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Paolo VI e Athenagora: quell’abbraccio che cambiò la storia

Pope Paul VI and Patriarch Athenagoras at Jerusalem in January 1964

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 20/05/14

50 anni fa il primo incontro fraterno tra un pontefice romano e un patriarca ecumenico: oggi un libro lo racconta

Nove secoli di distanze e di barriere abbattuti in un gesto. Questo accadde a Gerusalemme, il 6 gennaio 1964. A pochi mesi dalla sua elezione, Paolo VI portava a compimento un percorso di ravvicinamento che durava ormai da tempo, ma che si era concretizzato solo negli ultimi anni, soprattutto per volere del suo predecessore. In quegli anni nei quali stava cambiando radicalmente, la Chiesa di Roma compiva un altro passo straordinario andando ad incontrare la Chiesa d’Oriente nella figura più che autorevole del suo patriarca, Athenagora. Il lavoro di quegli anni, le personalità dei protagonisti, il significato dell’evento e le sue ripercussioni mai cessate da allora: tutto questo è raccontato inL’abbraccio di Gerusalemme. Cinquant’anni fa lo storico incontro tra Paolo VI e Athenagoras (Paoline 2014), scritto dalla ricercatrice di Storia Sociale e Religiosa, la dottoressa Valeria Martano. Il testo sarà presentato mercoledì prossimo, 21 maggio, presso la Sala Marconi della Radio Vaticana (Piazza Pia 3 – Città del Vaticano), alla presenza, tra gli altri, del cardinale Paul Poupard e di Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di S. Egidio. Aleteia ha incontrato l’autrice.

Qual è il significato di questo abbraccio di 50 anni fa?

Martano: Io credo che l’abbraccio di Gerusalemme, come abbiamo voluto intitolare questo libro riferendoci a questo gesto straordinario che ci fu tra Papa Paolo VI e Athenagora il giorno dell’Epifania del 1964, rappresentò, sono le parole di Paolo VI, “un colpo d’aratro” nella storia della Chiesa del secolo scorso, ma direi in generale. Erano più di 500 anni che un patriarca ecumenico e un papa di Roma non si incontravano, e l’ultimo incontro non era stato un incontro di fraternità: c’erano quindi più di 900 anni di separazione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Siamo nella stagione del Concilio, tra la Seconda e la Terza sessione del Concilio Ecumenico, Paolo VI è diventato papa da pochi mesi, e raccoglie l’eredità di Giovanni XXIII. Quest’ultimo aveva vissuto circa vent’anni nelle terre dell’ortodossia, prima in Bulgaria e poi in Grecia, come delegato apostolico, e aveva sviluppato un suo legame con l’Oriente cristiano, direi un suo apprezzamento.


Ci sono parole bellissime che Papa Giovanni scrive, prima di essere papa ma anche dopo, sulle sue memorie dei culti ortodossi. E poi conosciamo l’attitudine spirituale di Papa Roncalli, di cercare ciò che unisce. Questo momento rappresenta un momento di svolta per la Chiesa, forse un momento di vera Epifania, anche di quello che erano in quel momento le attese del Concilio.

In quell’abbraccio allora c’è anche Giovanni XXIII?

Martano: Sicuramente. Il libro da una parte ripercorre la storia dell’abbraccio di Gerusalemme partendo proprio da quella che è stata la lunga missione di Angelo Roncalli in Oriente. Dall’altra parte la tensione unitiva del patriarca Athenagora, questa grandissima figura dell’Oriente cristiano che nasce nei Balcani, nell’epoca in cui la coabitazione ottomana si andava sfaldando: egli eredita una tradizione di coabitazione tra religioni, fedi, e direi anche tra confessioni cristiane la cui disgregazione è ancora oggi in atto, ed è drammaticamente sotto i nostri occhi, pensiamo alla Siria. Quindi parliamo di qualche cosa di estremamente attuale. Il patriarca Athenagora aveva trascorso, questo è interessante, venti anni in Occidente come arcivescovo negli Stati Uniti d’America. Quindi diciamo che esiste una corrispondenza biografica tra Roncalli e Athenagora. Entrambi vivono questo desiderio dell’unità, di quella che poi Giovanni Paolo II chiamerà “la Chiesa con i due polmoni”.


