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Quali sono le cinque pensatrici principali del XX secolo?

Weil-Zambrano-Stein-Arendt-Ross

© Public Domain

Enrique Chuvieco - Aleteia - pubblicato il 30/05/14

Simone Weil, María Zambrano, Edith Stein, Hannah Arendt ed Elisabeth Kübler-Ross

Apertura alla trascendenza, approccio speranzoso di fronte alla crisi culturale e l'essere umano come essere relazionale sono le argomentazioni che accomunano le donne alle quali avvicina in modo comprensibile il medico spagnolo Iván López Casanova nel suo libro Pensadoras del siglo XX (Pensatrici del XX secolo, edizioni Rialp).

Chirurgo dell'apparato digestivo, ha voluto analizzare le profondità filosofiche del cuore che superassero i “sistemi astratti lontani dall'essere umano concreto e reale” tanto propri del razionalismo e degli “ismi” che hanno prevalso negli ultimi secoli e continuano a imperversare. In queste intellettuali, osserva, ha trovato “i migliori saggi sulle 'ragioni del cuore'”, anche se alcune hanno subito il rifiuto o l'assassinio, come Simone Weil, Hannah Arendt o Edith Stein.

Qual è stato il motivo per scegliere solo donne per il suo libro?

Questo libro nasce da una serie di conferenze in cui ho analizzato il concetto filosofico del “cuore”. Con le parole di Pascal, volevo trovare i migliori saggi sulle “ragioni del cuore”. In effetti volevo chiamare il libro Pensar con el corazón (Pensare con il cuore), ma esisteva già un testo con questo titolo. Volevo trovare proposte filosofiche in cui si intrecciassero una vita di pienezza e un pensiero logico-deduttivo, perché quest'ultimo, se non è accompagnato da uno sguardo filosofico che parte “dal cuore”, consiste nel costruire sistemi astratti lontani dall'essere umano concreto e reale.

E allora mi sono reso conto che le proposte più feconde in questo senso uscivano dalla penna delle donne che tratto nel mio libro: Simone Weil, María Zambrano, Edith Stein, Hannah Arendt ed Elisabeth Kübler-Ross.

Da quello che dice, capisco che vuole sottolineare lo sguardo femminile per offrire una soluzione migliore ai problemi che ci riguardano, giusto?

L'idea più originale del libro è quella di far conoscere la vita e le opere di queste intellettuali del XX secolo e applicarle alla crisi profonda della cultura in cui viviamo in questo XXI secolo. Non utilizzo la preziosa antropologia che ciascuna di loro ci offre perché le autrici sono donne, ma perché il contenuto è molto valido.

Non mi ha mai interesato l'approccio di genere né di quote, perché nel XX secolo esistono pensatrici che sono all'altezza di qualsiasi pensatore uomo, e non hanno bisogno di essere valorizzate per la loro condizione femminile. Risulta inoltre che una caratteristica che ingloba tutte queste grandi pensatrici è il loro distacco rispetto alle correnti femministe.

Che tratti unificatori rinviene in queste cinque donne?

Oltre ad ascoltare la voce del cuore come si è detto, e oltre alla mancanza di connessione rispetto alle correnti femministe per la loro insufficienza antropologica, segnalarei queste caratteristiche comuni: offrire un pensiero pieno di speranza, in cui si apportano soluzioni alla crisi culturale che hanno vissuto; apertura alla trascendenza, perché tutte si relazionano con il divino, per utilizzare il bel titolo – El hombre y lo divino (L'uomo e l'aspetto divino) – del libro di María Zambrano.

Segnalarei anche che tutte hanno dovuto subire uno sradicamente profondo, alcune per il fatto di essere ebree, altre per le circostanze biografiche che hanno affrontato: hanno condotto una vita durissima, e forse per questo hanno compreso che l'essere umano è vulnerabile e ha bisogno dell'altro per la sua piena comprensione, che non siamo individui solitari, ma persone in relazione.

Circa Simone Weil, sottolinea il suo impegno con le persone e gli eventi della sua epoca fino al punto di vivere un'ascesi personale. In questo senso, mancano impegni attuali di questo tipo?

Quello che manca chiaramente sono risposte antropologiche che favoriscano un modo di comprendere la pienezza umana come quello che ha offerto e vissuto Simone Weil, che spiega benissimo come senza impegno – e questo richiede lo sforzo personale, l'ascesi – non si possa comprendere nulla di ciò che è umano. Così, per capire il problema complesso della relazione tra lavoratori e datori di lavoro non ha esitato a impiegarsi volontariamente in un'impresa in cui lavorava come operaia addetta alla fresatrice in una catena di montaggio; era come un pezzo sostituibile con un altro e viveva solo del salario che le davano, e la situazione è rimasta così per più di un anno.

