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Famiglie fedeli alla chiamata di Dio

The families in the Bible

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Dimensione Speranza - pubblicato il 14/05/14

L'importanza della famiglia nella Scrittura e nella tradizione ebraica

1. Premesse

Prima di inoltrarci nell’analisi dei dati emergenti dalla testimonianza dei passi biblici e della tradizione che per prima li ha fissati e interpretati, è opportuno puntualizzare (seppur brevemente) alcune dimensioni fondamentali nell’orizzonte delle quali si articolerà la nostra riflessione.

1.1 L’importanza della famiglia nella Scrittura e nella tradizione ebraica

Come più volte è già stato ribadito nell’ambito di queste settimane di studio, le dinamiche della vita famigliare (e in particolare della relazione matrimoniale) sono utilizzate nella Scrittura per descrivere il rapporto fra Dio e il suo popolo, esprimendo in questo modo sia la particolare dimensione affettiva dell’agire divino, che la possibilità di testimoniare la dimensione trascendente dell’amore attraverso relazioni umane autentiche. A tale proposito, la tradizione ebraica sottolinea con questo breve commento (che già abbiamo avuto modo di menzionare qualche anno fa) l’importanza del fatto che Dio metta il suo Nome in relazione al matrimonio:

Lo stato matrimoniale è tanto importante che il Santo, benedetto sia, in tutte e tre le parti1 della Sacra Scrittura – Torah (Pentateuco), Nevi’im (Profeti), Ketuvim (Scritti agiografici) – mette in relazione il Suo Nome con il matrimonio.

Nella Torah – poiché quando Eliezer andò a prendere Rebecca per Isacco (Gen 24,50) si legge: -Allora Labano e Betuel risposero: “La cosa viene dal Signore”-.

Nei Nevi’im – poiché quando Sansone si prese una moglie (Gdc 14,4)2 si legge: -Il padre e la madre non sapevano che ciò proveniva dal Signore-.

Nei Ketuvim – poiché sta scritto (Pr 19,14): -Una moglie assennata viene dal Signore-. Tu apprendi dunque che il Santo, benedetto sia, mette in relazione il suo Nome con il matrimonio3 .

È evidente l’attenzione a cogliere un particolare legame tra la relazione matrimoniale e il manifestarsi di Dio nell’ambito del farsi del "popolo della promessa" che, proprio attraverso l’esperienza del clan famigliare prima e della comunità più allargata poi, testimonia nel tempo il suo impegno nell’ambito dell’alleanza e degli impegni derivanti dalla medesima

1.2 Alleanza e famiglia nell’esperienza del popolo di Israele

L’importanza della testimonianza nel tempo (e soprattutto in ambito famigliare) di ciò che Dio ha operato a favore del suo popolo è ben espressa nel seguente passaggio del Salmo 77:

Popolo mio, porgi l’orecchio al mio insegnamento,
ascolta le parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca in parabole,
rievocherò gli arcani dei tempi antichi.

Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato,
non lo terremo nascosto ai loro figli;
diremo alla generazione futura
le lodi del Signore, la sua potenza
e le meraviglie che egli ha compiuto.

Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe,
ha posto una Torah [insegnamento divino rivelato] in Israele:
ha comandato ai nostri padri
di farle conoscere ai loro figli,
perché le sappia la generazione futura,
i figli che nasceranno.

Anch’essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli
perché ripongano in Dio la loro fiducia
e non dimentichino le opere di Dio,
ma osservino i suoi comandi [insegnamenti] (Sal 77, 1-7).

Emerge pertanto il valore fondamentale di una testimonianza che faccia costantemente memoria dell’agire di Dio e dei suoi insegnamenti rivelati al Sinai, affinché non venga meno la fiducia riposta in Lui e si osservino gli impegni assunti per diventare "un popolo santo" (cfr. Es 19,5-6 e Lv 19,1ss.). È una sorta di "consegna", che ogni generazione adulta affida a quella più giovane perché possa fare altrettanto nei confronti dei propri figli.


