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Quale sessualità nel fidanzamento?

Couple 01

© Oleh Slobodeniuk / Flickr

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Dimensione Speranza - pubblicato il 13/05/14

L'emotività e l'affettuosità che provengono dal corpo non sono indifferenti alla conoscenza dell'altro

Segnaliamo dal sito Nipoti di Maritain (21/01/13) uno scritto in cui si analizza un aspetto del periodo che precede il matrimonio. Se da una parte si prende atto che la parola  "fidanzato" (e il suo significato di promesse  e premesse per un futuro insieme) è ormai desueta fra i giovani, dall’altra si rileva che tra le coppie si stabilisce, dopo un inizio amicale, un periodo più intenso che, pur aperto a qualsiasi soluzione, anche alla sua stessa fine, dà spazio a promesse, a fedeltà, dialogo amoroso. Viene proposta con questo articolo una riflessione sul ruolo del corpo nel cammino d’amore.

So che la parola "fidanzamento" non è attuale. Non si usa più dire il mio fidanzato o la mia fidanzata, ma il mio ragazzo o la mia ragazza. Questo spostamento del nome include certamente anche un certo spostamento nel concepire e nel vivere il periodo che precede il matrimonio. Però mi pare di poter affermare che, pur con delle variazioni più o meno consistenti, esiste anche oggi nei giovani, dopo una prima stagione di rapporti amicali e anche allargati, la voglia e il desiderio di un rapporto intenso di esperienza d’amore a due, la quale pur essendo aperta a tutto, e quindi anche alla sua dissoluzione, tenda ad esprimersi nell’intimità, nella fedeltà, nella crescita dei due attraverso il dialogo amoroso che li interroghi e li stimoli. Quale posto può occupare il corpo in questo cammino di intimità e di crescita? E’ una realtà da estraniare in maniera totale e radicale perché inquinante il rapporto affettivo o pericolosa perché non facilmente dominabile?
E’ su questi interrogativi, più o meno chiari, che vorrebbero svilupparsi queste mie riflessioni senza alcuna pretesa né di completezza, né di assolutezza.

Il tema del significato del corpo nell’affettività è un tema nuovo e anche un tema delicato. E’ un tema nuovo perché discendiamo non da anni, ma da secoli di sospetto sul corpo e sulla sessualità, se non addirittura di disprezzo e di rifiuto. E’ sempre fonte di domande e di disagiata meraviglia che la Chiesa abbia "sposato" le idee platoniche sulla negatività del corpo. La filosofia ha prevalso sulla Parola di Dio. La Parola di Dio è chiarissima. Vi sono immagini splendide che annunciano la positività del corpo e la bontà del sesso. E’ Dio che con le sue mani crea il corpo di Adamo, è Dio che con le sue mani crea il corpo di Eva. E ciò che Dio crea non può essere che bene, che positività. E non solo il corpo è positivo, ma anche la sessualità. "Maschio e femmina li creò, a sua immagine li creò" In che senso la sessualità è immagine di Dio? Anche quest’interrogativo porterebbe a grandi e nuovi orizzonti.

E’ un tema delicato perché oggi assistiamo ad un abbassamento del tono della sessualità, quasi ad una sua banalizzazione. Banalizzare la sessualità vuol dire non dare, o non scoprire tutta l’importanza e il significato che risiedono in essa. Banalizzare vuol dire svuotare l’incontro sessuale della densità del suo significato. Esso, invece, è il momento più intenso e più denso dell’incontro con l’alterità dell’altro, con il suo mistero. E’ una penetrazione non solo fisica, ma anche interiore, psicologica, morale. E’ un incontro con il mistero dell’altro. Per questo non può essere sbrigativo, possessivo, invadente, presuntuoso. E’ un incontro con un altro che ha altre sensibilità, altri tempi, altre attese. Dovrebbe esprimere l’incontro di due persone più che di due corpi, il dialogo di due storie, di due persone, di due promesse, di due futuri. E’ il momento decisivo in cui due vite intendono mescolarsi senza confondersi, coniugarsi senza perdere la propria identità. E’ l’alleanza che si esprime nel "sangue e nella carne". "Attraverso la sessualità il soggetto entra in relazione con ciò che è assolutamente altro" (Levinas). Oggi c’è il rischio di abbassare il valore, la qualità di questo rapporto; è facile genitalizzarlo impedendo, così, che esso diventi il segno della comunione e della condivisione ad ampio respiro.

