Roberto Rusconi esplora nel suo ultimo libro il significato storico e politico delle due canonizzazioni di domenica scorsa.
Nel prisma dalle mille facce che è stato l’evento unico e mondiale della canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, molto si è detto di quelle legate ad aspetti liturgici, pastorali, perfino simbolici. Non c’è dubbio, tuttavia, che i processi che hanno portato a quel risultato investano territori disseminati di ragioni e di conseguenze storiche e politiche. In particolare, ci si è chiesto, cosa accomuna queste due figure, tanto lontane per provenienza e tanto vicine per punto di arrivo? Per dare una risposta Roberto Rusconi, ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Roma Tre, nel suo ultimo libro I papi santi. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (Morcelliana) ha ripercorso la storia della Chiesa, “durante i quali la fama di santità dei papi è stata declinata in molteplici maniere: di volta in volta, certamente riflesso della loro personalità, ma anche dell’immagine che si voleva dare all’epoca del riconoscimento vuoi alla loro figura individuale, vuoi al loro operato di pontefici”. Noi di Aleteia abbiamo incontrato il Prof. Rusconi per chiedergli di offrirci qualche riflessione.
Come giudica i due processi che si sono conclusi con le due canonizzazioni di domenica scorsa?
Rusconi: La prima cosa che dobbiamo sottolineare è che non abbiamo accesso agli atti dei processi. Accattoli sul Corriere della Sera scrivendo di una deposizione del Cardinale Martini sul processo di beatificazione di Wojtyla ha citato dati che non sono ancora disponibili. Il problema è che l’accesso ai dati negli atti della Congregazione per le Cause dei Santi non è facilissimo, e a volte incontra ostacoli procedurali. Per questo, lo storico è costretto a procedere “sottobanco”, una cosa che non è simpatica, o ad andare per deduzioni. Ma diciamo così: di beatificare e canonizzare Giovanni Paolo II c’è stata davvero molta fretta. Formalmente la procedura è stata rispettata, e questo l’avevano detto fin dall’inizio: “faremo presto e rispetteremo le regole”. Però di fatto si è impressa una velocità inconsueta per una scelta che possiamo definire, in senso lato, politica. Oggettivamente, le procedure nel caso degli altri papi sono state ben più lunghe. Si è voluto canonizzare a tutti i costi questo papa. Secondo me Bergoglio non si poteva sottrarre, la macchina era lanciata a tutta velocità. Addirittura – anche se non sono riuscito a trovare la fonte di questa informazione – pare secondo qualcuno abbia provato a convincere Ratzinger a firmare il decreto prima del 28 febbraio. Questo dà l’idea dell’idea di voler creare il fatto compiuto. Il papa polacco andava canonizzato a tutti i costi.
Perché il percorso per questi due papi si è concluso prima di quello di altri?
Rusconi: Sulla strada di Pio IX, per noi che siamo cittadini della Repubblica italiana – almeno finché esiste – c’è il problema dell’ostacolo posto all’Unità d’Italia. Non possiamo far finta di nulla, alcune persone non hanno il senso delle proporzioni quando ci provano. Io su questo ricordo ogni volta che nel 1970, quando ci fu l’anniversario della Breccia di Porta Pia Paolo VI, che infatti i tradizionalisti non amano, dichiarò che quello era stato un evento provvidenziale. Lei pensi se ci fosse ora uno Stato della Chiesa, con il papa che ha a che fare con Landini o con la Camusso. Ci pensa, a cosa sarebbe? Beh, è stato davvero provvidenziale l’avere tolto di mezzo un orpello di carattere storico. E per Pio XII, sa, i pareri sono molti divisi, e davvero inconciliabili: ma di certo il problema della Shoa non è di per sé una cosa insignificante. Al di là del fatto che ci siano meriti o demeriti, il problema c’è.
Nel suo libro, che cosa unisce le due figure dei papi santi?
Rusconi: Per dirla in estrema sintesi, la pressione per canonizzare Wojtyla è stata “proterva”, termine forse eccessivo ma che rende l’idea. Per scrivere la Positio, cioè la “vita, morte e miracoli” di un papa, ci vogliono molti anni, e secondo me è stata scritta molto in fretta. Lei ha idea di che cosa vuol dire vagliare la documentazione di un pontificato, del tempo che ci vuole? Il mio parere è questo: quando nel 2000 Giovanni Paolo II beatificò Pio IX, in un certo senso lo compensò con la beatificazione di Giovanni XXIII. Nell’omelia, infatti, li unì come i “papi del concilio”: Concilio Vaticano I e Concilio Vaticano II. In un certo senso Giovanni XXIII faceva un po’ da bilanciamento. Adesso secondo me la cosa è ribaltata: non riuscendo a sottrarsi alla canonizzazione di Giovanni Paolo II, si canonizza Giovanni XXIII per affermare una vera linea conciliare. Infatti si discute molto del fatto che durante il pontificato di Giovanni Paolo II e quello successivo di Benedetto XVI, la non attuazione o ‘disattuazione’ del Concilio al di là della retorica ecclesiastica è stata un vero problema. Il problema è che Giovanni Paolo II ha regnato così a lungo e con una presenza scenica così imponente che questo tende ad offuscare ogni altra cosa.
Quindi a suo parere il presente schiaccia molto il passato quando si tratta di canonizzazioni?
Rusconi: Dovremmo anche cominciare a riflettere sul senso di tutte queste canonizzazioni, e sul senso di avere canonizzato quasi tutti i papi dell’Ottocento e del Novecento. Dobbiamo farci delle domande di senso. Io sono molto perplesso, perché alcuni fenomeni che noi abbiamo visto alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II sono identici a quelli che abbiamo visto alla fine del pontificato di Pio IX: il fondamento è la lunghissima durata del pontificato – 32 anni l’uno, 27 quell’altro – e lo sguardo dello storico deve evidenziare queste analogie. Alla morte di Pio IX lo si voleva santificare a tutti i costi, non lo si fece perché la situazione politica era pesante. Ma le dinamiche sono le stesse. E ora ci dobbiamo aspettare che ora aprano il processo per Benedetto XVI? Mi scusi il mio dichiarato cinismo…
Chi avrebbe tutto questo interesse a spingere in questo senso?
Rusconi: La pressione più forte è quella dell’apparato ecclesiastico, secondo me. La canonizzazione dei papi è consacrazione della Chiesa come istituzione. Dopo di ché c’è il problema da non sottovaluttare – che noi intelettuali ahimè sottovalutiamo fin troppo, e questo papa ce lo sta facendo notare – c’è la religione della gente normale, quella che Bergoglio chiama la “religione del popolo”, che a quanto pare ha bisogno di altre cose. Su questo siamo disarmati. Le faccio un esempio: io mi occupo molto di S. Francesco d’Assisi, e quando mi chiamano a fare conferenze, io non dò mai troppa soddisfazione all’auditorio che si aspetta un certo tipo di discorso. Io sono lì a smontare il giocattolo, perché parlo di un personaggio che è straordinario, ma che lo è per altri motivi rispetto a quelli che di solito si ha in mente.