1.3 Fedeltà a Dio”facendo e ascoltando” i suoi insegnamenti

Nell’orizzonte dell’alleanza biblica la fedeltà è innanzitutto testimoniata come capacità di "rimanere saldi" in Dio, soprattutto nei momenti difficili, così come ha fatto Abramo di fronte

al "segno delle stelle" nonostante i suoi ragionevoli dubbi sulla possibilità di realizzazione della promessa: -Egli rimase saldo nel Signore che glielo ascrisse come atto di giustizia-, cioè di merito (Gen 15,6)4. Fedeltà a Dio è pertanto capacità di credere e aderire alla sua parola senza perdere mai la fiducia in Lui.

In secondo luogo la Scrittura attesta l’importanza di un impegno nei confronti del progetto divino per l’umanità "facendo e ascoltando" gli insegnamenti rivelati, così come ha dichiarato il popolo d’Israele accettando la rivelazione sinaitica: -tutto ciò che il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo» (Es 24,7)5

Nell’orizzonte biblico questa espressione (forse poco logica per la cultura occidentale abituata prima a capire e poi ad agire) sta a significare che gli insegnamenti divini vanno innanzitutto messi in pratica, in quanto provengono da un Dio che ha liberato dall’Egitto, ed è pertanto nell’ambito di tale "fare" che si "ascolta" comprendendo attraverso l’esperienza i valori soggiacenti. In altri termini: dalla prassi alla concettualizzazione, e non viceversa, come un bambino che capisce facendo, perché è questo il modo con cui Dio educa il suo popolo. Gesù stesso conferma tale dinamica quando dice ai discepoli: -Io sono la via, la verità e la vita- (Gv 14,6), per un ebreo infatti il termine "via" evoca la Torah, intesa come "via" degli insegnamenti rivelati.

Significativo quindi è il fatto che, nell’originale ebraico della Scrittura, il termine corrispondente all’italiano "fede" sia ‘emunah, una configurazione della radice ‘-m-n che comprende i significati di "rimanere saldo, avere fiducia", la stessa radice verbale dalla quale deriva anche il termine ‘amen con cui il credente esprime l’adesione totale e radicale a Dio.

2. Testimonianze di "coppia" fra fedeltà a Dio e intraprendenza

Prendiamo ora in esame (senza alcuna pretesa di esaustività) l’agire di alcune coppie bibliche nell’ambito di narrazioni note, per vedere in che modo hanno vissuto e testimoniato la loro fedeltà al progetto di Dio.

2.1 L’esperienza dei patriarchi

Iniziando dal periodo dei patriarchi, che segna l’inizio della storia del popolo d’Israele così come attestato dalla tradizione biblica6, ci si accorge che la loro fedeltà nel custodire il "patto" stipulato da Dio con Abramo (cfr. Gen 12,1-3) si coniuga con una certa intraprendenza che può essere variamente interpretata. Può infatti rivelarsi provvidenziale per risolvere situazioni rischiose come nel caso di Abramo e Sara in Egitto (cfr. Gen 12,10 ss.), può essere il segno del tentativo di mediare il perdono divino nei confronti dei peccatori come nel caso dell’intercessione di Abramo a favore di Sodoma (cfr.Gen 18,16 ss.), ma può anche apparire discutibile come la primogenitura carpita da Giacobbe ad Esaù (cfr. Gen 25,29-34 e 27,1 ss.), così come può rivelarsi non aderente al progetto divino: un esempio significativo è il concepimento di Ismaele (cfr. Gen 16,1 ss.) che, sebbene conforme alle usanze dell’epoca7, non può essere considerato il segno del realizzarsi della promessa che invece si attuerà attraverso Isacco (cfr. Gen 17,15 ss.).

In ogni caso, fra "luci e ombre", i patriarchi assieme alle loro mogli garantiscono nell’ambito del loro rapporto coniugale e delle loro famiglie il realizzarsi di una promessa che ha come orizzonte -tutte le famiglie della terra- (Gen 12,3). Per questo è importante che la successione patriarcale sia garantita dalla fedeltà a una tradizione. A tale proposito è significativo il commento rabbinico relativo al passo della Genesi nel quale si precisa che Isacco introdusse Rebecca -nella tenda di sua madre Sara [e, solo successivamente a tale gesto, la] prese in moglie e l’amò. (Gen 24,67).