Pur riconoscendo, quindi, di addentrarci in un problema estremamente intricato in cui risuonano paure e sospetti del passato, avidi permissivismi del presente che riducono il sesso ad un incontro senza coinvolgimento delle persone, ritengo tuttavia doveroso riflettere su questo problema perché da esso dipende gran parte della vitalità e della freschezza della vita di coppia. Non si deve vedere la sessualità solo sotto il profilo generativo. Essa è il luogo in cui i due si rigenerano.

A questo riguardo, lungo la storia, si sono intrecciate o s’intrecciano alcune tesi o affermazioni. C’è chi afferma o ha affermato, che il corpo è una realtà inquinante l’amore. Vi si suggerisce l’idea che sarebbe meglio amarsi senza il corpo; quasi che staccandosi dal corpo l’amore diventa più vero, più autentico. Più l’amore è spirituale più sarebbe vero. Questa è la linea anche di S. Agostino: "L’amore cresce nella misura in cui si distacca dalla corporeità".

E’ proprio vero che il corpo è pericoloso per l’amore, che ne abbassa il tono, offende la sua dignità? E’ condividibile l’idea che più l’amore è interiore, spirituale e più è gratuito, vero? Rispondere affermativamente a questi interrogativi condurrebbe inevitabilmente a considerare il corpo come un fatto negativo. E questo sarebbe un allinearsi con la filosofia greca che da sempre ha guardato il corpo come una "prigione" e un "ostacolo". Questa posizione però non si incontrerebbe con il pensiero della Bibbia dove le cose, il corpo, la materia cantano nella loro bellezza e positività.
Ci sono altri che affermano, invece, la possibilità comunicativa del corpo. Il corpo avrebbe la funzione trasmettitrice dell’amore. Esso sarebbe un "luogo epifanico" perché l’amore vi si rivela e si comunica.

Questa concezione riscatta certamente la corporeità da tutta una congerie di sospetti e di tabù, ma forse non scopre e non esalta ancora sufficientemente la potenzialità unitiva e rigenerativa contenuta nel corpo. Il corpo è visto ancora come un oggetto (ho un corpo) e non come soggetto (sono un corpo). Il corpo non può essere considerato un oggetto, uno strumento dello spirito. Noi siamo spinti ancora a pensare che sia l’anima l’unica sede generatrice di pensieri, di suggestioni, di prospettive, che poi si comunicherebbero attraverso il corpo. Questo sarebbe uno strumento passivo e non attivo, secondario e non primario, esecutivo e non creativo.

E se invece anche il corpo, alla pari dell’anima, pur con differenti venature e sottolineature, contribuisse a dare pensieri, sensazioni, intuizioni? Il condividere una situazione, il provare nella propria carne alcuni lancinanti problemi o alcune esaltanti gioie non generano o non possono generare conoscenza, indicare prospettive impossibili ad aversi senza il coinvolgimento corporeo? Nella vitalità del corpo e nelle pulsioni fisiche si svegliano la fantasia, i sogni, lo stupore. L’intelligenza è fredda, calcolatrice, dominatrice, più tesa alla conservazione che alla innovazione. L’istintualità è più audace, più avventurosa. E questa istintualità è legata al corpo. Certamente questa energia istintuale e passionale va coniugata con l’intelligenza che la deve guidare e arginare, ma rimane pur sempre un’energia positiva e feconda da non perdere. Il corpo non è quindi oggetto, ma soggetto, non solo trasmettitore, ma alimentatore dell’amore.

