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Mons. Lahham: l’Occidente dovrebbe garantire la libertà nei Paesi arabi

American Muslims Fight for Their Right To Worship and Speak Out – it

Public Domain

Istituto Acton - pubblicato il 01/05/14

Il Vicario del Patriarca Latino di Gerusalemme per la Giordania parla di libertà di coscienza e del processo di islamizzazione

Gli stravolgimenti innescati dalla Primavera araba hanno insegnato che i Paesi occidentali dovrebbero, in alcune circostanze, intervenire per garantire e tutelare i requisiti minimi di libertà dei cittadini, invece di agire con il pretesto della democrazia e della libertà religiosa per perseguire altre finalità politiche. Ne è convinto mons. Maroun Lahham, Vescovo Ausiliare e Vicario del Patriarca Latino di Gerusalemme per la Giordania.

Il presule ha rilasciato una intervista a margine di una conferenza organizzata dall’Acton Institute sul tema “La Fede, lo Stato e l’Economia: Prospettive dall’Oriente e dall’Occidente”, svoltasi martedì 29 aprile a Roma. L’incontro è servito a riflettere su alcuni nodi cruciali: l’esercizio limitato del potere dello Stato alla luce della dottrina cattolica sulla libertà religiosa; le modalità in cui l’espansione della libertà economica crea nuove opportunità e sfide per i credenti; com le politiche di Welfare possono inibire o facilitare la pratica religiosa.

Nella sua relazione mons. Lahham aveva ricordato che, nonostante la percentuale dei cristiani arabi del Medio Oriente si sia drasticamente ridotta – dall’80% della popolazione del VII sec. fino ad arrivare a cifre al di sotto del 5% nei territori di Iraq, Giordania, Israele e Palestina –, alcuni degli aspetti più incoraggianti sono sicuramente la loro piena integrazione nella società oltre a una libertà totale nell’esercizio di culto.

Ciò che desta preoccupazione in queste terre, invece, sono la mancanza di libertà di coscienza, intesa come diritto a scegliere liberamente la propria fede – tanto che in alcuni Paesi come il Marocco e l’Iraq per la conversione al Cristianesimo è prevista la pena di morte –, e la crescente islamizzazione dei diversi aspetti della vita pubblica.

All’origine della Primavera araba in Tunisia c’è stato l’atto estremo di un venditore ambulante di frutta e verdura che si è immolato in segno di disperazione di fronte agli abusi e alle interferenze del governo nella vita dei cittadini. In quale misura le politiche di assistenza sociale hanno potuto inibire o al contrario facilitare le attività religiose in questo Paese?

Mons. Lahham: Gli avvenimenti della Primavera araba non hanno mai avuto delle finalità religiose, e questo tengo a ripeterlo. La Tunisia è stata la culla delle rivoluzioni, e la situazione ora è molto più tranquilla, le persone ricominciano a respirare e sono tornate ad esprimersi liberamente. Bisogna sapere che in passato era vietato anche solo pronunciare il nome del presidente o di sua moglie. Adesso le persone manifestano, organizzano degli scioperi, esagerano talvolta evidentemente, ma queste reazioni sono abbastanza normali se si dà uno sguardo agli ultimi anni. Finalmente la Tunisia è divenuto il laboratorio della democrazia nei Paesi arabi, e l’ultima Costituzione che è stata votata è veramente un’opera di obiettività e progresso.

Uno dei primi effetti della Primavera araba è stato l’aumento delle minacce ai danni delle minoranze cristiane. In che modo questo aspetto può essere messo in correlazione con il desiderio di un popolo di godere dei benefici di una vera libertà politica e di una reale prosperità economica?

Mons. Lahham: Non condivido questa affermazione: le rivoluzioni arabe, originariamente, non sono nate per colpire i cristiani. La causa scatenante non è stata di natura religiosa, ma sociale, economica e civile. I movimenti islamici sono subentrati successivamente e sono andati a colpire la presenza dei cristiani. E’ un effetto collaterale che si smorzerà con il tempo. E’ una parentesi, perché gli islamici che si sono impossessati del potere in Tunisia e in Egitto hanno subìto un insuccesso cocente e di conseguenza il movimento islamico politico ha assunto un profilo più basso. Il mio auspicio è che le società arabe, dopo questi quattro anni di turbinii, possano essere più libere e più agili nei confronti dei cristiani.

Uno dei problemi maggiori nei Paesi arabi – fatta eccezione per il Libano, la Tunisia e l’Algeria – è che la libertà religiosa è unicamente sentita come libertà di culto. La libertà di coscienza non esiste, non si può scegliere il proprio credo. E anzi in alcuni Paesi la conversione al cristianesimo è sanzionata con la pena di morte. Che cosa fanno o possono fare le «Chiese del Calvario» – come le ha definite lei – per cambiare questa situazione?

Mons. Lahham: Queste Chiese non possono fare nulla. La legge dipende dalle Costituzioni musulmane. E finché il fondamento della legislazione sarà la Sharia, non cambierà nulla: la Sharia vieta il passaggio dall’islam ad un’altra religione. La risposta si può trovare solamente in un’evoluzione lunga e tortuosa delle società arabo-musulmane in società civili, capaci quindi di riconoscere la libertà religiosa anche come libertà di coscienza.

La Tunisia, l’Egitto e la Libia hanno dovuto far fronte a tutta una serie di difficoltà inerenti a una riforma costituzionale. Pensa che la Comunità internazionale dovrebbe osservare ovunque il principio di non ingerenza negli affari di un Stato sovrano o al contrario dovrebbe agire, in alcune circostanze, per garantire i principali elementi di una Costituzione democratica (libertà religiosa, libertà di espressione e libertà economica)?

Mons. Lahham: Sì, dovrebbero farlo. Ma bisogna sapere che i Poteri occidentali oggi stanno perdendo sempre di più la loro credibilità, perché spesso dietro al pretesto della democrazia e della libertà religiosa, si celano degli interessi politici ed internazionali che non hanno nulla a che vedere con i valori che essi proclamano. Lo si è visto in Sira, un tempo un Paese tranquillo, fiorente, felice, dove i cristiani vivevano serenamente. Poi d’improvviso hanno deciso di detronizzare Assad…è vero, non era san Francesco, ma l’alternativa che è emersa alla fine è stata una banda di islamici pazzi tagliatori di teste. E poi bisogna sapere che si nutre pochissima fiducia nelle motivazioni dei Paesi occidentali, quando intervengono nelle crisi arabe.

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