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I papi che amano gli ebrei: tutte le bugie da Pio XII a Francesco

Pope Benedict XVI in Jerusalem – CPP

© ALESSIA GIULIANI / CPP

<span>May 11, 2009: Pope Benedict XVI in Jerusalem.</span>

Miguel Cuartero Samperi - pubblicato il 24/05/14

Mai la Chiesa, in tutta la sua storia, è stata vicina al popolo semitico e alla religione di Abramo come in questi decenni

Sono ormai passati quasi settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e la polemica sui rapporti tra papato e nazismo non sembra volersi attenuare. Lungo questi anni si è andata affermando una certa linea di pensiero che vorrebbe dare per assodata, e storicamente certa, la complicità di Pio XII e di altri pontefici con lo sterminio nazista. La leggenda nera dei papi filonazisti è l’argomento su cui si sono maggiormenti cimentati gli avversari della Chiesa Cattolica, facendo leva sulla posizione di Pio XII, dipinto come una figura ambigua e disonesta. Si tratta di una battaglia che mira a colpire la credibilità stessa della Chiesa Cattolica nella figura dei suoi pontefici. A sotenere questa propaganda denigratoria nei confronti dei papi si trovano settori forti della cultura della sinistra laicista e della massoneria protestante e giudeizzante. A partite dagli anni Sessanta con la pubblicazione del dramma “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, si accese una forte polemica anticattolica che si protrae fino al giorno d’oggi. Opere contro Pio XII scritte da autori anticattolici come Goldhagen, Cronwell (che ha ritrattato poi le sue affermazioni), Blanshard, hanno riscosso grande successo sulla scena internazionale.

Le accuse sono pesanti: Pio XII è accusato, non solo di aver taciuto davanti a Hitler, ma di aver appoggiato, sostenuto e addirittura ispirato il nazismo. Dal singolo papa, poi, l’accusa passa alla Chiesa nel suo insieme, e – il passo è breve – al cristianesimo, accusato di considerare il popolo ebraico come popolo deicida e di porre le basi del più accanito risentimento antisemita. Sono accuse forti, dettate dall’odio verso il cattolicesimo più che dall’amore verso i popoli perseguitati, alimentate da motivazioni ideologiche più che dalla ricerca della verità.

Ma quale fu il vero ruolo del pontefice nel periodo del nazismo e nei confronti dello sterminio del popolo ebraico?

PIO XI. La condanna del Nazismo
Nel marzo del 1937 il papa Pio XI, Achille Ratti, scrisse la memorabile enciclica Mit Brennender Sorge (“Con viva ansia”), indirizzata a tutti i vescovi cattolici, riguardo la situazione della Chiesa nel Terzo Reich tedesco. Il pontefice, di fronte ai tempi difficili e a situazioni dure, incoraggiò i fedeli e, soprattutto, i sacerdoti tedeschi a rimanere fedeli a Cristo e alla missione loro affidata, a “servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l’errore, qualunque sia la sua forma o il suo travestimento”. Questa enciclica fu un clamoroso atto di condanna nei confronti del governo di Hitler, del razzismo, delle discriminazioni e delle persecuzioni attuate dal regime nazista ancor prima che la furia nazista si scatenasse a pieno (molti tra gli ebrei tedeschi giudicavano “eccessivo” l’allarmismo nei confronti dell’ascesa del nazismo). Il papa non risparmiò parole durissime ed una condanna esplicita nei confronti dei politici nazionalsocialisti definendoli “superficiali”, “nemici di Cristo”, “ciechi”, “bestemmiatori”, fautori di “perniciosi errori” e di “pratiche perniciose”, nemici della legge naturale. Questa coraggiosa enciclica è stata definita: “la più dura critica che la Santa Sede abbia mai espresso nei confronti di un regime politico”. La reazione di Hitler fu furiosa: la Chiesa Cattolica si opponeva frontalmente al suo programma politico.

