Intervista al prof. Thomas Hong-Soon Han, ex Ambasciatore di Corea presso la Santa Sede«Mi ha sempre dato grande gioia stare in mezzo ai giovani sia nel mio Paese che altrove, seguendo le orme gesuitiche che mi lasciarono i miei professori, padri della Gregoriana. Ogni qualvolta solevano dirmi, in tono un po’ scherzoso, “You have been contaminated by the Jesuits!” lo accettavo volentieri, anzi con fierezza e gratitudine». Parola del Prof. Thomas Hong-Soon Han, già studente della Facoltà di Scienze Sociali dal 1966 al 1971, docente di Economia politica alla Hankuk University, Membro del Pontificio Consiglio per i Laici dal 1984, revisore internazionale della Prefettura degli Affari Economici, fondatore della Scuola della Dottrina Sociale della Chiesa a Seoul nel 1995, infine Ambasciatore di Corea presso la Santa Sede dal 2010 al 2013. Il 50mo anniversario dell’avvio dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Repubblica di Corea, celebrati lo scorso dicembre, è il punto di partenza per la nostra intervista.
Lo scorso dicembre si è celebrato il 50mo anniversario dell’avvio dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Repubblica di Corea. Alla luce della sua esperienza di Ambasciatore, come valuta il cammino intrapreso fino a oggi?
L’avvio dei rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica di Corea risale ad ancor prima che iniziassero i rapporti diplomatici ufficiali nel 1963. La Santa Sede, infatti, aveva inviato un Visitatore Apostolico con le competenze di delegato apostolico alla Corea, Mons. Patrick Byrne M.M., nel 1947, cioè subito dopo che la Corea ottenne la liberazione dalla colonizzazione giapponese alla fine della seconda guerra mondiale. La Santa Sede è stata il primo paese al mondo a riconoscere la Corea già all’inizio della costruzione della Nazione moderna. Non solo: ha dato pieno appoggio alla neonata Repubblica di Corea per ottenere dall’ONU il riconoscimento di unica Nazione sovrana nella Penisola coreana nel 1948.
Durante l’invasione comunista del Nord (1950-53) Mons. Byrne, Delegato Apostolico residenziale dal 1949, non ha voluto lasciare la sede di Seoul, è stato arrestato ed è poi morto di stenti e di freddo nella cosiddetta “marcia della morte” inflitta dal regime di Pyongyang. La Santa Sede ha voluto condividere le sofferenze del popolo coreano persino fino al martirio del suo Delegato dimostrando l’autenticità della sua amicizia.
Nel periodo immediatamente post-bellico e nei successivi 50 anni di relazioni diplomatiche, la Santa Sede ha continuato a offrire un significativo contributo al popolo coreano con la sicura bussola della dottrina sociale ad indirizzare il cammino della ricostruzione post-bellica e dello sviluppo. Basandosi sulla dottrina sociale, dunque, la Chiesa coreana ha contribuito notevolmente alla democratizzazione e all’umanizzazione del Paese.
La Santa Sede ha sollecitato la promozione umana anche per la Corea del Nord. Oltre agli aiuti umanitari donati in diverse occasioni tramite la propria delegazione e la Caritas Internationalis, ha anche sollecitato l’attenzione della comunità internazionale riguardo la riconciliazione tra le due Coree. Anche la Chiesa coreana ha preso diverse iniziative in questo senso.
A questo punto è da evidenziare che la Santa Sede, fortemente interessata a promuovere un umanesimo vero attraverso la formazione universitaria aveva dato pieno appoggio all’idea dei gesuiti di realizzare tale progetto in Corea e, all’inizio degli anni Sessanta, venne fondata a Seoul un’università dei gesuiti. Nel giro di breve tempo ottenne fama nazionale, producendo tra gli ex-alunni persino l’attuale Presidente della Repubblica.
Il popolo coreano apprezza molto il contributo così nobile che la Santa Sede ha voluto dare al suo sviluppo umano ed è pronto a collaborare allo sforzo per rinnovare la faccia della terra. L’ideale di bene comune nutrito dalla Santa Sede non si può incarnare nell’intera umanità, nel mondo globalizzato, se non si concretizza a livello locale. La Corea, ormai cresciuta e trasformata da Paese che riceve aiuti a Paese che li offre, disposta a svolgere un ruolo commisurato alla sua potenza economica, può e deve essere un partner effettivo per la Santa Sede. Essa infatti così lo considera e vuole valorizzare la collaborazione con la Corea anche per promuovere il bene comune universale.
Lo storico Andrei Lankov (Università Kookmin di Seoul) ha lodato i cattolici sudcoreani per il loro ruolo chiave nel movimento democratico del Paese. Possiamo considerarlo una promessa di quanto la dottrina sociale cristiana può fare per l’Asia?
La dottrina sociale cristiana è uno strumento valido per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. Ha una validità universale, quindi, ovviamente anche in Asia. L’Asia ha sete di giustizia e di pace, infatti malgrado una notevole crescita economica, persiste tuttora lo scandalo clamoroso di varie forme di povertà e di violazione dei diritti umani. Per di più, è una delle regioni più militarizzate del mondo ed è anche uno dei Paesi maggiormente inquinatori. Dunque, in questo contesto è più che mai necessario che i cattolici asiatici testimonino la dottrina sociale con le proprie opere. Tale testimonianza renderà più credibili le Chiese in Asia e correggerà l’errata impressione della fede cattolica come una religione straniera.
