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Un libro per dialogare con Giovanni Paolo II

Pope John Paul II kisses a baby as he is welcomed to Australia in 1986. – it

Yoshikazu Mikami/AFP

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 29/04/14

Il volume di Stanisław Grygiel, chiamato da Wojtyła a Roma per essere tra i fondatori dell'Istituto Giovanni Paolo II per Studi sul Matrimonio e la Famiglia

Uno “straordinario volume” per schiudere “una visione impareggiabile della vita, della filosofia, della teologia e della spiritualità di una delle grandi personalità della storia e di uno dei suoi grandi santi”.

Così Carl A. Anderson, vicepreside della sezione statunitense del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia e Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, descrive nella prefazione il testo di Stanisław Grygiel “Dialogando con Giovanni Paolo II”, per le edizioni Cantagalli (Cattedra Karol Wojtyła, Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia).

Anderson osserva che ormai siamo abituati a pensare che la “generazione Giovanni Paolo II” sia composta dai giovani che hanno partecipato a una Giornata Mondiale della Gioventù o sono stati fortemente influenzati in un modo o nell’altro dal pontificato del papa polacco, ma in realtà questa “generazione” “è iniziata molti anni prima, e lontano dall’attenzione del mondo”.

“L’espressione indica un’altra generazione di giovani adulti che si raccolsero attorno al vescovo Karol Wojtyła. Fu una generazione che lo ascoltò parlare dal pulpito oppure in aula, che con lui condivise le cene domenicali, che passeggiò con lui nei boschi e sui monti”.

Quella proposta da Stanisław Grygiel – chiamato a Roma da Giovanni Paolo II, da poco eletto pontefice, perché fosse fra i membri fondatori del futuro Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, istituito nel 1981 presso l’Università Lateranense – nel suo testo è proprio “una finestra sull’uomo che ispirò quella generazione, e che il mondo intero ha poi conosciuto come Papa Giovanni Paolo II”.

Nel libro si vede come, “pur circondato dalle pressioni disumanizzanti del totalitarismo comunista”, Karol Wojtyła abbia vissuto quotidianamente il suo profondo personalismo cristiano. Nonostante l’incessante propaganda a favore della creazione di una nuova società collettivista e atea, Karol Wojtyła visse una comunione di persone e nel corso degli anni invitò molte altre persone a prendervi parte, facendo così esperienza di un’autentica libertà e giungendo a quella che egli stesso avrebbe definito una comprensione “adeguata” della persona umana.

L’antropologia razionale o, come intende Karol Wojtyła, l’antropologia adeguata, “nasce nella comunione delle persone, poiché è in questa comunione che l’uomo matura alla verità che gli è stata promessa”, osserva Grygiel.

Karol Wojtyła ha sempre “dimorato nella comunione con altre persone”: “gli incontri e i colloqui l’aprirono alla comunionale ricerca del ‘dono di Dio’, alla comunionale preghiera perché esso si realizzi e al comunionale riceverlo, quando a lui e agli altri era stato loro dato di stare di fronte alla Trascendenza di questo ‘dono’. È di questo stare davanti alla Trascendenza che parla l’’antropologia adeguata’ di Karol Wojtyła”, “grazie alla fede, alla speranza e all’amore anche l’uomo è trascendenza”.

Le conversazioni tra Gryegiel e Wojtyła hanno avuto inizio alla fine degli anni Cinquanta durante i seminari che si tenevano per i dottorandi. Il vescovo Wojtyła, professore dell’Università Cattolica a Lublino, non avendo altro tempo, organizzava a Cracovia dei seminari di due o tre giorni a cui prendevano parte non più di cinque o sei persone. “Nel corso dell’estate andavamo in montagna, di solito a Gorce dove, camminando lungo i sentieri di bosco o su per le salite, discutevamo le nostre tesi oppure meditavamo sui classici della filosofia europea, soprattutto sulle due Etiche di Aristotele. Ci era stata preclusa la possibilità di accedere alla letteratura recente occidentale, perché i ‘signori’ comunisti ci avevano ermeticamente isolati dagli eventi culturali in Occidente. I pochi libri che di tanto in tanto ci portavano amici venuti di là, ce li passavamo tra di noi di mano in mano”.

Wojtyła “non cercava di abbattere il regime imposto alla Polonia. Egli si limitava a gettare le fondamenta spirituali di un futuro degno della Nazione polacca”. Vegliando sull’uomo, “conversava fedelmente con Dio. Egli pregava anche quando non pregava. La preghiera plasmava i suoi pensieri e le sue azioni. Giovanni Paolo II viveva in ginocchio davanti a Dio”.

Come evidenzia Grygiel nel primo capitolo del libro, non vi è nulla di astratto o artificioso nella concezione della persona umana proposta da Wojtyła, che scrisse la sua antropologia “soprattutto
con la sua vita”.

L’autore presenta poi la visione della persona umana come “opera d’arte”, che conduce alla vocazione cristiana alla santità e alla croce, centrale nella concezione wojtyliana della nuova evangelizzazione, che richiede “una vera testimonianza di fede”. Nel nostro tempo, questa “vera testimonianza” è richiesta in particolar modo per quanto riguarda la difesa del matrimonio e della famiglia. Nazismo e comunismo hanno fatto infatti capire a Wojtyła che “nel matrimonio e nella famiglia si sostiene una decisiva battaglia per la verità e per la libertà, battaglia per la dignità della persona umana”.

Il testo di Grygiel, ha sottolineato Anderson, “diverrà certamente una lettura essenziale per chiunque desideri entrare più pienamente nella conversazione su e con Giovanni Paolo II , o comprendere in che modo Karol Wojtyła abbia fatto della sua vita un’opera d’arte che ha meravigliato il mondo”.

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