Oggi c’è un’altra e più avanzata concezione che si sta imponendo. Questa concezione si fonda sul fatto che il corpo sarebbe il luogo della purificazione e dell’autenticazione dell’amore. Questa posizione, forse, può disorientare molti. Com’è possibile che il corpo diventi il luogo della verifica dell’amore e, quindi, di una sua possibile crescita e autenticazione? Invece, il credere di amare e di amarsi è un rischio sempre presente anche nella coppia. La vischiosità dell’io si infiltra anche nell’amore. Come si fa a cogliere fino a che punto si cerca se stessi nell’altro o si cerca l’altro in quanto altro?

Nell’incontro sessuale i due si trovano "nudi", senza maschere, senza veli, possono guardarsi con trasparenza e profondità. Da come uno si atteggia si può scoprire se uno ama l’altro o ricerca se stesso, se sa attendere e rispettare le esigenze dell’altro o se è attento solo alle proprie, se nell’incontro si investe globalmente o se lo vive come un fatto laterale. Il rischio nell’amore, poi, non è solo l’egoismo (la ricerca di sé), ma anche e soprattutto l’idealizzazione. Costruirsi l’immagine dell’altro e amare quell’immagine è una tentazione costante. Questa immagine è una proiezione delle proprie attese, è un partire da se, è una derivazione del proprio egoismo. L’incontro sessuale obbliga ad uscire da sé per incontrare l’altro nella sua realtà. Certamente anche questo incontro può subire il fascino della idealizzazione, però essendo corporeo obbliga, prima o poi, a lasciare le proprie idee e a correggere le proprie idealizzazioni perché si è di fronte alla realtà dell’altro. E’ il momento in cui la differenza dell’altro si impone. Essa può essere intuita se non pienamente conosciuta. L’incontro sessuale è il modo non unico, ma certamente il più denso e penetrante, di rapporto con l’altro, di entrare nella sua sfera e, quindi, di amarlo come è e di lasciarsi amare come si è.

Questa ultima concezione potrà sembrare ad alcuni lontana dalla dottrina della Chiesa, ma, di fatto, non lo è. Se leggiamo alcune espressioni del Concilio Vat. II vi troveremo con sorpresa che questa posizione, pur non sviluppata, è totalmente presente: "Gli atti coniugali con cui gli sposi si uniscono in casta intimità sono onorabili e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione…. Questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare nell’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio" (G.S. 49). Il corpo, quindi, non solo non è inquinante, ma è luogo dove l’amore "si rende perfetto", perché è il luogo dell’apprendimento dell’alterità dell’altro.

Questa ampia visione mi sembra necessaria per introdurci nel senso e anche nelle modalità delle espressioni corporee nel fidanzamento. Si possono cogliere gli atteggiamenti da vivere anche in termini di affettività, senza avere una prospettiva ampia del significato della corporeità nell’amore? Sollecitato da questo sguardo panoramico mi sembra di poter trarre, per quanto riguarda il fidanzamento, alcuni orientamenti.

1) Non estraniare il corpo nel cammino di amore e di conoscenza propri del fidanzamento. Come si è accennato, il corpo è anche soggettuale nella vita della persona e nella relazione interpersonale. Quindi il cammino di due fidanzati non può avvenire senza il coinvolgimento, anche se parziale, del corpo. In esso risiedono energie e spinte che portano a conoscere l’altro, ad interessarsi di lui, a condividerne pensieri, affetti, speranze. Non può essere solo un rapporto di fredda intelligenza; l’emotività, l’affettuosità, che provengono dal corpo non sono indifferenti alla conoscenza dell’altro e, soprattutto, ad entrare nell’orizzonte dell’altro. "Le sensazioni corporee sono il modo più vero per conoscersi e per relazionarsi" (S.Weil).

E qui nasce il problema etico oggi particolarmente discusso. La posizione della morale tradizionale è chiaramente negativa per quanto riguarda il rapporto completo, mentre presenta oscillazioni consistenti quando si riferisce ad atti parziali.  Il criterio di fondo che deve stare alla base nel giudicare la sessualità, in tutti i suoi momenti e nelle sue diverse manifestazioni è il criterio dell’amore. "E’ come dire che il comportamento sessuale dei due fidanzati deve essere in primo luogo giudicato per la capacità che esso ha di esprimere e di approfondire la comunione interpersonale, la quale si compie nella reciproca donazione". Allora nel crescere della relazione umana, il gesto sessuale andrà valutato sulla base della possibilità che esso ha di esprimere, in modo coerente, il livello di maturazione dell’incontro.