Quanto ha inciso l’esempio di figure come il card. Stephen Kim Sou-hwan?
Il card. Kim si è impegnato a realizzare l’ecclesiologia conciliare in Corea cercando di sensibilizzare alla promozione umana, condividendo “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” (Gaudium et Spes, 1) con tutti coloro che soffrivano, soprattutto nel processo di democratizzazione del Paese. È stato difensore dei diritti umani, soprattutto dei poveri, degli emarginati, e degli oppressi, stimato da tutto il popolo coreano come testimone di speranza colui che ha indicato il cammino da proseguire per l’autentica umanizzazione della società.
Il Papa visiterà la Corea del Sud a metà agosto. Quali sono le aspettative più forti?
Papa Francesco viene anzitutto come un missionario per trasmettere la gioia del Vangelo a tutti i popoli dell’Asia, soprattutto ai giovani che saranno con lui alla Giornata Asiatica della Gioventù in Corea. Viene dunque per preparare con Dio “una grande primavera cristiana” (Redemptoris Missio, 86) del terzo millennio in Asia, dove i cattolici sono solo una piccola minoranza, cioè 140 milioni, ovvero il 3,3% (l’1%, escluse le Filippine) su 4,2 miliardi della popolazione, che costituisce più del 60% della popolazione mondiale.
La recente esperienza della Chiesa coreana è la prova che con la visita di papa Francesco “si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede” (Ecclesia in Asia, 1) in Asia, come pure nella stessa Corea. Negli ultimi tempi il numero dei cattolici in Corea è raddoppiato ogni 10 anni: nel 1960 erano mezzo milione (il 2% della popolazione); nel 1985 1,86 milioni (il 4,6%); nel ‘95 2,95 milioni (il 6,6 %) e nel 2005 5,14 milioni (il 10,9 %). In base a questa tendenza l’Istituto di ricerca sociale buddista ha previsto che, nel giro di 30 anni addirittura più di metà della popolazione coreana sarà cattolica, ossia nel 2044 ce ne saranno circa 25 milioni, il 56% del totale. Potrà verificarsi questa previsione? Se continua questo ritmo di crescita, con un certo realismo si può dire che la Chiesa cattolica sarà la religione più diffusa in Corea.
Tutto questo proviene dalla testimonianza che la Chiesa coreana sta offrendo al Paese: unità, e soprattutto unità col Papa. Negli anni Ottanta la Corea ha avuto il privilegio di una doppia visita di papa Giovanni Paolo II, nel 1984 e nel 1989. La venuta di papa Wojtyła è stata un grande dono per l’evangelizzazione. Il papa è sempre il missionario più efficace ed è sempre molto ben visto dal popolo coreano.
Anche Papa Francesco ha un impatto molto efficace sui coreani. Dopo averlo visto vivere la semplicità e l’umiltà, praticare la carità, l’amore verso poveri e malati, molti coreani si stanno avvicinando alla fede cattolica per farsi battezzare. Con la sua visita in Corea, si potrà sperare di accelerare il ritmo di crescita della Chiesa, Si potrà anche sperare di vedere il cambiamento significativo dello stile di vita della Chiesa e della società e la promozione della cultura dell’amore nella Penisola coreana.
Papa Francesco viene come un apostolo di pace in un Paese che sta ancora soffrendo della divisione tra Sud e Nord. L’appello del Papa per la riconciliazione e la pace susciterà ampia risonanza sia in Corea che nel mondo intero, portando ad un effetto favorevole agli sforzi sia nazionali che internazionali per la pace.
È davvero significativo che papa Francesco incontri i giovani dell’Asia e dialoghi con loro alla Giornata Asiatica di Gioventù. La GAG si riconfermerà come uno strumento valido per lanciare i giovani come protagonisti non solo di domani ma anche di oggi del progetto di Dio per l’Asia.
In questo contesto è provvidenziale che papa Francesco beatifichi i 124 martiri coreani nella sua prima visita in Asia, si può dire che così egli vuole esprimere la sua solidarietà pastorale con i fedeli tormentati dalle persecuzioni, confermando questi martiri beati come modello eccellente di evangelizzazione della Chiesa e della società, come pure dell’auto-evangelizzazione.
Infatti i beati martiri sono i veri riformatori. Lo spirito dei martiri cui papa Francesco renderà testimonianza anche in questa sua visita in Corea costituirà una base sicura su cui da costruire un mondo migliore e mi auguro quindi che i leader della società come pure della Chiesa lo seguano come loro modello di leadership.
Si impegnino dunque tutti i fedeli dell’Asia nonché della Corea, uniti con papa Francesco, per scrivere insieme a lui un altro capitolo degli Atti degli Apsotoli in Asia, condividendo l’un l’altro Evangelii gaudium.
[PUBBLICHEREMO LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA VENERDI' 20 GIUGNO]