Ha anche passato la fame volontaria, ha lavorato come agricoltrice e si è arruolata volontaria nella Guerra Civile spagnola. Tutte queste esperienze le hanno permesso di comprendere l'essere umano dal cuore che soffre, che è il titolo che ho dato al mio capitolo sulla Weil. E ci ha consegnato un pensiero meraviglioso, pieno di realismo, ma senza disperazione. Vale la pena conoscerlo.

María Zambrano ha unito il cuore alla testa nel suo concetto di “Ragione poetica”, per il quale valorizza i fenomeni spirituali, che sono i più importanti per la vita. Si oppongono allo scientismo, al positivismo e ad altri “ismi”?

La risposta è affermativa. La grande pensatrice di Malaga ha saputo intuire che dietro ogni “ismo” esiste un'astrazione filosofica nata solo da argomentazioni logico-deduttive. E ha intuito che per comprendere a fondo l'essere umano, oltre al ragionamento attivo, è necessario ricevere passivamente nel cuore. La filosofia si apre allora al mondo dei valori, al “divino”: la creatività artistica, l'etica, l'aspetto religioso…

In definitiva, per interiorizzare queste realtà difficili da pesare e misurare, ma che fanno parte dell'aspetto più essenziale della vita e la dotano di senso, serve un cuore pulito, che possa e sappia ricevere “l'elemento divino”, l'elemento poetico, la saggezza eterna captata dai poeti. Logicamente, questo presuppone il fatto di uscire dal razionalismo, dallo scientismo, da ogni “ismo” e da ogni astrazione filosofica.

L'apertura ai fenomeni trascendenti definisce la ricerca di Edith Stein, l'ebrea che divenne monaca e fu assassinata in un campo di concentramento. Quali sono i suoi apporti principali?

Con la sua esistenza ha mostrato che l'amore e la verità hanno una relazione diretta, e ci ha insegnato a vivere senza pregiudizi, aperti alla verità e alle sue conseguenze. Il cuore che ama è l'espressione che potrebbe riassumere la sua vita. Dei suoi apporti intellettuali, in sunto, segnalarei la sua comprensione della persona umana composta da intelligenza, volontà e affettività, e il suo tentativo di trattare i temi filosofici come complementari, la sua ricerca di elementi di unione tra i vari approcci intorno all'uomo. Ha cercato di trovare ciò che univa il pensiero di San Tommaso d'Aquino e quello del suo maestro Husserl, con una grande apertura intellettuale, superando le battaglie tanto frequenti tra le scuole filosofiche.

Partire dalla realtà (l'oggetto e la sua natura) per conoscerla è un elemento comune a tutte le pensatrici. Nel suo libro, espone alcune conseguenze del fatto di partire dal soggetto e non dalla realtà. Potrebbe enumerarle sinteticamente?

La conseguenza più evidente di partire dal soggetto, ovvero dal fatto che io sono autonomo e mi do la mia legge morale in modo indipendente dal reale, è ciò che va perduto in un labirinto di disperazione perché tutto è relativo. E questo paralizza l'azione, la preoccupazione per l'altro, porta al raffreddamento del cuore, al fatto che diventi incapace di riconoscere e di captare se qualcuno richiede qualche forma di aiuto. In questo stato non si sa nemmeno raccogliere la donazione degli altri.

In questo modo, a livello sociale si genera la povera società dello spettacolo in cui le persone diventano raffinate consumatrici di ozio, per usare l'espressione di Rof Carballo. E ovviamente si rende l'individuo incapace di ascoltare il rumore dell'elemento divino in cui la Zambrano identificava la pienezza umana.

La mancanza di connessione con la natura delle cose in alcuni ambiti comporta una maggiore autonomia dell'essere umano per scegliere, ad esempio, il suo sesso, che viene definito un fatto culturale, secondo l'ideologia di genere. Che conseguenze ha questo fatto?

Effettivamente, la mancanza di connessione dell'etica con qualcosa che non sia il proprio io conduce al mito dell'uomo nuovo, ovvero ad affermare che nell'essere umano non esiste alcune limitazione tranne quelle che risultino tecnicamente impossibili. Si afferma così come un successo del progresso il fatto che la persona possa scegliere il proprio sesso e si dia carta bianca all'uso della sessualità scollegato dall'affettività o dalla moralità. Ma allora si arriva alla tirannia dei corpi, nella geniale espressione di Octavio Paz, che rende le persone incapaci della vera donazione affettivo-sessuale.

Lo psichiatra spagnolo Enrique Rojas ha segnalato, in questo senso, che “la prima epidemia mondiale che esiste attualmente non sono né le droghe, né l'Aids, né le depressioni, né lo stress, ma le rotture coniugali”. È la conseguenza reale della banalizzazione del sesso che si postula partendo dalle istanze di genere. E come conseguenza del dominio di questa prospettiva di genere nei mezzi di comunicazione, tutto questo risulta come un nuovo totalitarismo, nel senso rigoroso in cui lo ha studiato Hannah Arendt. E risulta inquietante ma necessario pensare, come la filosofa tedesca, che in un totalitarismo le persone che non reagiscono risultino complici, collaborino con la banalità del male.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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