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Mediaetica, per un’informazione che sia bene comune

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 02/05/14

L’UCSI lancia un osservatorio per monitorare e migliorare il modo in cui i media trattano i grandi temi che riguardano l’uomo.

Quando l’idea del Comitato Mediaetica era nata, tanti anni fa, il mondo dei media era ben altra cosa. Oggi la volatilità della comunicazione nelle sue forme e nei suoi contenuti, insieme alle evoluzioni dei mondi finanziari ed economici che la sostengono e la direzionano, impongono modalità di intervento più fluide e dinamiche, soprattutto più pronte a riconoscere e a ridiscutere le novità che si presentano a cascata nella vita degli utenti. Mediaetica oggi nasce grazie all’UCSI come un osservatorio sul mondo dei media: non si struttura come gerarchia, cosa che lo renderebbe simile ad un’ennesima associazione, ma come flusso, come piazza i cui spazi fisici saranno di volta in volta offerti dall’UCSI o da Civiltà Cattolica. In essi si svolgeranno incontri a invito di natura seminariale con esperti del mondo universitario, delle istituzioni, dell’Amministrazione e con alcuni responsabili governativi. I temi, di volta in volta stabiliti dal direttivo nazionale dell’UCSI, spazieranno dall’informazione politica ai social media, da quello delle autorità di controllo a quello delle fonti e di internet. Come si legge su un documento ancora non reso pubblico, “il progetto che viene presentato consente di camminare insieme… esiste infatti un pensare che ispira l’agire, ma è vero anche l’inverso, dall’agire possono nascere idee nuove”. Aleteia ha incontrato e intervistato Padre Francesco Occhetta, scrittore di La Civiltà Cattolica e consulente ecclesiastico dell’UCSI.

L’idea è antica. Perché Mediaetica nasce proprio oggi?
Occhetta: Oggi nasce perché con l’avvento di internet il giornalismo non è più lo stesso; esso è segnato da un prima e dopo internet. Questo significa che molti giornalisti professionisti rischiano, sia all’interno dell’ordine, sia all’interno del mondo della comunicazione, di avere velocità e letture diverse della realtà. Questo comporta dei pericoli: prima di tutto il fatto che molti non servono né la dignità della persona, né il bene comune, che sono i due punti su cui la vocazione di chi è giornalista dovrebbe servire. Il laboratorio di Mediaetica vuole cercare di formare quella coscienza, sia a livello personale che a livello professionale, che in fondo dà la possibilità di capire ciò che e bene e ciò che è male a livello morale, e nel frattempo comprendere a livello nazionale ciò che si sta facendo e monitorarlo. Soprattutto per tutelare i più deboli. Occorre capire dove si forma il consenso, dove ci sono temi particolarmente forti (il gioco d’azzardo, ecc.) capire che cosa sta succedendo. L’idea dell’osservatorio di Mediaetica, che è antica, è rinata per capire quello che sta succedendo, per comprendere un po’ gli effetti e cercare di far maturare una “ricoscentizzazione”, cioè un ritornare ad essere coscienti di ciò che si sta facendo, perché ci sono degli effetti molto buoni e altri molto dannosi per il vivere sociale.

Quali sono i principi su cui si formerà l’Osservatorio?
Occhetta: Nella nostra intenzione vorremmo formare una griglia di discernimento dentro la quale far passare un po’ tutti i temi. Da una parte sarà costituita dai principi che formano la nostra Costituzione, quelli che difendono e definiscono la dignità dell’uomo; dall’altra parte dai principi della Dottrina Sociale della Chiesa, che sono i grandi principi, declinati secondo i grandi temi dell’informazione: quello del bene comune, quello della giustizia distributiva, quello della sussidiarietà, quello della solidarietà. Tutto questo dovrà poi aiutare la persona e il mondo dell’informazione a scegliere, a vivere le scelte concrete, nella velocità vertiginosa che sta vivendo oggi. Questo è il grande orizzonte.

Cosa avviene negli altri paesi a questo riguardo?
Occhetta: Abbiamo fatto una comparazione rispetto a quello che viene fatto negli altri Paesi sull’etica, e abbiamo scoperto che esistono degli osservatori. Mediaetica non è un tribunale, ma anzi tutto è un ‘osservare’, un capire che cosa sta succedendo, che cosa sta cambiando. Nei grandi sistemi anglosassoni il termine ethics non separa la “deontologia” dall’etica, le sanzioni dai principi, ma li assorbe, li tiene insieme. Oggi noi abbiamo scoperto che qui in Italia c’è proprio crisi di questo, da una parte l’Ordine non riesce a inseguire tutte le infrazioni, dall’altra parte oggi non ci si rende conto più di quello che un certo tipo di comunicazione sta producendo.

Come vi muoverete?
Occhetta: Ci muoviamo su tre piani. Anzitutto su quello di ricerche molto serie fatte di studi e di collaborazioni con le università: questo significa dedicare tempo e qualche risorsa economica su temi specifici. Poi intendiamo creare degli spazi pubblici di condivisione su questi temi, che possono essere i classici dibattiti, l’interagire sugli ambiti su cui noi intendiamo confrontarci. Poi c’è una vocazione di mettere insieme tutto il mondo della comunicazione italiano, dall’Ordine, ai sindacati, alle grandi testate, anche cattoliche, a gruppi come il Censis, perché si faccia rete e si porti avanti insieme, ognuno nel proprio approccio, questo tipo di discorso. E poi alla fine vorremmo costruire un sito di monitoraggio, dove i colleghi potranno entrare in ogni momento.

Da dove inizierete?
Occhetta: Avremo presto un grosso dibattito su che cosa vuol dire servizio pubblico, questo è uno dei grandi temi che ci stanno più a cuore. Il servizio pubblico non inteso come servizio RAI, ma il servizio che la RAI deve dare al pubblico: cioè capire cosa è servizio e che cosa è pubblico nel mondo dell’informazione oggi. L’idea è incontrarci su un terreno laico per individuare valori condivisi, sono umani “in quanto umani”. Noi nello spazio pubblico come giornalisti di ispirazione cristiana offriamo questo. E la finalità qual è? Non quella di imporli, ma quella di elaborare insieme ad altre culture e ad altre posizioni ciò che è umano in quanto umano, e quindi il valore, per un modo di fare informazione che difenda e tuteli “la dignità della persona umana”. Questo significa, una volta declinato, i deboli che non possono scendere in politica e si fanno influenzare dalla televisione per il voto, significa quando si hanno dei bambini preoccuparsi di cosa stanno vedendo in televisione, ecc. Guardiamo allora alla dimensione educativa e a quella legata alla libertà e ai diritti, per un’operazione finalizzata alla costruzione del bene comune. Non vale innanzitutto il mio diritto, ma il bene dell’altro. Se l’informazione dice “io devo servire il mio padrone”, il servizio pubblico non esiste più: occorre cedere un po’ di sovranità. Anche lei, che lavora ad Aleteia, segue le direttive dei suoi responsabili; ma se non cede anche lei quello spazio di “sovranità” che riguarda i lettori, il bene comune non lo si costruisce più. Come è possibile questo? Incontrandocisi, facendo rete, e risensibilizzandoci. Se la coscienza riesce di nuovo a capire che tipo d’informazione si fa allora ci si può correggere e migliorare. Io su questo ho fiducia. 

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