Eppure non era forse una donna splendida d’aspetto che già si era rivelata al servo fedele come "segno" della volontà divina? (cfr. Gen 24,12-51). Secondo un midras8 che già abbiamo avuto modo di ricordare negli anni passati, era necessario che Isacco riconoscesse in Rebecca le stesse qualità spirituali dei propri genitori, che si esprimono nella capacità di ricevere e trasmettere la tradizione testimoniandola nella prassi

"E la portò [Rebecca] Isacco nella tenda di Sara sua madre (Gen 24,67)". Quando Sara era viva, una nuvola [segno della divina presenza] era legata all’ingresso della sua tenda; quando morì, la nuvola cessò. Venuta Rebecca, tornò la nuvola. Mentre Sara era viva, le porte erano largamente aperte [all’ospitalità]; morta Sara, cessò questa larghezza. Venuta Rebecca, tornò questa larghezza. Quando Sara era viva, la sua pasta era benedetta; morta Sara, cessò questa benedizione. Venuta Rebecca, tornò. Quando Sara era al mondo, un lume era acceso dalla notte del Sabato alla notte del Sabato seguente; morta Sara, cessò questo lume. Venuta Rebecca, tornò. E quando Isacco vide che [Rebecca] faceva come sua madre, che prelevava la sua pasta [da offrire ai sacerdoti del Tempio] in purità [secondo le norme prescritte in Nm 15,17-21] ed impastava la sua pasta in stato di purità [secondo le prescrizioni alimentari della Torah], subito la portò nella tenda di Sara sua madre9.

Si conferma in questo modo l’importanza di gesti significativi, che siano segno di una precisa appartenenza e possano garantire la continuità della tradizione nell’orizzonte dell’alleanza.

2.2 Fedeltà nonostante la schiavitù e gli ordini del Faraone .

Un altro esempio significativo lo ritroviamo in alcuni commenti rabbinici relativi al passo dell’Esodo dove si attesta l’ordine del Faraone di gettare ogni figlio maschio nato dagli ebrei nel Nilo (cfr. Es 1,22). Dopo aver sottolineato l’importanza del gesto coraggioso delle levatrici che (temendo Dio) disattendono tale ordinanza (cfr. Es 1,17-20), si descrivono le peripezie delle madri nel nascondere i neonati, nel provvedere al loro sostentamento e nel continuare ad unirsi ai propri mariti; si sottolinea inoltre l’affettuosa sollecitudine divina che, attraverso prodigi e con l’aiuto degli angeli, si prende cura dei piccoli sfamandoli e proteggendoli nei momenti maggiormente pericolosi10. In uno di questi commenti si aggiunge una precisazione particolarmente interessante:

Quando gli ebrei erano in Egitto, si riunivano e stavano tutti insieme, formando un’unica società; essi avevano stabilito di aiutarsi e di assistersi a vicenda, di prestare fedeltà al patto di Abramo, Isacco e Giacobbe, di non dimenticare la lingua dei loro padri e di non apprendere la lingua egiziana onde non incorrere nell’idolatria. Quando gli ebrei circoncidevano i loro figli, gli egiziani domandavano: "A che scopo circoncidete i vostri figli, se tra poco saranno gettati nel fiume?". E gli ebrei rispondevano: "Noi li circoncidiamo e voi fate quello che volete; chi deve morire, morrà, chi deve essere ucciso sarà ucciso, chi è destinato alla vita, vivrà"11.

Il commento rabbinico, sul presupposto che la disubbidienza agli ordini del Faraone è segno di fedeltà a Dio, sottolinea che la medesima si manifesta in un contesto di comunità solidale che sorregge le singole famiglie nel rispetto della tradizione. In tale orizzonte la fedeltà nell’osservanza del precetto della circoncisione, l’unico che Dio ha dato ad Abramo (cfr. Gen 17,1-14), costituisce un segno importante di appartenenza che si rivela aperto alla vita in un contesto di possibile morte: rimanere fedeli al Dio dell’alleanza, nonostante la situazione difficile e precaria, significa scegliere la vita, comunque vadano le cose (cfr. Dt30, 15 ss.).


