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Si può perdonare chi ha violentato e ucciso la tua figlioletta?

Clotilde Silva (Chile) – it

Portaluz.org

Portaluz - pubblicato il 20/05/14

Non solo: questa madre cilena voleva visitare l'assassino in carcere e parlargli dell'amore di Dio

Clotilde Silva racconta che il pomeriggio del 27 febbraio 2008 tutto sembrava normale a Isla Teja (Valdivia, Cile).

“I bambini giocavano in strada perché tutti i vicini si conoscevano, quasi come una grande famiglia. Non esistevano dubbi o sfiducia”.

Era questo lo stile di vita della piccola comunità rurale costiera cilena. Man mano che scendeva la sera e i bambini tornavano a casa, però, risultò chiaro che era successo qualcosa a Sofía e Camila, due amichette di 6 e 7 anni. Erano scomparse e nessuno sapeva dove fossero.

Clotilde ricorda che anche se la sua casa quella sera di incertezza per l’assenza della sua figlioletta Sofía era piena di gente, sentì il bisogno di rifugiarsi nello Spirito Santo. Senza esitare andò in bagno, si inginocchiò e pregò: “’Preparami, Signore, dammi la forza per affrontare quello che verrà’. Oggi vedo che il Signore mi aveva preparata da prima, ero tranquilla, serena”, ha spiegato in un’intervista concessa alla rivista Portaluz.

Fede provata sulla croce

In quella preghiere che elevava al suo “papà Dio”, come le piace chiamarlo, non c’erano solo abbandono e fiducia. Quasi percependo quello che in quel momento poteva vivere la sua piccola, ricorda che nella sua supplica continuò dicendo: “Signore, non permettere che Sofía soffra. Qualsiasi cosa debba subire, che non soffra”.

Il giorno dopo, Clotilde si recò in Procura per l’iter legale della denuncia per presunta disgrazia. Quando arrivò, però, la sua intuizione materna della sera precedente divenne certezza. Avevano ritrovato i corpi di due bambine… erano Sofía e Camila.

“Non ho voluto vederla”, ha spiegato. “È stato mio marito a dover affrontare quel momento. La stampa mi chiedeva se avessi visto il corpo, ma non ho voluto. Sono rimasta con l’immagine allegra e affettuosa di Sofía, così era mia figlia e così voglio ricordarla sempre”.

Il rapporto dell’autopsia eseguita sul corpo della piccola è stato per Clotilde una prova che Dio aveva ascoltato la supplica che gli aveva rivolto nel bagno di casa. “Tutte le atrocità che l’assassino ha fatto alla mia Sofi sono state post mortem. Dio ha protetto mia figlia dalla malvagità terrena, ed è una cosa per cui non smetto di ringraziarlo”.

Testimone e apostola del perdono

L’impatto emotivo del sequestro, dell’omicidio e della violenza di cui sono state vittime le due bambine è stato così forte nella comunità che presto il criminale ha iniziato ad essere chiamato “Lo sciacallo di Isla Teja”, ma nel cuore di Clotilde non c’era spazio per l’odio o per nomignoli. “Volevo mostrargli la via che porta a Cristo”, ha confessato.

Per questo, nel bel mezzo del processo, Clotilde ha preso una decisione che ben poche madri avrebbero preso in quella situazione: ha parlato con il suo parroco, padre Ivo Brasseur, chiedendogli il suo sostegno e l’aiuto per poter far visita in carcere all’assassino.

“Volevo vederlo, guardarlo negli occhi e regalargli un Nuovo Testamento… quello di Sofía. Dirgli che lei lo leggeva e che io glielo lasciavo perché lo leggesse anche lui, perché ora avrebbe avuto tempo di conoscere Dio; e volevo anche che imparasse a pregare, perché pregasse per tutti quegli uomini che avevano l’intenzione di commettere quella malvagità”.

Clotilde non ha potuto concretizzare questo desiderio di fede perché l’assassino, otto mesi dopo l’ingresso nel carcere della zona, si è suicidato.

Il giorno in cui la comunità si è riunita nel cimitero per dare l’ultimo saluto alle bambine, ha commentato Clotilde, la gente era eccitata e ha iniziato a gridare: “Uccidetelo! Uccidetelo!”. Lei, non riuscendo a sopportare quella scena, ha preso un microfono e rivolgendosi alla moltitudine ha detto: “Io non voglio che sia ucciso, non si deve fare! Che si ottiene uccidendo quella persona?”.

“Non ricordo tutto ciò che ho detto”, ha riferito emozionata, “ma ho parlato di molte cose, e in seguito mi sono resa conto che è stato il Signore a farmi parlare. È stato lui a far sì che parlassi alla gente”.

Il trionfo dell’amore sul male

Quel giorno tutta la comunità di Isla Teja si era riunita, e per Clotilde era un segno dell’amore di Dio e un’opportunità di proclamarlo… “Sono arrivate persone di diverse religioni, era come un tempio meraviglioso che pregava Dio, tutti uniti in una fede. Quando mi abbracciavano, potevo sentire in ogni abbraccio che il Signore mi allontanava dal dolore e mi sono aggrappata di più a Cristo, perché egli mitigava il dolore con ogni abbraccio delle persone; era meraviglioso. Non ho neanche mai preso tranquillanti, non ho voluto. Ero con Dio e Lui era con me”.

Poter offrire la sua testimonianza anni dopo quel fatto è per Clotilde un’opportunità che completa il dar ragione della sua fede. “Dio ha creato in me un cuore senza rancore, senza odio verso le persone. Sono una figlia di Dio e devo agire secondo il Signore, non come agiscono gli uomini. Egli ci dice che dobbiamo essere come bambini e accoglierlo. Quando si ama davvero con il cuore, quando si apre il cuore a Cristo, Dio ci apre le porte, i nostri occhi brillano in modo diverso, ma quando si è ciechi, anche se si ha accanto il fiore più bello non lo si vede”.

Clotilde, salda nella fede, oggi ricorda solo l’allegria di sua figlia. Vive in pace e con speranza. “La mia Sofi è con me e un giorno sarò di nuovo con lei”.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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