A fugare l’illusione che la valorizzazione dei laici possa essere coltivata nella linea di una ministerilizzazione indistinta, in seguito è maturata la consapevolezza che alla vocazione compete un rilievo più fondamentale e generale rispetto al ministero, alla luce del fatto che la diaconia ecclesiale nasce dalla e per la sequela, e non viceversa. Di conseguenza, se è certamente legittimo denunciare e superare il sequestro clericale di ogni funzione ministeriale, nondimeno la promozione dei fedeli laici non passa certo automaticamente attraverso una generalizzata estensione della ministerialità ad ogni credente.
Una coraggiosa presa in consegna di tale problematica suggerisce, per un verso, un uso più calibrato dell’espressione ministero/ministri (4) e, per altro verso, il superamento di una generica promozione di buone iniziative occasionali per pervenire ad un a strutturazione di servizi dotati di una certa stabilità e di un preciso riconoscimento ecclesiastico. D’altra parte, il ripensamento complessivo della ministerialità ecclesiale comporta ragionevolmente di fuoriuscire da un’impostazione che restringa lo spettro di valutazione alla sola sfera liturgica. Si avverte inoltre l’esigenza che lo sforzo di delineare nuove figure ministeriali si liberi dal presupposto di affidarsi a criteri universali e fissati a priori, per aprirsi ad un tentativo di investigazione dei servizi in atto e ad una loro riarticolazione tipologica, che come tale non può sottrarsi a misurarsi con la contingenza e la provvisorietà del vissuto ecclesiale concreto. Un’ultima e decisiva acquisizione del discorso che assegna un carattere strategico alla valorizzazione del concorso dei laici alla ministerialità pastorale punta a riconoscere che quest’ultima avrà un profilo tanto meno clericale quanto più sarà partecipata. Oltretutto, come è stato acutamente osservato, “l’originalità stessa della presidenza della comunità cristiana da parte del ministero ordinato rimane più al riparo da equivoci se è inserita in una diffusa assunzione di corresponsabilità, che non se si taglia in uno splendido isolamento. (5)
* Docente di teologia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
1) Con una formulazione lapidaria è stato felicemente osservato che “il laico cristiano non è né qualcosa di più né qualcosa di diverso del cristiano” (G. COLOMBO, La Teologia dei laicato”: bilancio di una vicenda storica in AA. VV., i laici nella Chiesa, Elle Di Ci, Leumann-Torino, p. 24).il volume raccoglie gli atti del Convegno annuale della Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale (Milano, febbraio 1986). Per una puntualizzazione critica sulla recezione di questa proposta nel’ambito teologico italiano, sia consentito rinviare a: M. VERGOTTINI, Le teologia e i “laici”. Una ipotesi interpretativa e la sua recezione nella letteratura, “Teologia” 18 (193) 166-18618 (193) 166-186.
2) Sintomatica al riguardo la proposta avanzata durante i lavori conciliari dal Card. Suenens, favorevole a coordinare nella costituzione dogmatica sulla Chiesa i due momenti della trattazione sui fedeli laici: a) il primo che considera in generale il popolo di Dio; b) il secondo che riflette in specie sulla figura dei laici. Ciò avrebbe comportato, inevitabilmente, che quanto era stato detto in precedenza del popolo di Dio, doveva essere riferito indistintamente a tutti i credenti chierici e laici.
3) Cf M. VERGOTTINI, La riflessione teologica sui laici. Da lumen Gentium a Christifideles Laici, in AA. VV., A trent’anni dal Concilio Memoria e profezia,a cura di C. GHIDELLI, Roma 1995, pp. 131-159.
4) A livello magistrale si può ricordare Cristifideles Laici, 232, nonché il discorso di Giovanni Paolo II a conclusione del Simposio, Collaborazione dei fedeli laici al ministero presbiterale, (22 aprile 1994), “L’Osservatore Romano”, 23 aprile 1994, nn. 3-4.