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Pietro e Andrea si abbracciano

papa francesco con il patriarca bartolomeo 1 – it

© AFP PHOTO / OSSERVATORE ROMANO

Sala Stampa della Santa Sede - pubblicato il 25/05/14

I discorsi di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo I a 50 anni dallo storico incontro di Gerusalemme

Dopo l’incontro privato nella Delegazione Apostolica di Jerusalem, il Santo Padre Francesco e il Patriarca Bartolomeo si recano al Santo Sepolcro per la Celebrazione Ecumenica, momento culminante del Pellegrinaggio Apostolico nel 50° anniversario dello storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora.
Il Papa entra nella piazza dalla Porta del Muristan, il Patriarca Ecumenico invece dalla Porta di S. Elena, e l’incontro avviene al centro della piazza. Al momento dell’abbraccio fraterno si sciolgono le campane.
Alla Celebrazione Ecumenica, che inizia alle ore 19, partecipano gli Ordinari Cattolici di Terra Santa, l’Arcivescovo copto, l’Arcivescovo siriaco, l’Arcivescovo etiopico, il Vescovo anglicano, il Vescovo luterano e altri Vescovi.
Il Papa e il Patriarca Ecumenico vengono accolti dai tre Superiori delle Comunità dello "Statu quo" (Greco-Ortodossa, Francescana ed Armena Apostolica).
Il Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme, Sua Beatitudione Theophilos III, il Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, OFM, ed il Patriarca Armeno Apostolico, Sua Beatitudine Nourhan venerano la "Pietra dell’Unzione", quindi sono il Papa e il Patriarca Ecumenico a venerarla contemporaneamente, da soli, mentre tutti gli altri partecipanti alla celebrazione procedono verso il "Coro dei Francescani", di fronte all’Edicola del Santo Sepolcro dove vengono poi accompagnati il Santo Padre e il Patriarca.
La celebrazione è introdotta dalle parole di accoglienza che S.B. Theophilos III, Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme, rivolge a nome delle tre comunità dello "Statu quo".
Dopo il canto dell’Alleluia e la proclamazione del Vangelo della Risurrezione, il Patriarca Ecumenico e il Santo Padre pronunciano i discorsi che riportiamo di seguito:

*  *  *

Discorso del Santo Padre

In questa Basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione, raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. Lo compiamo sulle orme dei nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, i quali, con coraggio e docilità allo Spirito Santo, diedero luogo cinquant’anni fa, nella Città santa di Gerusalemme, allo storico incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli. Saluto cordialmente tutti voi presenti. In particolare, ringrazio vivamente per avere reso possibile questo momento Sua Beatitudine Teofilo, che ha voluto rivolgerci gentili parole di benvenuto, come pure a Sua Beatitudine Nourhan Manoogian e al Reverendo Padre Pierbattista Pizzaballa.
E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti"» (Mt 28,5-7). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione, come fin dal principio attesta l’apostolo Paolo: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor 15,3-4). E’ il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore, «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte» (Simbolo degli Apostoli). Ciascuno di noi, ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risorto da questo sepolcro, poiché tutti nel Battesimo siamo stati realmente incorporati al Primogenito di tutta la creazione, sepolti insieme con Lui, per essere con Lui risuscitati e poter camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4).

Accogliamo la grazia speciale di questo momento. Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte. Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua. Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vita eterna. Le sue piaghe aperte sono il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia. Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi "i miei fratelli" (cfr Mt 28,10; Gv 20,17).
Certo, non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino. Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto! Ogni volta che pensiamo il futuro della Chiesa a partire dalla sua vocazione all’unità, brilla la luce del mattino di Pasqua! A tale riguardo, desidero rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti (cfr Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 95-96).
Mentre sostiamo come pellegrini in questi santi Luoghi, il nostro ricordo orante va all’intera regione del Medio Oriente, purtroppo così spesso segnata da violenze e conflitti. E non dimentichiamo, nella nostra preghiera, tanti altri uomini e donne che, in diverse parti del pianeta, soffrono a motivo della guerra, della povertà, della fame; così come i molti cristiani perseguitati per la loro fede nel Signore Risorto. Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa

Santità, amato Fratello, carissimi fratelli tutti, mettiamo da parte le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm 5,5) e della Verità (cfr Gv 16,13), per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione. In questo cammino ci sentiamo sostenuti dalla preghiera che Gesù stesso, in questa Città, alla vigilia della sua passione, morte e risurrezione, ha elevato al Padre per i suoi discepoli, e che non ci stanchiamo con umiltà di fare nostra: «Che siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv17,21). 

E quando la disunione ci fa pessimisti e poco fiduciosi, andiamo tutti sotto il manto della Santa Madre di Dio. Quando ci sono turbolenze spirituali nella vita di un cristiano solo in Lei troviamo pace. Che Lei ci aiuti in questo cammino.