L’Esodo ci attesta inoltre un’esperienza di liberazione che riguarda tutte le famiglie di Israele: uomini, donne e bambini, che diventano "popolo di Dio" camminando nel deserto fra dubbi, certezze e prove, .facendo e ascoltando. (cfr. Es 24,7-8) gli insegnamenti rivelati al Sinai come "via" di libertà: è l’aver scelto di "servire" il Dio di Israele che rende liberi dalla schiavitù del Faraone (cfr. Es 3,12). Non a caso la lingua ebraica utilizza un unico termine, ‘avodah, per indicare sia il lavoro servile che il servizio cultuale; la differenza è data dal "padrone" che si serve: se è un tiranno il servizio può diventare schiavitù, ma se è il Dio dell’alleanza il servizio diventa esperienza liberante. Il popolo di Israele, rimanendo fedele al Signore e alla sua promessa, con l’esperienza dell’Esodo passa pertanto dalla servitù al servizio, che implica l;adesione a una prassi orientata alla testimonianza di una vita santa (cfr. Es 19,5-6 e Lv 19,2).

2.3 Ruth e Boaz: fedeltà, amore e "riscatto"

Prendiamo ora in considerazione il matrimonio fra Ruth, rimasta vedova, e Boaz, parente del suo marito defunto.

Ruth è una moabita, quindi appartenente ad un popolo straniero rispetto al popolo ebraico, la quale (nel contesto della vedovanza che la rende libera dal suo legame con il popolo di Israele) decide di rimanere comunque con la suocera Noemi abbracciando la sua tradizione:

Noemi le disse la Ruth]: .Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; va anche tu dietro a tua cognata.. Ma Ruth rispose: -Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te; perché dove tu andrai, andrò anch’io; e dove tu dimorerai anch’io dimorerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. (Rt 1,15-16)12.

Ecco il semplice, e allo stesso tempo grande, evento narrato: l’amore di Ruth per Noemi, la sua disponibilità a seguirla rinunciando alla sua patria, alle sue tradizioni e alla sua famiglia di origine, le permettono di incontrare il Dio di Israele senza conoscere ancora pienamente le implicazioni a questa scelta collegate. Sarà infatti attraverso Boaz, un parente di Noemi, che Ruth verrà "riscattata" (cfr. Rt 2,20) attraverso un matrimonio che garantirà proprio attraverso di lei la dinastia davidica (cfr. Rt 4,lss.).

Nelle narrazioni relative ai momenti d’incontro fra Ruth e Boaz, emerge un significativo legame fra l’amore di Ruth per Noemi e la protezione divina nei sui confronti:

[Boaz disse a Ruth: .Mi è stato raccontato tutto quello che hai fatto a tua suocera dopo la morte di tuo marito, che hai lasciato tuo padre e tua madre e la tua terra nativa e sei venuta presso un popolo che non avevi mai conosciuto. Ripaghi il Signore l’opera tua e sia piena la tua ricompensa da parte del Signore Dio di Israele sotto la cui ala sei venuta a rifugiarti. (Rt 2,12)13.

La fedeltà a Dio in questo caso si manifesta nel contesto di un rapporto famigliare connotato dal segno dell’amore, nella relazione di una nuora con la suocera che non sempre si rivela una relazione facile. Inoltre la vicenda inizia da una vedovanza derivata da un matrimonio misto, una situazione non facilmente accolta dalla tradizione del popolo di Israele in quanto considerata a rischio ai fini del senso di appartenenza e dell’identità, che si rivela invece provvidenziale per la storia della salvezza.

Alcuni commenti rabbinici, che cercano di spiegare l’etimologia del nome di Ruth, così si esprimono al riguardo:

Ruth si chiamò così perché vide/prese in considerazione le parole della suocera14.

E ancora:

Disse R. Jochanan: "Perché si chiamava Ruth? Perché per i suoi meriti da lei doveva discendere Davide che colmò il Santo, benedetto Egli sia, di inni e canti" 15.


In altri termini: Ruth sa "vedere" nel rapporto con Noemi un progetto di Dio che la riguarda e, attraverso l’amore nei suoi confronti, vive un’esperienza di "riscatto" diventando una delle donne protagoniste della storia della salvezza.

2.4 Zaccaria ed Elisabetta: "giusti davanti a Dio"

Concludiamo questa breve carrellata con una coppia che costituisce una sorta di cerniera fra Antico e Nuovo Testamento: Zaccaria ed Elisabetta, i genitori di Giovanni Battista.

