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USA: associazioni cattoliche a rischio identità per i finanziamenti statati

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JEWEL SAMAD

Mirko Testa - Aleteia - pubblicato il 28/04/14

Samuel Gregg parla dei ripetuti attacchi alla libertà economica e religiosa nel Paese a stelle e strisce

di Mirko Testa

Qual è il ruolo dello Stato nel promuovere e tutelare la libertà religiosa e i diritti delle minoranze senza perdere mai di vista il bene comune? E quali sono le nuove opportunità e sfide che interpellano i credenti derivanti da una sempre crescente espansione dello Stato assistenziale e regolatore, così come dall’aumento del cosiddetto “capitalismo nepotistico”?

Al fine di indagare l’importante e complesso rapporto tra la libertà religiosa e le altre libertà, in particolare quella economica, l’Istituto Acton ha deciso di dare vita a una serie di cinque conferenze internazionali dal titolo Una e indivisibile? La relazione tra la libertà religiosa e la libertà economica. La prima di queste conferenze, che vedrà la partecipazione di diversi relatori, si focalizzerà sul tema Fede, Stato ed economia: prospettive dall’Oriente e dall’Occidente ed avrà luogo a Roma il 29 aprile.

Per questo Aleteia ha intervistato Samuel Gregg, direttore di ricerca presso l’Istituto Acton, che farà gli onori di casa introducendo con una conferenza dal titolo "Libertà religiosa e la libertà economica: sfide pratiche e intellettuali” la relazione del cardinale Zen Ze-kiun sul tema “Apertura economica e repressione religiosa: il paradosso della Cina”.

Qual è l’eredità che ci ha lasciato Giovanni Paolo II per quanto riguardo il legame tra governo limitato, libertà religiosa e libertà economica?

Gregg: Se hai trascorso la maggior parte della tua vita sotto il Comunismo, non puoi che apprezzare maggiormente la libertà. E sia la libertà religiosa che quella economica sono essenziali nel limitare la portata e l’entità dello Stato. Perché se lo Stato può privarti della libertà religiosa, allora può fare qualsiasi cosa. Inoltre, un governo che regola in maniera eccessiva l’economia – o anche cerca di imporre un’economia pianificata – finisce per minare praticamente la libertà delle persone in diversi modi. Giovanni Paolo II capì l’importanza della libertà religiosa, ed è chiaro che, da papa, giunse a realizzare come la mancanza della libertà economica non fosse una caratteristica solo del Comunismo, ma derivasse fortemente dai crescenti Stati assistenziali nell’Europa occidentale. Ciò non equivale tuttavia ad affermare che Giovanni Paolo II fosse un liberale. E’ ovvio che non lo fu. Ma forse fu il papa che riuscì meglio a collegare la libertà religiosa alla libertà economica sulla base dell’antropologia cristiana e della legge naturale. E la dottrina sociale cattolica ha un bisogno disperato al giorno d’oggi di referimenti più espliciti a queste fonti.

In che modo negli Stati Uniti l’eccessivo intervento del governo in ambito economico sta minando il suo impegno nei confronti della libertà religiosa?

Gregg: Negli ultimi 13 anni, abbiamo assistito a una constante corrosione della libertà economica in America attraverso l’espansione del welfare e dello Stato regolatore, e l’aumento di quello che sempre più viene etichettato come “capitalismo nepotistico”. Sulla scia di questo si è arrivati a tutta una serie di infrazioni a discapito della libertà religiosa. Perché? Perché la visione secolare liberale della vita che imbriglia lo Stato sociale moderno semplicemente non prende troppo sul serio la libertà religiosa. Quindi se la libertà religiosa di una persona entra in conflitto con il desiderio del governo di far sì che i suoi guadagni contribuiscano a coprire le spese legate alla pratica medica della sterilizzazione, ai farmaci ad azione eutanasica, o alla contraccezione, allora ciò che emerge è la priorità dello Stato assistenzialista moderno a puntare sempre più alla espressione di sé e alla cosiddetta liberazione sessuale. Le persone possono, chiaramente, chiedere un’esenzione. Ma la libertà religiosa in America non è, e non dovrebbe essere, fondata sulle "esenzioni". Come ha messo bene in rilievo il Concilio Vaticano II nella sua dichiarazione sulla libertà religiosa “Dignitatis Humanae”, la finalità della libertà religiosa di permettere ad individui e gruppi di manifestare la loro fede religiosa è soggetta unicamente alle limitazioni della legge naturale.

Cosa lega impresa, libero mercato e sviluppo della libertà e della dignità umana?