PIO XII. Il presunto silenzio e l’aiuto agli ebrei
Dietro alla stesura dell’Enciclica Mit Brennender Sorge si scorge la mano del futuro papa Pio XII. Elevato da Pio XI alla carica di Segretario di Stato, il Cardinale Eugenio Pacelli, dopo cinque anni di servizio come Nunzio Apostolico in Germania, fu un grande conoscitore dello spirito nazista e della reale situazione politica tedesca. Salito al soglio pontificio, nel marzo del 1939, con il nome di Pio XII, il papa romano si trovò a governare la Chiesa Cattolica in uno dei periodi più difficili e più bui della storia. Al difficile ruolo ricoperto da Pio XII come capo della Chiesa Cattolica si aggiunse la delicata posizione geografica nel cuore dell’Italia: paese attivamente in guerra al fianco dei tedeschi e poi invaso dagli stessi nazisti. L’accusa che ancora oggi si eleva da più parti contro Pio XII è quella di non essersi esposto con forza ed in modo esplicito contro Hitler, denunciando le deportazioni e la politica di sterminio. Dietro a questo presunto silenzio si sarebbe nascosta una delittuosa complicità con il capo nazista. Coloro che accusano il papa Pacelli passano sotto silenzio diversi documenti, carteggi e tutte le strategie diplomatiche che il papa (eminente ed esperto uomo politico) mise in atto in quegli anni difficili al fine di proteggere la popolazione ebraica. E’ un fatto ormai storicamente accettato che, negli ultimi anni della guerra, i nazisti tramassero un attacco al Vaticano che rappresentava ormai un grosso ostacolo al progetto propagandistico ed espansionistico tedesco, una vera e propria “congiura” contro il papa Pio XII. Allo stesso modo è innegabile che centinaia di migliaia di ebrei (si parla di circa 800mila) sopravvissero perché nascosti in parrocchie, conventi o monasteri, sotto l’esplicito incoraggiamento del papa e dei Nunzi Apostolici, suoi collaboratori nel mondo.

Oggi la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente le virtù eroiche di papa Pacelli: è in corso infatti il processo di beatificazione, nonostante persistono dubbi ed interrogativi anche all’interno della stessa Chiesa. La figura del papa Pio XII ha comunque raccolto un largo consenso anche al di fuori del mondo cattolico, a dimostrazione di quanto fosse reale la sua opposizione a Hitler e di quanto invece sia ideologica la sua accusa. Un esempio eclatante dell’enorme lavoro svolto da Pacelli in favore degli ebrei fu la vicenda di Israel Anton Zoller (1881-1956) che fu rabbino capo della comunità ebraica di Roma durante l’occupazione tedesca. Nel 1944 aderì al cristianesimo ma – per evitare il sospetto di una scelta di convenienza – attese la fine del conflitto per darne pubblica notizia. L’influenza del papa Pio XII sulla sua conversione sarà tale che al momento del battesimo, in segno di riconoscenza, scelse lo stesso nome del pontefice diventando Eugenio Zolli. Alla morte di papa Pio XII, Elio Toaff (rabbino di Roma dal 1951 al 2001) dedicò parole di stima verso il pontefice per “la grande compassione e la grande generosità di questo papa durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando sembrava non ci fosse per noi più alcuna speranza”. Il riconoscimento del popolo ebraico per gli aiuti ricevuti dal papa fu grande, e alla sua morte arrivarono messaggi di vicinanza dalla comunità ebraica internazionale. Non solo studiosi cattolici ma anche autori di origine ebraica come Martin Gilbert, Pichas Lapide, Jeno Levai e David Dalin hanno preso le difese del papa mettendo in luce le ragioni storiche che privano di ogni valenza scientifica le false accuse mosse contro Pio XII.

GIOVANNI XXIII e PAOLO VI. I papi del Concilio: una nuova stagione di dialogo
Durante il suo servizio come Delegato Apostolico a Istanbul, Angelo Roncalli diede prova di grande vicinanza al popolo ebraico sostenendo la causa degli ebrei perseguitati dal regime nazista. Grazie al suo coraggio e le sue spiccate doti diplomatiche riuscì a salvare molti ebrei dai campi di concentramento e dalle camere a gas. Allo stesso modo, nominato nunzio apostolico a Parigi, si adoperò a favore degli ebrei ungheresi, slovacchi e bulgari facendo letteralmente “carte false” per strappare gli ebrei dalle mani di Hitler. Infine, dopo la guerra, si mostrò favorevole alla nascita dello stato di Israele appoggiando la causa presso il papa Pio XII.