Tutta la loro vicenda narrata nel Vangelo di Luca (cfr. Lc 1ss.) può essere considerata un esempio di fedeltà a Dio e alla tradizione in un contesto difficile, segnato dalla corruzione, e nell’ambito di una storia di coppia segnata dal dramma della sterilità.

Zaccaria, il cui nome in ebraico significa "Dio ha ricordato", è della classe di Abia (cfr. Lc 1,5), quindi di discendenza sacerdotale certa in un momento in cui imperversa la polemica sui sacerdoti di discendenza dubbia; Elisabetta, il cui nome in ebraico significa "il mio Dio è patto", è discendente di Aronne (cfr. Lc 1,5), anch’essa quindi di stirpe sacerdotale, elemento fondamentale affinché il matrimonio di un sacerdote possa conservare la sua integrità16.

Questa coppia, che secondo la tradizione "è giusta davanti a Dio", vive il dolore della sterilità continuando a confidare nel Dio di Israele che è fedele alle sue promesse (cfr. Lc 1,6-7)17.

È dunque la fiducia nel Signore che ha liberato dall’Egitto a dare senso a una tragedia umana come quella di questi coniugi, che probabilmente pesa più sulla moglie, in quanto è lei la donna sterile che prova vergogna in prima persona di fronte alla cultura del tempo. Il testo lucano non ci dice molto circa i suoi sentimenti, soprattutto riguardo quelli dolorosi. C’è un fatto però che dallo stesso emerge chiaramente: la capacità di riconoscere i segni di Dio nonostante la loro imprevedibilità e, se Luca si sofferma maggiormente sulla descrizione della teofania per Zaccaria (cfr. Lc 1,11-20), è in Elisabetta che ne possiamo cogliere la concreta realizzazione: è in lei che avviene il concepimento umanamente impossibile (cfr. Lc 1,24), ed è il suo cantico di lode a svelare il miracolo che imprime un nuovo corso alla sua vita (cfr. Lc 1,25).          

Ciò che in questa creatura avviene è molto di più del superamento della sterilità fisica: il bambino che porta in grembo non solo sarà grande davanti al Signore, ma è pieno di Spirito Santo "fin dal seno di sua madre" (cfr. Lc 1,15).

Questo particolare, che sottolinea quanto lo Spirito di Dio non conosca limiti, colloca Elisabetta in un preciso orizzonte profetico: la sua capacità di accogliere il dono divino in una storia umanamente perdente rovescia le sorti e, come Sara, Anna e altre note donne bibliche, diventa luogo di profezia per Israele: è guardando a lei che vicini e parenti comprendono la grandezza di ciò che, per opera divina, in lei si è compiuto (cfr. Lc 1,57-58), lo stesso sì di Maria al progetto di Dio è preceduto dalle parole dell’angelo che la indicano come segno dell’onnipotenza divina (cfr. Lc 1,36-38).

La fedeltà a Dio di questa coppia, pur nella fragilità che caratterizza i dubbi di Zaccaria (cfr. Lc 1,18), è determinante nella prospettiva del realizzarsi della salvezza nella storia che, anche in questo caso, "passa" attraverso un’esperienza famigliare che deve misurarsi con le inevitabili difficoltà della vita.

3. Riflessioni conclusive

Alla fine di questo breve percorso, che ha cercato di mostrare come la fedeltà al progetto divino in ambito famigliare sia determinante nel contesto dell’alleanza fra Dio e il suo popolo, vorrei concludere con due riflessioni della tradizione rabbinica che elogiano l’esperienza matrimoniale in quanto, se autentica, è segno della presenza di Dio nella storia che santifica i coniugi, la loro famiglia e tutta la comunità di appartenenza.


La prima riguarda il rapporto coniugale e la pace in famiglia:

Diceva Rabbi Tanchum a nome di Rabbi Chanilai:

L’uomo che non ha una moglie vive senza gioia, senza benedizione e senza bene.

Senza gioia, come è scritto: -E gioirai tu e tua moglie- (Dt 14,26).

Senza benedizione, come è scritto: -Per far posare la benedizione sulla tua casa- (Ez 44,30).

Senza bene, come è scritto: -Non è bene che l’uomo rimanga solo. (Gen 2,18).

In Israele dicono: vive senza Torah e senza muro18.

Senza Torah, come è scritto: .Possibile che mi sia venuto meno l’aiuto, e il soccorso mi sia stato tolto? (Gb 6,13).

