Era convinto che dopo otto minuti le persone smettono di prestare attenzioneChi è immerso nel vortice della quotidianità del Vaticano sa che ogni volta che il papa parla si verificano migliaia di reazioni. Nell'arco dei 15 mesi in cui è stato alla guida della Chiesa, papa Francesco ha pronunciato molte omelie e molti discorsi. Ha anche inviato lettere e messaggi privati dei quali siamo stati poi informati dai destinatari.
La maggior parte degli analisti concorda sul fatto che le omelie che Francesco pronuncia nella Messa che celebra tutti i giorni nella cappella della Casa Santa Marta, alle sette, sono fondamentali per comprendere il suo pontificato. Queste parole mattutine sono quelle che, secondo i vaticanisti e i conoscitori della personalità di Bergoglio, caratterizzano davvero il suo pensiero e indicano la direzione che intende imprimere alla Chiesa. Fanno, insomma, parte del suo stile di comunicazione.
Senza fogli, a braccio, parla partendo dalla sua esperienza più profonda e lancia delle autentiche “bombe”, che lasciano a bocca aperta più di una persona. Una volta, durante un'udienza con alunni e genitori di scuole gesuite, ha deciso di mettere da parte il testo scritto e di improvvisare, presentando la cosa così: “Ho preparato questo, ma sono cinque pagine… un po' noioso”.
Alcuni affermano che a volte il papa non si sente a proprio agio quando legge un testo o decide di non pronunciarlo, come nel caso precedente, perché la sua partecipazione [all'elaborazione del testo] è stata minima. Secondo fonti consultate da La Razón, Francesco “scrive la maggior parte delle sue omelie, e per quelle più complesse e importanti chiede consiglio, aiuto e revisione”.
Ma chi lo accompagna in questo compito? Oltre alle persone a lui più vicine, come i suoi segretari personali e i membri della Segreteria di Stato, che si occupano soprattutto della revisione dei testi, “chiede aiuto a teologi gesuiti della Pontificia Università Gregoriana di Roma, oltre ad alcuni amici personali”.
Altre caratteristiche dei suoi testi sono la brevità e la semplicità. Preferisce lanciare un messaggio concreto che perdersi in idee che distraggono l'uditore o il lettore. Per questo, offre sempre tre punti, tre idee che poi sviluppa, un modo tipico di predicare dei gesuiti della vecchia scuola.
I “bergoglismi”
Molti di questi messaggi contengono parole ed espressioni tipici del linguaggio di Buenos Aires. Sono i cosiddetti “bergoglismi” che tutti si aspettano di sentire in un'udienza a Piazza San Pietro o nell'Aula Paolo VI.
Ci sono altre parole ed espressioni che impiega con regolarità e che molte persone hanno già inserito nel proprio linguaggio. Ad esempio, “periferie esistenziali”, “cultura dell'incontro”, “fervore apostolico” o “cultura dello scarto”, riferendosi in genere a bambini, giovani e anziani, come ha fatto nell'intervista sull'aereo tornando a Roma dalla Terra Santa. In poco più di 45 minuti, è arrivato a parlare di “scarto” almeno in cinque occasioni.
Quando era arcivescovo di Buenos Aires, affermano le fonti, “improvvisava quasi sempre e non portava mai alcun foglio con sé”. Per sapere cosa doveva dire, “si preparava prima”, anche se è vero che “a volte si muniva di uno schema e non improvvisava solo quando aveva grandi celebrazioni, come la Pasqua o il Te Deum”.
Lo stile di Francesco è lo stile Bergoglio. A volte, a Buenos Aires, “parlava con le persone incaricate della pastorale circa 10 giorni prima di partecipare a qualche celebrazione e pronunciare l'omelia”. Queste “gli raccontavano, ad esempio, qual era la loro esperienza, e Bergoglio costruiva l'omelia nella sua testa”. Ma era anche sua abitudine “arrivare in anticipo nei luoghi” e “parlare con le persone, ridere e ascoltarle”. In questo modo, “conosceva profondamente ciò che avveniva in ogni luogo e poteva poi parlare con cognizione di causa”.
Una cosa che all'inizio ha richiamato l'attenzione sulla sua forma di predicare è stato il fatto che tutti i suoi discorsi sono brevi, non durano più di sette o otto minuti. “Diceva di essere convinto che dopo otto minuti le persone iniziano a distrarsi e smettono di prestare attenzione”, e per questo “ora continua a fare così”, raccontano le fonti.
Ma il “metodo Francesco” ha portato anche un altro rompicapo all'interno della Santa Sede. Lo dimostra quanto è avvenuto con la polemica relativa all'autenticità o meno di una lettera inviata da Francesco al Presidente dell'Argentina, Cristina Fernández.
In occasione della celebrazione della festa nazionale del Paese, il papa avrebbe inviato una lettera di auguri. La lettera conteneva tuttavia alcuni errori ortografici ed era scritta in un linguaggio non proprio del pontefice. Prima si è detto che era falsa, in seguito la Santa Sede ha reso noto che era autentica.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]