A partire dal Concilio Vaticano II nella Chiesa Cattolica si inaugurò un nuovo clima di apertura e di dialogo nei confronti del popolo ebraico, grazie soprattutto all’impulso dato dai pontefici italiani che guidarono il Concilio: Giovanni XXIII e Paolo VI. Quest’ultimo firmò, il 28 ottobre del 1965, un documento fondamentale che rappresentò un punto di svolta epocale nel dialogo con la religione di Abramo: la dichiarazione conciliare “Nostra Aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”. I padri conciliari furono concordi nel condannare ufficialmente, a nome di tutta la Chiesa cattolica, tutte le violenze e persecuzioni perpetuate contro il popolo ebraico per motivi di razza e di religione. Il breve documento conclude con queste parole ferme e decise: “La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque” (NA 4). Fu molto significativo che Paolo VI, a sei mesi dalla sua elezione, si recasse in Israele (gennaio 1964) nel primo dei suoi nove viaggi apostolici. Fu il primo pontefice a visitare la Terra Santa.

GIOVANNI PAOLO II. Dal muro del Pianto ad Auschwitz: Gli Ebrei i fratelli maggiori
Karol Wojtyla, che fin dalla gioventù coltivò, nella sua Polonia, legami di profonda amicizia con gli ebrei, fu forse il papa che contribuì maggiormente ad eliminare quella distanza che per secoli separò cristiani ed ebrei; il suo impegno per la riconciliazione dei due popoli fu fondamentale e altamente significativo. Fu il primo papa a visitare il campo di concentramento di Auschwitz dove, nel 1979, rese omaggio alle vittime della Shoah. Nel marzo del 2000, si recò in Israele e pregando presso il Muro del Pianto, chiese perdono a Dio, a nome di tutta l’umanità per gli orrori della Shoah: “Noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi suoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza”.

Un altro significativo atto fu la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma il 13 aprile del 1986. Un momento storico in cui il pontefice si rivolse al rabbino Toaff con parole di profonda stima: “siete i nostri fratelli prediletti (…), i nostri fratelli maggiori”. Fu il primo papa a visitare una Sinagoga.

BENEDETTO XVI. Nuove accuse al papa tedesco: il ritorno di un mito
Le origini tedesche di Joseph Ratzinger e la sua formazione in ambienti nazisti furono uno spunto per dar vita a una vera e propria propaganda denigratoria nei confronti dell’attuale papa. Sulla sua appartenenza alla “Gioventù hitleriana” (Hitlerjugend) si è discusso molto, benché il portavoce vaticano Federico Lombardi abbia smentito categoricamente ogni collaborazione col progetto politico del Fuhrer. In realtà il giovane Ratzinger fu arruolato a sedici anni nella contraerea assieme ai suoi compagni di seminario e poi – ai diciotto anni – svolse il suo servizio militare obbligatorio lungo la frontiera con l’Austria. Dopo la morte di Hitler, nel 1945, si ritirò dall’esercito (rischiando la fucilazione o impiccaggione prevista come rappresaglia per i disertori) e tornò a casa, dove poco tempo dopo, fu preso dagli alleati ed imprigionato con altri 50.000 prigionieri tedeschi. Il dramma vissuto dalla famiglia Ratzinger durante la guerra fu quello di ogni famiglia tedesca costretta a non esporsi contro il regime e obbligata a prestare i propri figli alla causa bellica. Sono “ricordi opprimenti” che i detrattori di Benedetto XVI disconoscono o preferiscono tacere.

Nel maggio del 2006 Benedetto XVI, in visita ad Auschwitz, espresse parole di profondo dolore nei confronti delle disumane stragi naziste: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania”. Benedetto XVI ha anche chiesto che i nomi delle vittime non siano mai dimenticati e la strage nazista mai sminuita o negata. Nel 2009 la sua cordialità verso il popolo ebraico lo condusse in visita apostolica in Israele dove ha nuovamente condannato il “ripugnante antiseminismo”.

