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Fatica e Stanchezza

Lazy cat

© acandraja

don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 30/05/14

Due cose diverse che si affrontano in modo diverso...

Si sa che a Marzo le ferie sono molto più vicine che a Maggio.

Quando le stai pianificando e immaginando ti sembra che sia quasi ora di preparare i bagagli, ma quando ti trovi a trascinare il tuo stesso cadavere nella calura romana, in credito di sonno e allegria dal capo, dalla vita, dai clienti, da tutto lo stupidissimo mondo mondiale, allora la data scritta sul biglietto aereo improvvisamente sembra allontanarsi di un paio d’anni e riesci solo a pensare “nun ja possofà”.

Così ho pensato, ho pensato e pensato (il vostro curato di città ama pensare, ve l’avevo già detto?) e ho concluso che la stanchezza e la fatica non sono proprio la stessa cosa, che gli animali si stancano, ma non si affaticano, forse perché non lavorano. Io invece sono al tempo stesso stanco e affaticato e allora mi fermo e mi chiedo, caspita e perché? Perché sono affaticato?
Alt! Macchina indietro, riavvolgi il nastro, due punti e ricomincia: cos’è la fatica?
La fatica non è la stanchezza, l’ho già detto? Pazienza, repetita juvant.
La stanchezza è una roba del corpo, è quando manca il sonno e la caffeina ti ha così saturato che non fa più effetto, è quando i muscoli fanno male, è quando il sedere è diventato ormai quadrato per la posizione innaturale a cui la tua scrivania lo ha costretto.

La fatica no, la fatica è una roba dell’anima, la fatica a volte si prova anche a non far niente, la fatica è una mancanza di senso, di allegria nel lavoro, di orientamento nelle scelte, di verità nella comprensione di sé.
La fatica è inutilità, vuoto, assenza. Al limite disgusto di sé e di ciò che si fa.
Ma come, ieri mi piaceva tanto il mio lavoro e oggi mi fa schifo, che è successo? Forse che il lavoro è cambiato? Si, ma non perché son cambiate le cose che fai, ma perché non le fai più con la stessa motivazione, con lo stesso senso, con la stessa allegria.

La cura è pressappoco la stessa: riposo. Ma c’è riposo e riposo e non è detto che sia tutto uguale e vada tutto bene.
Già, perché se sono stanco allora è il mio corpo che ha bisogno di riposo e quindi servono gran dormite, abbondanti mangiate e bevute, bagni caldi, sole, magari un bel massaggio per chi ha un paio di euro in più. Insomma riposo per il corpo.

Ma se sono affaticato invece allora è l’anima che deve riposare e le cose che fanno riposare l’anima non sono necessariamente le stesse che fanno riposare il corpo. Se l’anima è affaticata dormire e non lavorare non serve a niente. S. Tommaso scriveva: “Il riposo non consiste nel non lavorare, ma nel lavorare con gioia”.
Il riposo dell’anima è nel Senso, nella Gioia e nell’Amore.

E allora è necessario (ri)dare un senso al lavoro (cosa che si fa nella preghiera) entrando nel Sabato, fermarsi e dire al proprio lavoro: “quanto sei bello!”
E’ necessario ricevere ogni istante del tempo (compreso ogni imprevisto sul lavoro) come un dono e non come una disgrazia, come una nuova chance offerta alla nostra fantasia creatrice. E a quella di Dio.
E’ necessario rinnovare ogni relazione, quelle sul lavoro e le altre, nella loro bellezza e significato.
Insomma si riposa dalla fatica pregando.
E servendo.
E amando.
Non dormendo.
Come si vede il riposo del corpo richiede di centrarsi su se stessi, di lasciar fuori il mondo per un attimo e poi ritornare alla battaglia.
Il riposo dell’anima invece richiede di uscire da se stessi e dal proprio egoismo.
E’ il paradosso cristiano: è fuori di me che trovo me stesso.

Qui l’originale

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fatica esistenziale
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