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​Aids: troppo lunghi i tempi di diagnosi in Italia

Test tubes in laboratory

© SHUTTERSTOCK

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 27/05/14

Per gli specialisti c'è ancora troppa incoscienza rispetto alla gravità della malattia

L’Italia è agli ultimi posti in Europa per i tempi delle diagnosi per l’Aids. E ciò mette in crisi i progressi fatti sul fronte delle terapie nel corso degli anni. Se viene diagnosticata tardi, ad un’età media di 38 anni per i maschi e di 36 per le femmine, l’infezione ha già provocato gravi danni e le terapie risultano meno efficaci. L’allarme è stato lanciato dagli specialisti, riuniti a Roma in occasione della Conferenza italiana sull’Aids “Italian Conference on Aids and Retrovirus”, promossa dalla Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali.

Preoccupano anche altri due dati: “L’infezione sta crescendo in categorie che si pensava ‘coperte’ dalla campagne di informazione – come gli omosessuali – ed in alcune regioni in particolare, tra le quali il Lazio” (Secolo XIX 24 maggio). Il numero di nuove diagnosi di infezione da Hiv si è stabilizzato con 4000 nuovi casi all’anno. Nel 2012, più della metà delle segnalazioni sono però pervenute da tre regioni: Lombardia (27,6%), Lazio (14,5%) ed Emilia-Romagna (10,4%). In Italia, inoltre, vi è una stima di 150 mila persone sieropositive. Il virologo Carlo Federico Perno, dell’Università di Roma Tor Vergata, riporta il quotidiano genovese, invita non sottovalutare un altro aspetto: “La sensazione di noi specialisti è che la colpa è chiara, e sta nella totale assenza della percezione della malattia e la completa incoscienza di fronte alla sua gravità”.

La Conferenza italiana sull’Aids, alla quale partecipano più di 1000 delegati, si è rivolta soprattutto ai giovani con la presentazione di studi condotti in Italia da circa 100 giovani ricercatori. Il congresso ha proposto un inedito e tridimensionale approccio tra scienza di base, ricerca diagnostico-clinica e competenze delle associazioni di pazienti e delle comunità colpite dall’HIV. Un obiettivo ambizioso da parte della comunità scientifica infettivologica italiana, delle Associazioni dei pazienti e delle istituzioni, in un momento in cui gli standard di assistenza e cura raggiunti in Italia devono confrontarsi con esigenze di sostenibilità, mettendo così costantemente in discussione i percorsi intrapresi nei diversi ambiti (Quotidiano sanità 25 maggio).

Una denuncia riguarda anche la continua riduzione dei finanziamenti per la ricerca negli ultimi anni in Italia: “Stiamo assistendo, infatti, ad un progressivo smantellamento della rete scientifica con il pretesto che le università, così come ospedali e altre istituzioni, sono troppe e quindi inutili e costose. Tutto ciò sta determinando una continua emigrazione di giovani laureati in altri paesi europei e del resto mondo. Per contro, nonostante i tagli dei finanziamenti, la ricerca italiana continua a classificarsi fra le migliori in Europa e nel mondo” (Quotidiano sanità 25 maggio).

Un problema grave ulteriore è il rispetto dei tempi delle terapie. Secondo Andrea Antinori, direttore del Dipartimento di Clinica a Ricerca clinica presso l'Ospedale Spallanzani di Roma, per distrazione o per episodi di lieve intolleranza ai farmaci, "il 15-20% dei pazienti sieropositivi in trattamento non assume regolarmente la terapia antiretrovirale. Questo costituisce ad oggi, la prima causa di fallimento della terapia" (repubblica.it  26 maggio). 

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