FRANCESCO: una amicizia sincera con la comunità ebraica
Jorge Mario Bergoglio non ebbe rapporti diretti col nazismo e nei confronti della Shoah ha espresso la sua ferma e decisa condanna definendola “una vergogna per l’umanità”. L’attuale pontefice stringe da molti anni una sincera e profonda amicizia fraterna col rabbino argentino Abraham Skorka col quale, nel 2010 pubblicò un libro intitolato “Il cielo e la terra” frutto di numerosi dialoghi avvenuti tra l’arcivescovo di Buenos Aires e il rettore del Seminario Rabbinico Latinoamericano. Il testo (unico libro scritto dal cardinale argentino) ebbe una grande fortuna dopo l’elezione di papa Francesco diventando il numero 1 nelle vendite in tutto il mondo. Nel libro Bergoglio si riferisce ciò che accadde nei campi di concentramento come “eventi diabolici” ed esprime il suo desiderio di aprire gli Archivi Vaticani che riguardano il pontificato di Pio XII (ancora in fase di catalogazione) per una maggiore chiarezza sulla questione dei rapporti tra Chiesa e Nazismo.

Dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, nel 2013, la rivista Forward, voce autorevole della cultura ebraica in America, ha inserito il nuovo papa Francesco nella lista dei 50 ebrei dell’anno; una novità – essendo cattolico – che testimonia le ottime relazioni che intercorrono tra il papa e il popolo giudaico e che premia il tentativo del papa, nei primi mesi di pontificato, di approfondire i rapporti di collaborazione e reciproca stima con gli ebrei. Nel 1994, dopo il terribile attentato alla comunità ebraica di Buenos Aires che costò la vita a 85 persone, monsignor Bergoglio mostrò grande solidarietà e, nel 2005, già cardinale, fu uno dei firmatari della lettera “85 vittime, 85 firme” chiedendo giustizia per le vittime della aggressione.

Nei primi mesi di pontificato, Francesco ha ricevuto in udienza privata la comunità ebraica di Roma a cui ha rivolto parole di grande stima, rispetto e amicizia sottolineando che “un cristiano non può essere antisemita”. Ha incontrato anche una delegazione di cinquanta ebrei statunitensi rappresentanti della prestigiosa American Jewish Committee. Il nuovo papa ha subito espresso il desiderio di viaggiare in Israele: l’occasione per la visita alla Terra Santa è il cinquantesimo anniversario dello storico incontro tra il papa Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Athenagora. In questa occasione, secondo viaggio ufficiale del papa fuori dall’Italia, Francesco sarà accompagnato dall’amico rabbino A. Skorka. E’ in programma, tra gli altri incontri, la visita al Muro Occidentale, un momento di preghiera presso il memoriale Yad Vashem dedicato alle vittime della Shoa.

 CONCLUSIONE
In conclusione possiamo dire con certezza che tutti i pontefici succedutisi sul soglio pontificio, da Pio XI a Francesco, sono stati un esempio di vicinanza e di benevolenza nei confronti del popolo ebraico. Mai la Chiesa, in tutta la sua storia, è stata vicina al popolo semitico e alla religione di Abramo come in questi decenni. Accusare di antisemitismo anche solo uno di questi pontefici ci renderebbe debitori verso la storia e verso la verità. Achille Ratti, Eugenio Pacelli, Angelo Roncalli, G. Battista Montini, Albino Luciani (papa per soli 30 giorni), Karol Wojtyla, Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, sono stati tutti uomini di pace, hanno contribuito al miglioramento del rapporto con gli ebrei (per secoli conflittuale) e hanno difeso i diritti dell’uomo e l’ugualianza di ogni razza, status sociale e credo religioso. E’ più che auspicabile e quanto mai urgente prendere le distanze dagli slogan e dalla comune retorica anticattolica per ritornare ai fatti realmente accaduti; è necessaria una rilettura della storia libera da quelli occhiali ideologici con cui questa brutta pagina ci è stata raccontata. Scopriremo verità forse a noi nascoste, rivivremo quei momenti di paura e incertezza e capiremo l’importanza di far parte di questa Chiesa che si spese per difendere i più deboli voltanto le spalle al nemico. Lo testimoniano diverse storie concrete di ebrei salvati dai cristiani. Lo testimonia il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas affermando che, durante le persecuzioni degli ebrei, “ovunque appariva una tonaca nera c’era rifugio” e sentendosi “debitore verso tale carità”: “Devo la vita della mia piccola famiglia a un monastero in cui mia moglie e mia figlia furono salvate”. Lo testimonia anche Albert Einsten in una intervista rilasciata nel 1940: Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità. Prima io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale“.

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