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Vogliono abbattere le Sentinelle

Mario Adinolfi su Sentinelle in Piedi a Roma

© Sentinelle in Piedi

La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 23/06/14

Se difendere la famiglia è scomodo

di Vincenzo Luna

Per il variegato mondo Lgbt e per i suoi partner istituzionali, Sentinelle in piedi sono più di un fastidio: non sono confessionali, e quindi non le si può accusare di clericalismo; non sono partitiche, e quindi non vi è nessuna strumentalizzazione da evocare; non sono estremiste (è ciò che spiace di più agli Lgbt), fanno coincidere la protesta col silenzio e con l’invito alla riflessione, rappresentato dal libro. Soprattutto non demordono: può darsi che all’inizio taluno confidasse sulla loro scarsa attrattività e sulla loro occasionalità; strada facendo le veglie si sono moltiplicate, e la quantità dei partecipanti è cresciuta. Così non può andare avanti: il fenomeno va neutralizzato, anche col ricorso alla prepotenza. 

Dopo vari episodi di gravi disturbi e di provocazioni, le ultime due puntate della fiction politically correct anti-Sentinelle sono andate in onda sulle piazze di Siena e di Modena: urla, amplificatori, presenza dileggiante degli Lgbt a fianco delle singole Sentinelle… esattamente come nelle settimane passate a Lecce, a Perugia o a Trento. Il tutto senza l’intervento, se non addirittura con l’avallo delle forze di polizia: nel caos di Siena, la sola misura è stata adottata contro una Sentinella che adoperava il megafono nel tentativo di coprire le urla degli Lgbt: 100 euro di contravvenzione da parte di uno zelante agente della polizia municipale!

Finora pareva che il tranquillo svolgimento delle veglie dipendesse dalla sensibilità e dalla buona volontà dei responsabili dell’ordine pubblico in ciascuna città. La successione, soprattutto nelle ultime settimane, di disturbi anche seri, con le forze di polizia o assenti, benché avvisate, o presenti ma inerti, fa sorgere qualche dubbio che sia così, e rende lecita la domanda se non vi sia stato un passa-parola, più o meno formalizzato, teso a permettere le provocazioni Lgbt, col solo limite (che qualche funzionario ha pure dichiarato) del passaggio alle vie di fatto.

Le disposizioni in materia del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza sono inequivocabili. Chi intende manifestare in un luogo pubblico lo comunica almeno tre giorni prima all’autorità di sicurezza del posto: se non esistono ostacoli per la manifestazione, la segnalazione è sufficiente per svolgere l’iniziativa e per ottenere la tutela di essa, quando vi è il sentore che possa essere disturbata. Eventuali controindicazioni (la manifestazione è di solidarietà con le Brigate rosse o di annuncio della ricostituzione del Pnf; si citano non a caso esempi estremi) portano a vietare l’iniziativa, ovvero a farla svolgere nel rispetto di determinate prescrizioni. 

Finora ogni veglia delle Sentinelle è stata preceduta dalla comunicazione in Questura e, soprattutto di recente, dalla illustrazione alla medesima Questura dei rischi di provocazioni e di disturbi. Se dopo Lecce, Siena, Modena… è accaduto quel che si sa, delle due l’una: o gli Lgbt hanno comunicato per tempo in ciascuna Questura la loro contromanifestazione alla stessa ora e nella stessa piazza e non hanno ricevuto alcun divieto (il che avrebbe dell’assurdo), ovvero non l’hanno comunicata, e allora andava impedita, in quanto in violazione delle norme sulla sicurezza e del diritto a manifestare di Sentinelle (e questo non è accaduto). Tertium non datur, in base alla legge. E invece il “tertium” è costituito dalla piena consapevolezza da parte delle Questure dei luoghi nei quali si sono verificati i disordini che ci sarebbero state le contromanifestazioni, e dalla tolleranza mostrata nei confronti delle stesse.

Prima di ogni evento dal quale possano derivare problemi per l’ordine pubblico
 – si tratti di una partita di calcio o di un comizio o di un concerto dei Rolling Stones –, le forze di polizia (in genere la Digos) contattano i responsabili delle associazioni/movimenti fonti di possibili disordini, e concordano quel che è permesso: partendo dal presupposto che la manifestazione non va disturbata, la “trattativa” può concedere una presenza limitata e silenziosa, con l’avvertimento che il primo che dà fastidio viene preso e allontanato. Ciò è accaduto più d’una volta in passato, ma questa regola nell’ultimo mese sembra saltata.

Il problema non è più territoriale, non può farsi coincidere con le scelte della singola Questura; interessa la realtà che ha verosimilmente dato questa indicazione, al cui vertice c’è il ministro dell’Interno, che ne ha la responsabilità politica, insieme con il governo di cui fa parte. Sarebbe utile sapere se la collaborazione con le associazioni Lgbt, oltre a esplicitarsi nelle direttive Fornero e in quelle sui giornalisti, con strascichi persistenti nelle scuole, preveda pure la riduzione al silenzio effettivo di chi non la pensa diversamente. 

Nelle settimane passate più parlamentari hanno presentato interrogazioni al titolare del Viminale, mostrando attenzione alle vicende delle Sentinelle: con esiti finora pari a zero, stando alla cronaca – da ultimo – di sabato sera. C’è uno strumento per essere più efficaci? Se esiste, andrebbe adoperato, dentro o fuori le Aule parlamentari: il tutto perché ai Questori sia raccomandata la tutela delle veglie delle Sentinelle “in automatico”, senza permettere i disturbi che in altre circostanze non vengono mai permessi, e che soprattutto non verrebbero permessi a parti invertite (ipotetici flash-mob di gay pride). 

Venerdì 27, a Roma, c’è il prossimo appuntamento: che, da parte di chi ha voce in capitolo, andrebbe affrontato sapendo che la partita in gioco va oltre il pur importante diritto a manifestare delle Sentinelle: riguarda il diritto a manifestare in assoluto, e in particolare quando sono in causa i principi. Ci stiamo avvicinando al trattamento riservato a Manif in Francia?

Qui l’originale

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