Ad Hanoi il primo trapianto di rene degli specialisti del nosocomio romano in collaborazione con i medici locali
E’ già tornata a casa e sta bene la bambina vietnamita di 10 anni che ha ricevuto il trapianto di un rene al National Hospital for Pediatrics di Hanoi grazie alla collaborazione tra un’equipe di specialisti dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e il personale medico locale. L’intervento si colloca all’interno di un progetto più ampio avviato nel 2013 dal nosocomio romano e le autorità vietnamite, con finalità di formazione e di scambio di know how clinico e chirurgico attraverso modalità analoghe a quelle delle altre missioni all’estero del Bambino Gesù. Aleteia ne ha parlato con il dott. Lorenzo Borghese, responsabile delle missioni internazionali dell’Ospedale pediatrico romano.
Com’è strutturata la collaborazione del Bambino Gesù ad Hanoi?
Borghese: Nel sud-est asiatico è in atto una collaborazione già dal 2006. Il primo progetto è nato in Cambogia dove, grazie all’accordo con il Ministero della sanità del paese, operiamo all’interno di un ospedale locale con un Centro clinico chirurgico di pediatria da 54 posti letto per l’assistenza di base a bambini indigenti. Ogni anno vengono presi in carico circa 3 mila bambini e si offre formazione specializzata al personale locale. L’obiettivo, come per tutti i progetti di cooperazione internazionale, è quello di aiutare i medici del luogo a diventare autonomi assicurando, al termine del progetto, sostegno a distanza. In Vietnam, invece, la collaborazione è di tipo più specialistico. All’interno del National Hospital for Pediatrics di Hanoi è stato realizzato – con il sostegno del Gruppo Piaggio attraverso la charity Vespa for children – un nuovo reparto con 30 letti per il trattamento di patologie urologiche complesse che richiedono trattamenti chirurgici, dialisi e trapianto renale. Da gennaio scorso sono stati sottoposti a trattamento chirurgico oltre 1000 bambini. Il progetto ha durata biennale e il nostro obiettivo, largamente superato, prevedeva di curare 3 mila bambini e sottoporre a trapianto renale da vivente e genitore – questo per garantire l’etica dell’intervento – cinque bambini. Quello della bambina di 10 anni è il primo dei trapianti realizzato in collaborazione con i medici di Hanoi che sono molto bravi, ma avevano bisogno del nostro supporto organizzativo e scientifico.
Quali altri progetti internazionali ha in corso il Bambino Gesù?
Borghese: Ci sono progetti di vario tipo. In Tanzania abbiamo un progetto simile a quello della Cambogia in collaborazione con i religiosi del Preziosissimo sangue: si tratta di 95 posti letto di pediatria e l’assistenza a 3000-3500 bambini ogni anno. In Cile, invece, portiamo avanti un progetto di collaborazione scientifica per la pubblicazione di studi nati dal confronto tra i nostri medici e quelli del luogo. In Russia a Mosca ci occupiamo della cura chirurgica di bambini epilettici mentre a sud di Amman, in Giordania, nel piccolo ospedale delle suore comboniane italiane offriamo il servizio di neuro-riabilitazione motoria per i piccoli profughi siriani. Sempre a favore dei tanti bambini fuggiti dal conflitto in Siria, il nostro ospedale, in collaborazione con Caritas Libano, gestisce un progetto nella valle della Bekaa per l’assistenza clinico-chiururgica. In ogni progetto c’è sempre una larga parte di formazione che viene fatta sul posto dai nostri medici o anche attraverso la possibilità di periodi di formazione nella sede di Roma.
Quale è l’aspetto fondamentale per la riuscita della collaborazione in posti del mondo con culture anche molto diverse? L’essere una struttura dichiaratamente cattolica può costituire un problema?
Borghese: L’aspetto più importante è instaurare una relazione fiduciaria con le autorità e il personale medico del luogo. Il nostro aiuto è sempre indirizzato a colmare carenze dei servizi locali che ci vengono segnalate dalle autorità del luogo: sono queste a richiedere il nostro intervento. Per instaurare un rapporto di fiducia è necessario dimostrare disponibilità e trasparenza. Gli aspetti economici diventano così secondari e anche l’appartenenza religiosa, se c’è fiducia, non è più causa di diffidenza, perché si capisce che la cura è indirizzata a tutti, senza distinzioni di credo. In questo è molto prezioso il contributo dei missionari presenti sul posto che conoscono bene le logiche e le regole da rispettare. Tutti coloro che svolgono un’esperienza di servizio in una missione internazionale del Bambino Gesù tornano indietro arricchiti umanamente e anche professionalmente perché i medici che incontriamo sono molto bravi e preparati, hanno solo bisogno di un supporto di conoscenze specialistiche.