Famiglia nella Capitale e attuale consigliere di opposizione – non è una legge dello Stato e vale quanto carta straccia. Piuttosto fanno riflettere due cose. Primo, che saranno utilizzati fondi pubblici per istituire un ufficio che avrà valenza puramente simbolica. Secondo, che in una città con grandi problemi come traffico, disoccupazione, tagli al sociale, alla cultura, e tanto altro, il consiglio comunale debba trascorrere del tempo a discutere e votare qualcosa di assolutamente ideologico».  

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