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Il monoteismo è causa di violenza?

Central African Republic mired in violence amid threat of genocide UN/Albert Gonzalez Farran – it

Central African Republic mired in violence amid threat of genocide UN/Albert Gonzalez Farran

Alfa y Omega - pubblicato il 30/05/14

Argomentazioni che sfatano un falso mito molto diffuso

Una delle critiche più frequenti e diffuse al giorno d’oggi contro la religione è che il monoteismo è causa di violenze e di guerre. Secondo una certa critica occidentale, l’ebraismo, l’islam e – si dice – soprattutto il cristianesimo sono causa di divisione tra gli uomini. Il recente viaggio del papa in Terra Santa ha dimostrato la falsità di queste argomentazioni, e la Commissione Teologica Internazionale ha appena preso il toro per le corna con la pubblicazione di un documento che sfata il mito del legame tra monoteismo e violenza.

Anche se oggi in Occidente si diffonde “la teoria, diversamente argomentata, secondo la quale esiste un rapporto necessario fra il monoteismo e le guerre di religione”, in realtà la fede cristiana “riconosce nell’eccitazione alla violenza in nome di Dio la massima corruzione della religione”. Così inizia il documento “Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza”, diffuso dalla Commissione Teologia Internazionale.

Durante gli ultimi cinque anni, la Commissione ha compiuto uno studio approfondito su alcuni aspetti del discorso cristiano su Dio, confrontandosi con la tesi secondo la quale ci sarebbe una relazione necessaria tra monoteismo e violenza. Il punto di partenza dei suoi studi è “la convinzione, che abbiamo motivo di ritenere condivisa da moltissimi nostri contemporanei, credenti e non credenti, che le guerre interreligiose, come anche la guerra alla religione, siano semplicemente insensate”.

Il monoteismo è ragionevole…

Il testo argomenta che l’esperienza della relazione con Dio è un aspetto ragionevole, presente in tutte le culture della Terra nel corso della storia, e che in questo senso, visto che Dio è il “principio e fine” e che “nulla è come Dio”, il monoteismo “è stato per lungo tempo anche riconosciuto, dal punto di vista della storia della civiltà, come la forma culturalmente più evoluta della religione: ossia, il modo di pensare il divino più coerente con i principi della ragione”.

…malgrado gli abusi

La Commissione riconosce ad ogni modo gli abusi storici commessi in nome di Dio, perché “nel corso della storia, e della stessa modernità occidentale, quella configurazione della religione che le filosofie e le scienze della cultura avevano poi convenuto di chiamare ‘monoteismo ebraico-cristiano’ è stata utilizzata ideologicamente” per giustificare forme di governo come la monarchia assolutista, così come azioni geostrategiche ed economiche, perché la violenza religiosa non manca di “connessioni con politiche di prevaricazione etnica e di strategia terroristica”.

Il relativismo, minaccia per la pace sociale

Questa prassi negativa al momento di vivere la fede ha fatto sì che molti abbiano paura di Dio. Per questo, anche se il monoteismo è filosoficamente la forma più ragionevole di intendere Dio, la cultura occidentale contemporanea “tende ora a privilegiare la pluralità del bene e del giusto, generando una significativa tensione tra il riconoscimento del pluralismo e la teorizzazione di un principio relativistico”. Il problema non è di poco conto, perché “la coscienza e il rispetto delle differenze rappresenta un vantaggio per l’apprezzamento delle singolarità e per l’apertura ad uno stile ospitale della convivenza umana”, mentre “la rassegnazione al relativismo radicale come orizzonte ultimo e insuperabile della ricerca del vero, del giusto, del bene, non costituisce affatto una migliore assicurazione per la pacificazione e la cooperazione dell’umana convivenza”.

“Quando la ricerca della vera giustizia, e l’impegno per il bene comune cadono sotto il sospetto del conformismo e della costrizione, l’autentica passione per l’uguaglianza, la libertà, e i buoni legami, finisce per essere radicalmente scoraggiata. Non solo. Una tale perdita di fiducia e di motivazioni, indotta da un sentire relativistico totale, abbandona i rapporti umani ad una gestione anonima e burocratica della convivenza civile”.