Com’era il mondo cristiano prima di quell’abbraccio e cosa è cambiato dopo?

Martano: Prima di quell’abbraccio c’era un intenso lavoro di unità compiuto da specialisti e da religiosi, sia in ambito cattolico che ecumenico, c’era una ricerca di dialogo a un livello alto, ma esisteva una grossa separazione di fatto, una non conoscenza reciproca nel popolo. L’abbraccio di Gerusalemme porta in tutte le case l’immagine di questo patriarca ortodosso che abbraccia il papa. E’ un po’ l’irruzione dell’Altro nel mondo, soprattutto in Italia, dove non vi eravamo abituati. Eravamo negli anni ’60, prima di un’immigrazione dall’Est Europeo, prima che il Concilio ci portasse le icone nelle chiese cattoliche: oggi noi le vediamo in chiesa e ci sembra normale, ma nella tradizione preconciliare questo era riservato solo a pochi cultori dell’ecumenismo. L’abbraccio di Gerusalemme è stato anche un evento molto “mediatizzato”. Quello che è interessante, e che io provo a descrivere nel libro, è che il viaggio di Paolo VI in Terra Santa fu un evento di fronte al quale il mondo si fermò.

Era una prima storica assoluta. Era la prima volta di un papa che esce dall’Italia per andare in pellegrinaggio, la prima volta che sale la scaletta di un aereo. I Patti Lateranensi sono solo di 35 anni prima: dunque, molte persone che videro questo evento in televisione ricordavano il tempo in cui il papa neanche usciva da San Pietro. Certo, c’era stato Giovanni XXIII che aveva cominciato ad uscire, a visitare il carcere, le parrocchie, il Bambin Gesù, era andato in pellegrinaggio ad Assisi e a Loreto, e questo era stato un momento di grande entusiasmo popolare. Ma il papa che prende l’aereo e parte per andare in Terra Santa è un evento del quale oggi stentiamo a cogliere il valore straordinario perché siamo abituati all’idea di un Ministero itinerante per il mondo. Paolo VI ha visitato tutti i continenti, dopo di lui Giovanni Paolo II ha fatto del viaggio del papa uno strumento pastorale, ma non era così nel 1964. Per questo il mondo si ferma: i giornali mandano a Gerusalemme tutti i più grandi giornalisti dell’epoca, la Rai che non poteva fare ancora le dirette inventa un sistema per trasmettere entro poche ore tutte le immagini del papa. Quindi questo abbraccio non è avvenuto nel chiuso di un incontro, ma è avvenuto davanti al mondo, e ha cambiato nel profondo la percezione dell’altro.

Oggi siamo alle soglie di un altro grande “abbraccio”?

Martano: Io credo che la scelta di papa Francesco di tornare a Gerusalemme sia altamente significativa. Innanzitutto questo è il primo viaggio da lui stesso scelto che il papa compie, perché il Brasile era già in agenda. In questo modo mi sembra che papa Francesco voglia dare un segno concreto delle parole che sta ripetendo dall’inizio del pontificato: tornare al Vangelo, tornare alle radici della fede, tornare alla parola del Vangelo senza aggiunte, che poi è anche la scelta del suo nome (il Vangelo sine glossa di Francesco).

Il messaggio è molto significativo: è da lì che viene l’unità. L’unità si fa se tutti i cristiani tornano al sepolcro di Gesù. Quindi mi sembra che possiamo aspettarci un nuovo slancio all’unità tra i cristiani, che è una domanda impellente del mondo di oggi di fronte a tante difficoltà. Si parla tanto della secolarizzazione, ma pensiamo anche appunto alla violenza che c’è in tante parti del mondo, alle persecuzioni di cui i cristiani sono vittime. Quanto abbiamo bisogno di essere uniti, di volerci bene, di apprezzarci! Questa preghiera davanti al Santo Sepolcro personalmente la aspetto con molta emozione, perché mi sembra che è quell’abbraccio che continua e che diventa più liturgico, in un luogo così significativo come a dire “ripartiamo da lì, quella è la strada da compiere”. Questi 50 anni non sono passati invano, perché oggi la frequentazione tra cattolici e ortodossi è quotidiana, avviene nei movimenti, nelle parrocchie, nelle comunità. E c’è bisogno di abbracciarsi, per affrontare le sfide che abbiamo davanti.


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