Gregg: Una buona descrizione di questo intreccio si può ritrovare in un documento redatto nel 2012 dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e intitolatoLa vocazione del leader d’impresa. Probabilmente è la migliore dichiarazione, da un punto di vista cattolico, su come gli affari facilitino direttamente e indirettamente il progresso umano. Di particolare impatto è l’insistenza del documento nell’affermare che gli affari apportano un notevole contributo al bene comune attraverso l’attività economica. Detto in altro modo, il loro contributo non consiste in primo luogo in quanto possano donare a questo o quella causa, anche se si tratta di cause benefiche. Il loro contributo primario al bene comune si ha piuttosto e più precisamente quando si permette alle imprese di occuparsi appunto di impresa.

Oltre a richiamare temi già sviluppati da Giovanni Paolo II (le parole "creatività" e "iniziativa" sono ripetute quasi allo sfinimento), il documento La vocazione del leader d’impresa evidenzia anche i beni non materiali che possono derivare da attività economiche. Imprese e mercati, afferma, offrono "un contributo senza pari al benessere materiale e persino spirituale dell’umanità”. Si tratta di un linguaggio veramente potente. Non solo infatti le imprese sono il mezzo normale attraverso cui possiamo soddisfare le nostre necessità materiali e i nostri desideri legittimi. Ma costituiscono anche un ambito nel quale le persone possono partecipare ai beni morali di base che definiscono la nostra umanità.

Lei si è lamentato in più occasioni della progressiva perdita d’identità che si osserva in quelle associazioni cristiane che hanno percepito fondi statali fino a ritrovarsi invischiate sempre più in una dipendenza finanziaria e inibite nel riuscire a seguire fedelmente e autenticamente la concezione cristiana della moralità e della cultura. Quali possono essere le ricadute?

Gregg: Quando i fondi derivanti da contratti statali cominciano a costituire una parte significativa delle risorse finanziarie di organizzazioni cattoliche, è proprio quello il momento in cui la loro cultura può cominciare facilmente a mutare. Fare affidamento su un tale sostegno incentiva ad evitare confronti potenziali con le autorità statali circa le modalità e le ragioni del loro operato. Capita sovente alle organizzazioni cattoliche che ricevono – o sono alla ricerca – di contratti governativi di arrivare a sminuire sottilmente (e a volte neanche così sottilmente) le loro radici cattoliche, la loro missione e identità. Così facendo cessano lentamente di essere istituzioni che partecipano della libertas ecclesiae. Fino ad arrivare a trasformarsi in ciò che George Weigel descrive a ragione come “meri veicoli per la fruizione di un sussidio definito e approvato dallo Stato”, piuttosto che cercare di mettere in pratica il comandamento di Cristo ad amare concretamente il nostro prossimo con la pienezza della verità rivelata da Cristo stesso alla sua Chiesa.

C’è poi l’aspetto deprimente che il fatto che entità cattoliche accettino finanziamenti statati può incoraggiare molte persone che lavorano in tali organizzazioni a vedere nel governo il loro principale padrone. Ripeto, ciò non dovrebbe destare stupore. Se l’80% del reddito di una associazione caritatevole cattolica proviene da contratti statali, il governo è divenuto a pieno titolo il loro ufficiale finanziatore. Ma il risvolto ancora più inquietante è la prospettiva portata avanti da alcune organizzazioni cattoliche che usano il pretesto del finanziamento statale per legittimare la loro volontà di diluire qualsiasi impegno concreto cattolico in appelli così vaghi alla giustizia sociale, che a volte si fa fatica a distinguerli dai programmi di movimenti sociali secolari e progressisti.

Alla conferenza di Roma del 29 aprile organizzata dall’Acton, lei parlerà dei paradossi pratici e intellettuali della libertà religiosa ed economica. Può anticiparci alcuni dettagli dell’intervento che terrà?

Gregg: Mentre moltissimi comprendono bene come la libertà religiosa faciliti la libertà politica, pochi in realtà capiscono il modo in cui la libertà religiosa e la libertà economica possano raffozzarsi a vicenda. Questo è il problema che vorrei esplorare. E infatti, quei governi che mirano a limitare la libertà religiosa, di solito per ragioni religiose o ideologiche, spesso colpiscono la libertà economica degli individui e dei gruppi che hanno nel mirino. In parte questa è stata la strategia adottata, con notevole successo aggiungerei, contro i cattolici inglesi durante i regni di Elisabetta I e Giacomo I.

 Ma quando si permette alle persone di godere di più libertà economica, è difficile poi impedire che questa libertà si riversi nelle altre sfere della vita, incluso l’ambito religioso. La Cina è l’esempio classico. Non penso che sia una coincidenza che i milioni di cinesi che si sono convertiti al Cristianesimo nella Cina continentale provengano soprattutto, se non esclusivamente, da quelle province che hanno sperimentato una qualche forma di liberalizzazione economica.

I collegamenti tra la libertà religiosa e quella economica generalmente rimangono comunque, un terreno che non è stato ben esplorato da vicino. Uno degli scopi della conferenza di aprile a Roma, e di tutte le altre conferenze della serie. è quello di creare un spazio permanente di dibattito all’interno della Chiesa cattolica su queste problematiche.

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