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Un’occasione per gli ebrei di conoscere i cattolici di oggi

Rav David Rosen

© Public Domain

Città Nuova - pubblicato il 25/05/14

Incontro con il rabbino David Rosen, infaticabile promotore del dialogo interreligioso

di Paolo Lòriga

Non ha dubbi che l’imminente incontro tra papa Francesco e il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, produrrà benefici effetti anche al dialogo tra le religioni. «Ogni relazione di chi cerca di ampliare il rapporto con l’altro e che, in un certo senso, afferma nell’altro l’immagine divina, porta effetti positivi a tutte le altre religioni».

Il rabbino David Rosen, direttore internazionale degli Affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, è un instancabile costruttore del dialogo tra le fedi e ce ne parla con passione nella terrazza della propria abitazione, da cui si gode una panoramica d’insieme di Gerusalemme.

«Dal mio punto di vista, e penso anche da quello della Chiesa cattolica, la venuta di papa Francesco costituisce un’occasione per incrementare il rapporto con l’ebraismo, un rapporto che viene alimentato da ogni progresso di dialogo con tutte le religioni, anche se è bene tenere presente che il rapporto tra cattolici ed ebrei è diverso e distinto dagli altri. Al riguardo, Giovanni Paolo II ricordava che la relazione con l’ebraismo è intrinseca e non estrinseca alla Chiesa stessa. Non è affatto un caso che il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani includa al proprio interno la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Un organismo che, naturalmente, non ha per scopo il proselitismo, né il compito di convertire gli ebrei, ma intende manifestare la vicinanza tra cattolici ed ebrei».

In questa fase iniziale del pontificato di Francesco ha visto segni incoraggianti in fatto di dialogo con l’ebraismo?
«L’elezione di papa Francesco ha portato significativi benefici al rapporto cattolico-ebraico, ma non perché i suoi predecessori non siano stati grandi amici dell’ebraismo. Al contrario. Ma non c’è mai stato prima di Francesco un papa che abbia avuto un rapporto così stretto, vivo, vivace e vitale con la comunità ebraica. Giovanni Paolo II ebbe un rapporto di amicizia sin da adolescente con gli ebrei, ma devo ammettere che è unico quanto vissuto da papa Francesco, perché non solo ha avuto amici ebrei, ma ha aperto la cattedrale cattolica di Buenos Aires alla commemorazione della Shoah ed altre iniziative della comunità ebraica, e si è pure recato nella sinagoga. Ora che papa Francesco è così conosciuto e stimato, il fatto di sapere che è un amico degli ebrei fa vedere agli ebrei di tutto il mondo il rapporto che i cattolici hanno con l’ebraismo».

Quali sono le attese della società israeliana e, in particolare, dei rabbini?
«Difficile fare una valutazione complessiva e generalizzare i punti di vista degli ebrei, perché resta vera una battuta che recita: due ebrei, tre opinioni. Questa varietà potrà costatarla lunedì nell’incontro con i due gran rabbini d’Israele, dove troverà tutto lo spettro delle diverse tradizioni e sensibilità. Posso comunque dire che la maggioranza degli ebrei e dei rabbini valuta questa visita in maniera molto positiva. Non va nascosta, tuttavia, l’esistenza di una minoranza traumatizzata dalle vicende storiche contro gli ebrei e il verificarsi di gesti ingiuriosi contro i cristiani, da noi riprovati, compiuti da poche persone.
Ritornando alla venuta del papa, va aggiunto che gli israeliani non conoscono il cattolicesimo moderno. Quando viaggiano nel mondo, vedono semplicemente i cattolici come non ebrei, non come cattolici moderni, diversi da quelli del passato. L’arrivo di papa Francesco può produrre un profondo, positivo impatto nella coscienza ebraica e nella concezione dei cristiani, aprendo gli ebrei ad una conoscenza effettiva e attuale dei cattolici».

Il complesso contesto politico locale rischia, secondo lei, di rendere inefficaci le parole che il papa pronuncerà sulla pace?
«Dipende da quello che qui lui dirà. Dipende da quanti rischi il papa vorrà correre pronunciando parole che potranno venire interpretate in modo anche negativo. Indubbiamente qui è più facile pronunciare parole che non siano significative. Non resta che vedere e ascoltare».

Oltre 400 tra rabbini e personalità ebraiche degli Stati Uniti hanno scritto un messaggio di benvenuto  a papa Francesco per il suo imminente arrivo in Israele. Lei è uno dei firmatari. Si tratta di un bel gesto di squisita cortesia o manifesta qualcosa di più?
«Non è  il caso di pensare che un gesto di cortesia sia cosa di poco conto. Ma certamente il messaggio esprime qualcosa di più, perché manifesta la riscoperta della fraternità tra ebrei e cattolici. Sono sicuro che la visita sarà un evento meraviglioso, un’occasione di festa e di gioia. Spero di non essere irrispettoso, ma papa Francesco è una superstar e suscita attenzione e simpatia in tutti».

Qui l’originale

Tags:
dialogo ebraico cristiano
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