Senza muro, come è scritto: -La donna cingerà d’attorno l’uomo. (Ger31,21).

Ravah figlio di Ullah diceva: vive senza pace, come è scritto: .Conoscerai che la pace è nella tua tenda, visiterai la tua dimora e la troverai integra- (Gb 5,24).

Chi ama la propria moglie come sé stesso, la rispetta più di sé stesso, conduce i propri figli e le proprie figlie sulla retta via facendo sì che esse si sposino nel tempo giusto19, per queste persone è scritto: .Conoscerai che pace è nella tua tenda- (Gb 5,24)20.

La seconda riguarda il rispetto dei figli nei confronti dei genitori:

Un discepolo fece alla presenza di Rav Nachman la seguente riflessione: quando un uomo maltratta il proprio padre e la propria madre, il Santo e Benedetto dice, rivolto a sé stesso: -Bene ho fatto a non abitare nella sua dimora, perché altrimenti egli avrebbe maltrattato anche Me!21..

Dalla nostra fedeltà a Dio, che si manifesta attraverso l’amore reciproco, dipende quindi il suo abitare o meno presso le nostre famiglie.

da: Stile di vita della famiglia cristiana a cura di Niccoli S., Tortalla E. e Tortalla M. Collana Matrimonio, Famiglia e Pastorale n. 23 pg. 181-193

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1 Si fa qui riferimento alla tripartizione del canone biblico ebraico.

Il libro dei Giudici nella Bibbia ebraica fa parte dei libri profetici.

3 Midrasb Tehillim LIX, 2. (Mie le precisazioni iniziali fra parentesi).

4 La traduzione dall’originale ebraico proposta non coincide con quella della CEI

5Ibidem

6 Non s’intende in questa sede affrontare il complesso problema storiografico al riguardo, in quanto esula dagli obiettivi della settimana di formazione.

7 La scelta di Sara di far unire Abramo con la serva Agar è una consuetudine nota nell’antichità per garantire la discendenza in caso di sterilità.

8 Termine con il quale si indica il commento rabbinico alla scrittura. Dalla radice d-r-sh, "cercare, investigare", esprime la tecnica di interrogazione del testo per cogliere sensi non evidenti ricavati dalle relazioni interne alla Scrittura stessa

9Bereshit Rabbab, LX,15. Mie le precisazioni fra parentesi. Come si può notare, secondo il midrashAbramo e Sara osservavano i precetti della Torah che, di fatto, non era ancora stata data. I commenti rabbinici, in questo modo per noi anacronistico, sottolineano la fedeltà alla tradizione

10 Cfr. Shir ha-Shirim Rabbah, II e Talmud BabiloneseSotah 11a.

11Tana debe Eliahu su Es 1,22.

12 La traduzione dall’originale ebraico proposta non coincide con quella della CEI.

13Ibidem. Il termine "ala", in ebraico kanaf, è una locuzione poetica che indica la protezione divina (cfr. Sal 36,8 e 91,4). La medesima espressione ricompare nell’incontro notturno durante il quale Ruth chiede a Boaz di stendere l’ala del suo mantello su di lei in quanto suo ricattatore (cfr. Rt 3,9).

14Ruth Rabbah, II. In questo caso si fa derivare il nome Ruth dalla radice r-‘-b, "vedere", che può esprime anche il significato di "prendere in considerazione".

15 Jalkuth Shimeoni su Rt 1,4. Il commento stabilisce un’analogia fonetica fra il nome di Ruth e la radice ebraica r-w-h che esprime il significato di "colmare, inondare".


16 Secondo le prescrizioni mosaiche, i sacerdoti devono sposare solo donne discendenti a loro volta da sacerdoti o leviti.

17 Il "ma", in greco kaì, con cui inizia il versetto 7 ("ma non avevano figli…"), non è contrappositivo: sottolinea una situazione in cui convivono rettitudine e sofferenza.

18 Il muro è il Kotel, il muro occidentale, unico segno rimasto del Tempio distrutto dai Romani nel 70 dell’era cristiana.

19 Tradizionalmente il tempo giusto è la pubertà.

20Talmud Babilonese, Jevamot 62b.

21Talmud Babilonese, Qiddushin 31b.

qui l’articolo originale

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