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Sui passi della Bibbia

Map of Madaba

© Public Domain

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 22/05/14

All’evento “La linfa dell’ulivo” l’affascinante testimonianza dei cristiani della Mappa di Madaba

Le Sacre Scritture come luogo di incontro tra Dio e l’uomo sono al centro del Festival biblico 2014 di Vicenza del quale costituisce una suggestiva introduzione la tre giorni “Linfa dell’Ulivo” iniziata nel pomeriggio del 22 maggio nel capoluogo veneto ed ideata dall’Ufficio pellegrinaggi dicoesano. Il rapporto tra Dio e uomo ha una terra d’elezione “quella su cui si posero gli occhi assetati di Mosè dalla cima del Monte Nebo”. L’archeologo francescano Eugenio Alliata, direttore del Museo della Flagellazione di Gerusalemme, spiega ai partecipanti al convegno e ad Aleteia il valore del mosaico “La mappa di Madaba”, eccezionale documento artistico e storico del Monte Nebo in Giordania.

Che cosa racconta la mappa di Madaba?

Alliata: In archeologia bisogna partire dai fatti. La mappa è anzitutto la decorazione di un pavimento realizzato nel VI secolo per una chiesa di una città al di là del Giordano, Madaba, che faceva parte dell’ antica provincia romana di Arabia ed era abitata da cristiani di lingua aramaica discendenti dall’antico popolo biblico dei Moabiti. Il mosaico rappresenta la regione biblica che va dall’Egitto al Libano, con una accurata raffigurazione della città di Gerusalemme e altri 156 luoghi di memoria biblica presenti nelle varie parti del frammento. Infatti il pavimento originario doveva essere intorno ai 94 metri quadrati, ma al momento della scoperta, nel 1897, ne sono stati rinvenuti solo 25. Ci parla dei luoghi santi: vi troviamo, oltre a Gerusalemme, Betlemme, Gerico, Hebron ma anche altri luoghi non biblici che erano noti ai contemporanei. La mappa mostra il recepimento della Bibbia tra i cristiani dell’epoca al di là del Giordano e ci riporta indietro nel tempo. Si tratta di un documento complesso, di grande importanza per l’arte, la storia dei luoghi santi e dell’antico cristianesimo, la topografia biblica, l’interazione con il popolo ebraico e le popolazioni che vivevano loro accanto come quelle della regione di Moab, dove il mosaico è stato fatto, un documento la cui interpretazione è destinata a far discutere, sul significato e anche sui dettagli.

La mappa offre conferme della storia biblica?

Alliata: Non può essere considerata una prova della storia biblica, perché non è contemporanea. Viene disegnata 1000 anni dopo la scrittura dell’Antico Testamento e 500 anni dopo il Nuovo Testamento. E’ un documento di interpretazione collaterale che permette di mettere in relazione i risultati delle scienze archeologiche e storiche. Non è una testimonianza diretta, ma si basa su un lavoro culturale simile al nostro che tiene conto della tradizione, delle testimonianze, della ricerca archeologica. Con risultati sorprendenti. La carta di Madaba ha permesso di ritrovare santuari perduti come san Zaccaria o il santuario di Bethabara sul luogo di battesimo di Gesù, dove passerà anche il Papa, e dà informazioni che le ricerche archeologiche di oggi completano. Poi c’è l’aspetto del documento iconografico che è frutto di studio dei contemporanei e oggetto di studio da parte nostra: l’avventura umana della conoscenza del mondo biblico passa anche attraverso la mappa di Madaba.

Cosa la colpisce in particolare?

Alliata: Si rimane ammirati per la cultura di quei cristiani così orgogliosi della propria eredità, di appartenere ai luoghi della Bibbia tanto da voler vedere i propri luoghi, che fanno riferimento a questo o quell’episodio delle Scritture, indicati sulla mappa e rappresentati sul pavimento di una chiesa. Noi che ci vantiamo del grado della nostra cultura rimaniamo ammirati per la loro conoscenza anche di episodi rari e poco conosciuti della Bibbia, situati concretamente in un determinato luogo, indicando conclusioni a cui noi archeologi siamo arrivati solo dopo anni di ricerche. E’ interessante vedere come anche loro si dedicavano alle ricerche bibliche: si può dire che siano i nostri concorrenti del passato.

Avete annunciato che presto sul Monte Nebo sarà aperto il Memoriale di Mosè: è così?

Alliata: La gran parte dei lavori architettonici è terminata, adesso si è nella fase della sistemazione degli interni e del restauro dei mosaici. La basilica del memoriale di Mosè potrà essere riaperta al pubblico pensiamo già alla fine di quest’anno. E’ un luogo santo particolare. Mosè non è entrato nella Terra promessa, lo ha fatto il suo popolo e questo rappresenta un po’ la parabola della vita umana. Tutti noi abbiamo sogni e desideri che non sempre si realizzano, ma su tutti noi c’è un progetto di Dio che passa attraverso noi, ma si realizza anche oltre noi.

Papa Francesco non arriverà sul Monte Nebo…

Alliata: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel loro itinerario in Terra santa sono riusciti visitare il Monte Nebo che è uno dei luoghi più rappresentativi del cristianesimo in Giordania. In questa occasione, per ragioni organizzative, si è preferito, data la brevità della visita, che Papa Francesco si fermasse a Betania al di là del Giordano, il luogo del battesimo di Gesù dove anche si sta costruendo un nuovo santuario. D’altra parte noi non eravamo ancora pronti per l’inaugurazione pubblica. Sono entrambi luoghi di interesse non solo per i cristiani: per l’Islam, infatti, sia Mosè che Giovanni Battista sono dei profeti. Tutto questo deve essere sempre più uno stimolo per l’incontro tra culture e religioni e non per lo scontro.

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