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Discorso di Bartolomeo I

«Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto» (Mt 28,5-6).
Vostra Santità e amato fratello in Cristo,
Vostra Beatitudine Patriarca della Città Santa di Gerusalemme, amatissimo fratello e concelebrante nel Signore,
Vostre Eminenze, Vostre Eccellenze, e molto reverendi rappresentanti delle Chiese e delle confessioni cristiane,
Stimati fratelli e sorelle,
È con timore, emozione e rispetto che noi ci troviamo davanti al "luogo dove il Signore giacque", la vivificante tomba dalla quale è emersa la vita. e noi rendiamo gloria a Dio misericordioso, che ha reso degni noi, Suoi indegni servi, della suprema benedizione di farci pellegrini nel luogo in cui si è rivelato il mistero della salvezza del mondo. «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (Gen 28,17).
Siamo venuti qui come la donna che porta la mirra il primo giorno della settimana «per vedere il sepolcro» (Mt 28,1), e anche noi come le donne ascoltiamo l’esortazione angelica : «Non abbiate paura». Togliete dai vostri cuori ogni paura, non esitate, non disperate. Questa tomba irradia messaggi di coraggio, speranza e vita.
Il primo e più grande messaggio che scaturisce da questo sepolcro vuoto è che la morte, questo nostro "ultimo nemico" (cfr1 Cor 15,26), fonte di ogni paura e di ogni passione, è stato sconfitto; essa non detiene più la parola finale nella nostra vita. È stata vinta dall’amore, da Lui, che volontariamente ha accettato di patire la morte per amore degli altri. Ogni morte per amore, per amore dell’altro, è trasformata in vita, vera vita. «Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte e a quelli che giacevano nella tomba Egli ha concesso la vita».
Non si abbia allora paura della morte; non si abbia paura neppure del male, nonostante qualsiasi forma possa assumere nella nostra vita. La Croce di Cristo si è addossata tutte le frecce del male: l’odio, la violenza, l’ingiustizia, il dolore, l’umiliazione – qualsiasi cosa sofferta dai poveri, dalle persone fragili, dagli oppressi, dagli sfruttati, dagli emarginati e dagli afflitti in questo mondo. Comunque sia chiaro: chiunque, come nel caso di Cristo, è crocifisso in questa vita, vedrà seguire la risurrezione alla croce; l’odio, la violenza e l’ingiustizia non hanno futuro, che invece appartiene alla giustizia, all’amore e alla vita. Perciò si dovrebbe lavorare per questo fine con tutte le risorse disponibili, risorse d’amore, di fede e di pazienza.
Cionondimeno, vi è un altro messaggio che promana da questa venerabile tomba, dinanzi alla quale ci troviamo in questo momento. È il messaggio che la storia non può essere programmata, che l’ultima parola nella storia non appartiene all’uomo, ma a Dio. Le guardie del potere secolare hanno sorvegliato invano questa tomba. Invano hanno posto una gran pietra a chiusura dell’ingresso cosicché nessuno potesse farla rotolare via. Sono vane le strategie di lungo termine dei poteri mondani e a ben vedere, tutto è contingente di fronte al giudizio e alla volontà di Dio. Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione.

Infine, questa tomba sacra ci invita a respingere un altro timore che forse è il più diffuso nella nostra era moderna, vale a dire la paura dell’altro, del diverso, la paura di chi aderisce ad un’altra fede, un’altra religione o un’altra confessione. In molte delle nostre società contemporanee rimangono tuttora diffuse le discriminazioni razziali e altre forme di discriminazione; ciò che è ancora peggio è che esse permeano frequentemente persino la vita religiosa delle persone. Il fanatismo religioso minaccia ormai la pace in molte regioni del globo, dove lo stesso dono della vita viene sacrificato sull’altare dell’odio religioso. Davanti a tale situazione, il messaggio che promana dalla tomba che dà la vita è urgente e chiaro: amare l’altro, l’altro con le sue differenze, chi segue altre fedi e confessioni. Amarli come fratelli e sorelle. L’odio conduce alla morte, mentre l’amore «scaccia il timore» (1 Gv 4,18) e conduce alla vita.

Cari amici,
cinquant’anni fa, due grandi guide della Chiesa, il Papa Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora, scacciarono il timore, scacciarono via da sé il timore che aveva prevalso per un millennio, una paura che mantenne le due antiche Chiese, quella occidentale e quella orientale, a distanza l’una dall’altra, qualche volta addirittura costituendosi gli uni contro gli altri. Invece, da quando si sono posti davanti a questo spazio sacro, essi hanno mutato la paura nell’amore. E così siamo qui con Sua Santità Papa Francesco, come loro successori, seguendo le loro orme e onorando la loro eroica iniziativa. Ci siamo scambiati un abbraccio d’amore, per continuare il cammino verso la piena comunione nell’amore e nella verità (cfr Ef 4,15) affinché «il mondo creda» (Gv 17,21), poiché nessun altra via conduce alla vita eccetto la via dell’amore, della riconciliazione, della pace autentica e della fedeltà alla Verità.
Questo è il cammino che tutti i cristiani sono chiamati a seguire nelle loro relazioni reciproche – a qualsiasi Chiesa o confessione appartengano – con ciò fornendo un esempio per il mondo intero. La strada può essere lunga e faticosa; davvero a qualcuno può alle volte apparire un impasse. Comunque è l’unica via che porta all’adempimento della volontà del Signore che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). È questa divina volontà che ha aperto la strada percorsa dalla guida della nostra fede, il nostro Signore Gesù Cristo, crocifisso e risorto in questo luogo santo. A Lui appartiene la gloria e il potere, in unità col Padre e lo Spirito Santo, per i secoli dei secoli. Amen.
«Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio» (1 Gv 4,7).

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Al termine della Celebrazione Ecumenica, il Santo Padre e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli si abbracciano e si scambiano il segno della pace, recitano insieme il "Padre Nostro" in italiano ed entrano, poi, nel Sepolcro per venerare la Tomba vuota. Usciti dal Sepolcro, benedicono insieme il popolo.
Quindi si recano sul Monte Calvario, accompagnati dai due Patriarchi, Greco e Armeno, e dal Custode di Terra Santa, per venerare il luogo della crocifissione e della morte di Gesù.
Infine, a bordo della stessa vettura, il Papa e il Patriarca Ecumenico si recano al Patriarcato Latino di Jerusalem dove cenano con i Patriarchi, i Vescovi e con il Seguito papale.

[Testo completo con aggiunte a braccio a cura di Aleteia]

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