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Famiglia: e se rinunciassimo al matrimonio concordatario?

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© Gabriel Bouys/AFP

Simone Sereni - Aleteia - pubblicato il 14/06/14

Mentre è in discussione al Senato il testo di legge sul cosiddetto “divorzio breve” c’è chi propone di tornare a separare matrimonio civile e matrimonio canonico.

Di fronte a un Paese che va verso il cosiddetto divorzio breve “la chiesa cattolica ha un’unica possibilità per dare un forte segnale: denunciare il Concordato del 1929 come modificato nel 1985, rinunciando al matrimonio concordatario. Tanto vale tornare alla celebrazione del doppio matrimonio per chi si sposa in chiesa”. Lo ha scritto il 31 maggio in una lettera al direttore del quotidiano Il Foglio, Simone Pillon, avvocato e componente del direttivo nazionale del Forum delle associazioni familiari.
Il tono è quello di una provocazione. Ma in realtà sembra che ci sia qualcosa di più, forse una piattaforma politica pronta a portare avanti questa proposta: “La base ci sarebbe. Sono stati presentati alla Camera alcuni emendamenti, poi respinti, sul testo di legge sul divorzio breve. E che ora sono stati ripresentati al Senato”, spiega Pillon.

La tesi dell’avvocato è che diversamente le coppie continuerebbero a considerare un unicum i due matrimoni: “Che senso ha – dice nella lettera – ingannare le persone continuando a offrire due ‘prodotti’ tanto diversi in un’unica confezione? Ci sono gli estremi per la truffa in commercio”. Ne parlava già nel 2002 lo psicoterapeuta Claudio Risé: “Mi sembra di estremo interesse il fermento, presente in campo cattolico ma non solo, verso una normativa matrimoniale e familiare differenziata, che lasci i singoli liberi di scegliere le norme cui riferirsi nella propria vita coniugale e familiare”.
Il vero nodo della disciplina del divorzio breve, è che ad abbreviarsi notevolmente sarebbe la separazione, che è stata prevista anche come un tempo “di prova” in cui i coniugi possono avere l’opportunità di rimettere insieme il legame matrimoniale. Già nel 1998, negli Usa, uno studio sperimentale sul National Survey of Families and Households diceva già che più dell’86% delle coppie in crisi alla fine degli anni ’80 che poi però non hanno divorziato, dopo 5 anni dalla crisi, ritenevano di avere un matrimonio felice.
Scrive appunto Pillon che “Paesi avanzatissimi tra cui Svezia e Stati Uniti, dopo aver negli anni scorsi agevolato in ogni modo la strada del divorzio, stanno ora affrontando le conseguenze sociali della dissoluzione della famiglia, e hanno dovuto fare precipitosamente marcia indietro prevedendo nelle loro legislazioni il covenant marriage cioè il matrimonio indissolubile civile preceduto da una adeguata formazione dei nubendi. Esattamente ciò che la chiesa fa da duemila anni”.

I covenant marriages – che potremmo tradurre in “matrimoni di alleanza” – sono stati istituiti in alcuni Stati a stelle e strisce, primo tra tutti nel 1998 la Lousiana, e prevedono un vincolo inteso chiaramente dagli sposi come una relazione per tutta la vita. Tanto che il divorzio è molto difficile e legato a cause molto gravi. “Tra l’altro – ci spiega Pillon – assomigliano moltissimo al nostro matrimonio civile”. Attualmente è registrato un tasso di matrimoni covenant molto basso (tra 1% e 3%) anche se i tassi di divorzio di queste nozze sono quasi a zero.
Ma l’ipotesi di abbandonare il matrimonio concordatario può diventare qualcosa di più di una provocazione? “Non credo – sostiene mons. Mauro Rivella, sacerdote della diocesi di Torino, esperto di diritto canonico, attualmente impegnato in Vaticano nell’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede – che la separazione fra matrimonio civile e matrimonio religioso sia la vera soluzione del problema. Non dimentichiamo che, per la Chiesa, il matrimonio è uno solo. È l’atto con cui, pubblicamente, un uomo e una donna si impegnano a unire in maniera stabile i loro destini e si aprono al dono della vita. Non esiste il cittadino da una parte e il credente dall’altra, ma la persona, che è insieme credente e cittadino. Forse un tempo c’era chi si sposava in chiesa solo per rispettare le convenzioni sociali o perché il rito è più suggestivo. L’esperienza mi dice che chi oggi si sposa in chiesa lo fa per scelta, ben sapendo di poter optare per il matrimonio civile o per la convivenza di fatto”.

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