E chi potrà giudicare il grado di amore presente nella gestualità affettiva? Indubbiamente si deve far ricorso alla coscienza dei due. Nessuno dall’esterno può misurare tale presenza o assenza. E’ importante, però, che i due fidanzati vivano e giudichino questa loro realtà affettiva non come un’obbedienza ad una legge esterna, ma come obbedienza all’amore. Più il gesto esprime l’amore, più lo fa crescere, più il gesto esprime il possesso, più lo mortifica, fino anche a spegnerlo. Il discernimento che i due sono chiamati ad operare non deve fondarsi sulla paura di trasgredire delle leggi esterne, ma sul desiderio di non spegnere l’amore. Gesti vuoti o prematuri non aiutano a far crescere il rapporto amoroso.

2) Il valore della castità. La sessualità, come si è già affermato, è un valore, però non si può osservare che sta rafforzandosi il rischio di una "mercificazione del sesso". Il sesso può diventare un bene di consumo, trasformandosi così da momento privilegiato del dono in un momento di possesso, da luogo del dialogo a luogo di scontro. La sessualità non va demonizzata, ma neppure divinizzata; essa è, e deve rimanere, una realtà umana da vivere per la crescita dell’amore. Parlare di castità non è rinverdire il sospetto sul sesso, ma è richiamare la vigilanza perché il corpo non diventi così assorbente da impedire una vera e globale comunione.

Scrive lucidamente il teologo Gründel: "La castità è la disponibilità interiore dell’uomo ad affermare pienamente la propria sessualità, a riconoscere e a vivere gli impulsi sessuali nel loro carattere integralmente personale e sociale, e a inserirli in maniera ricca di senso nella globalità della vita umana" E quasi a commento di questa espressione cito alcuni pensieri di Germano Pattaro: "La castità avverte che ogni gesto sessuale deve essere un gesto d’amore che esprima il dono delle persone e non solo l’emotività dei corpi. Un luogo-atto dove si esce dalla logica del possesso, per entrare in quella dell’incontro e del dialogo. Il gesto d’amore è la "parola-segno" dove la persona si concentra al massimo della sua identità, così che l’io e il tu di questo incontro diventano "noi" di una nuova personalità comunionale".

Potremmo definire la castità come disciplina della sessualità. E disciplina deriva dal latino "discere" che vuol dire "imparare". Imparare a conoscere i propri impulsi, le proprie tensioni, imparare a conoscere le pulsioni e gli stimoli dell’altro in modo che l’incontro sia rispettoso delle propria e altrui sensibilità. La maturazione e lo sviluppo della sessualità esige questa disciplina che potrà essere uno degli impegni e delle attenzioni da vivere sempre, ma soprattutto nel fidanzamento in cui deve affinarsi l’attitudine a vivere il rapporto sessuale nel suo spessore di rispetto e di comunione.

3) Ridare al rapporto sessuale completo il suo senso pieno. Esso esprime la decisione di spartire con l’altro la propria vita. E’ il momento della scelta radicale e definitiva. E questa scelta dovrebbe avvenire nel momento in cui anche istituzionalmente ci si impegna. L’amore non è un fatto privato. Certamente, se questo rapporto pur segnato dall’irrevocabile decisione di spartire per sempre la propria vita con l’altro, non coincidesse anche con il momento istituzionale per motivi non sempre superabili (problema della casa, del lavoro, condizionamenti familiari) non deve essere moralmente colorato da quella negatività che è propria, invece, dei rapporti occasionali e disimpegnati in cui non c’è nessun, o quasi, investimento personale.

Occorre sempre tener presente che il male più grande è di fare l’amore senza amore (inteso come condivisione, impegno di crescita, assumersi la responsabilità dell’altro) e questo può avvenire tra i fidanzati, ma anche tra gli sposi.

qui l’articolo originale

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