Ingiusta critica al cristianesimo attuale

Per questo, per molti “la verità, in questa prospettiva, non viene pensata come principio di dignità e di unione fra gli uomini, che li sottrae all’arbitrio e alla prevaricazione delle loro chiusure egoistiche”, ma chi sostiene l’esistenza di una verità assoluta viene considerato “una minaccia radicale per l’autonomia del soggetto e per l’apertura della libertà”. Risulta così che “ora il monoteismo è arcaico e dispotico, il politeismo è creativo e tollerante”, anche se le culture politeiste dell’antica Grecia e di Roma, o altre come l’induismo attuale, hanno perseguito fino alla morte quei credo che si scontravano con il loro. Si ricorda anche che di fronte alle grandi persecuzioni contro la Chiesa la risposta si è espressa “nella testimonianza non violenta e nell’accettazione del martirio cristiano”.

La Commissione denuncia poi che “in qualche parte intellettualmente rilevante della nostra cultura occidentale, l’aggressività con la quale viene riproposto questo ‘teorema’ si concentra essenzialmente nella denuncia radicale del cristianesimo. Ossia, proprio della religione che appare certamente protagonista, in questa fase storica, dell’istanza di un dialogo di pace, e per la pace, con le grandi tradizioni della religione e con le culture laiche dell’umanesimo”.

La risposta che esige la storia

Per mostrare il vero volto del cristianesimo come fonte di pace, la Commissione ricorda che “la conversione del nostro spirito e della nostra mente alla migliore trasparenza della fede, deve suscitare il generoso slancio della testimonianza della singolarità di questa fede: che la congiuntura storica richiede con speciale urgenza”. Qual è l’originalità della fede cristiana? Il fatto di vivere in modo inseparabile l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, un’unione così “ancorata metafisicamente, e non retoricamente, nel dogma dell’incarnazione del Figlio di Dio” che “è sempre stata – e rimane – una pietra angolare della teologia cristiana”, e per prescindere da questa, o per giustificare che si possa vivere in forma ridimensionata, si dovrebbe cambiare l’“intero racconto fondatore” del cristianesimo.

Stessa origine, stessa via, stessa meta

La Commissione ricorda, con le parole di Benedetto XVI, che l’unicità di Dio è “inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana” e che quando il cristiano propone e vive l’amore per Dio come fonte di amore per il prossimo “predica e pratica con tutte le sue forze l’unità di origine, di cammino, e di destinazione” di tutti e di ciascuno, “in vista del riscatto e del compimento offerti da Dio del genere umano”.

In poche parole, contro la critica relativista, disinformata o atea militante, il cristianesimo del XXI secolo propone non la violenza per combattere il diverso, ma “l’unità indissolubile del comandamento evangelico dell’amore di Dio e del prossimo”, che si stabilisce come “grado di autenticità della religione. In ogni religione. E anche in ogni presunto umanesimo, religioso o non religioso”.

L’originale e affascinante comandamento dell’amore

Il testo conclude infine che i cattolici sono “consapevoli del fatto di aver dovuto compiere, con tutti i credenti, un lungo cammino storico di ascolto della Parola e dello Spirito per purificare la fede cristiana da ogni ambigua contaminazione con le potenze del conflitto e dell’assoggettamento”.

“E siamo ben coscient
i di doverci costantemente richiamare alla più scrupolosa vigilanza nei confronti del pericolo sempre ricorrente che il degrado della passione della fede nello spirito di dominio rappresenta, per l’autentica testimonianza evangelica. La conversione non è soltanto una decisione iniziale, è uno stile di vita. Possiamo però attestare, con tutta la fermezza e l’umiltà necessaria, che il radicale ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione appartiene in un modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo: e ne rappresenta uno degli aspetti più inauditi ed emozionanti, nella storia dell’attesa della manifestazione personale di Dio, e dell’esperienza religiosa dell’umanità. La confessione del fatto che l’unico Dio, Padre di tutti gli uomini, si lascia storicamente e definitivamente riconoscere proprio nell’unità del supremo comandamento dell’amore, sul quale gli stessi discepoli del Signore accettano di essere giudicati, illumina l’autentica fede nell’Unico Dio che noi intendiamo professare”.

Una cosa che il viaggio di papa Francesco in Terra Santa non ha fatto altro che confermare agli occhi del mondo intero.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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