È arrivato in libreria il nuovo libro di Gilberto Borghi che sviluppa alcune delle riflessioni proposte su Vino Nuovo
È arrivato in libreria in questi giorni per l’editrice EdB «Credere con il corpo», il secondo libro di Gilberto Borghi. Come nel volume precedente «Un Dio inutile» anche questa volta sono pagine nelle quali i lettori diVino Nuovo ritroveranno alcune storie incrociate negli articoli proposti dal professor Borghi su questo blog. Ma questa volta il libro nasce come una riflessione più articolata su un tema oggi fondamentale per chi vuole entrare in dialogo davvero con i giovani: la questione di un rapporto ritrovato con la dimensione del proprio corpo. Dal libro anticipiamo qui sotto la prefazione di Giuseppe Savagnone.
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Questo libro di Gilberto Borghi non è un trattato teologico sul corpo. Non è neppure un’inchiesta sui giovani. È il racconto della quotidiana esperienza di un insegnante di religione cattolica, con tutta la freschezza di un racconto, agile e avvincente, dove le grandi questioni di Dio e dell’uomo emergono dai mille spunti disseminati nel dialogo con ragazzi e ragazze tra i quattordici e i diciannove anni, con i loro problemi, le loro speranze, i loro gusti e le loro convinzioni.
In questo dialogo, a partire dalle domande e dalle intuizioni dei suoi alunni, il docente non sale in cattedra per impartire noiose lezioni, ma neppure è in balìa del puro contingente («Di cosa volete parlare oggi?»). È lui a condurre la riflessione, a partire da una canzone o dal commento di un alunno. Lasciandosi però, a sua volta, interrogare e rimettere in discussione, come sempre dovrebbe fare un educatore degno di questo nome, come sempre dovrebbe fare un credente, per cui il dubbio di un altro può essere l’occasione di approfondire e verificare la propria fede.
Perciò si comincia non con un trattato teologico di Rahner o di von Balthasar, ma con una discussione su Ascolta l’Infinito, di Fiorella Mannoia. È da qui che prende le mosse una ricostruzione acuta e documentata, ma al tempo stesso accessibile anche a dei ragazzi, delle disavventure della concezione cristiana della persona, dalla complessa e articolata visione biblica, che ne valorizzava tutte le sfaccettature, al rigido dualismo del pensiero moderno, dove il corpo è diventato una macchina e lo spirito si è venuto a identificare con la ragione. Col risultato che la stessa esperienza cristiana spesso è evaporata in un vago è fossilizzata in un astratto razionalismo.
«Oggi – nota Borghi – la fede ha possibilità di essere rilevante e produrre perciò santità e cultura solo se è data in una forma che riunisca l’uomo in tutte le sue dimensioni». Anche quella corporea, che non può ridursi a una semplice «parte» dell’essere umano, ma lo coinvolge nella sua interezza. E del resto, «la nostra fede sta in piedi sul corpo! Dio si è fatto carne. Gesù risuscita nel suo corpo. Noi ci nutriamo del suo corpo e sangue. Non esiste, semplicemente non esiste, un cristianesimo senza corpo». Perciò «il recupero di una fede del corpo è il nocciolo sul quale oggi la fede sta o cade».
Da qui l’enorme importanza di rivalutare anche il cuore, non nella logica di un melenso sentimentalismo, ma in quella a cui allude la nota pensatrice americana Martha Nussbaum, quando osserva che «per reagire correttamente a un caso pratico […] che ci sta davanti, è necessaria non soltanto la valutazione dell’intelletto, ma anche un’appropriata risposta emozionale» e intitola un suo saggio L’intelligenza delle emozioni. In realtà, ben prima di lei, queste cose le aveva già dette il grande card. Newman, citato da Borghi, che commenta: «In questa visione il corpo allora diventa sia il luogo della percezione della verità che quello della espressione della stessa. Verità che in questo modo sorpassa la ragione stessa e coglie della realtà anche lati e sfumature che altrimenti sarebbero invisibili».