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Il «mio» Giovanni Paolo II: la forza nella fragilità dell’uomo

Paula Olearnik of Poland embraces Pope John Paul II – CPP

© ALESSIA GIULIANI/CPP

<span class="standardtextnolink"><a class="standardtext">ALESSIA GIULIANI/CPP</a></span><br /> <span class="standardtextnolink">Paula Olearnik of Poland embraces Pope John Paul II during a ceremony in St. Peter&#039;s Square at the Vatican in this April 1, 2004, file photo. The pontiff often urged Catholic youth to dedicate themselves to God.</span>

Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 23/04/14

Mons. Renato Boccardo e Renzo Agasso firmano un volume che ci aiuta a cogliere l’umanità di Wojtyla per capirne la santità

“È stato un tale privilegio servire Giovanni Paolo II, una tale grazia essergli vicino, che sento il dovere di parlarne, di farne parte agli altri”. Questo è l’incipit del racconto di mons. Renato Boccardo, attualmente arcivescovo di Spoleto-Norcia, ma nei giorni del pontificato di Karol Wojtyla suo collaboratore in Vaticano, soprattutto organizzatore dei suoi ultimi viaggi. Il libro uscito in questi giorni,Il «mio» Giovanni Paolo II (Paoline, 2014), curato da Renzo Agasso, ricostruisce i tratti dell’uomo Karol Wojtyla, non prescindendo, piuttosto alzando lo sguardo oltre la potente ed influente immagine che i media hanno disegnato prima e dopo la sua morte. In questo libro impariamo a conoscere il pontefice polacco in ciò che precedeva e seguiva le sue apparizioni in pubblico o i suoi incontri con i capi di Stato. Riusciamo a guardare, in queste righe, dentro i suoi sorrisi, i suoi sguardi severi e nel fondo delle sue lacrime di commozione. Aleteia ha incontrato Renzo Agasso, che ci ha offerto qualche anticipazione.

Chi è il Giovanni Paolo II che raccontate?

Agasso: In questo libro abbiamo usato alcune parole chiave per identificare questo pontificato; ognuna corrisponde ad un capitolo. Tre di queste soprattutto emergono nel ritratto di Boccardo. La prima è mistico: questo papa che animava le folle era in realtà un uomo che cercava continuamente il contatto con Dio con la preghiera, col silenzio, in un passaggio in cappella in Vaticano tra un incontro e l’altro, col fermarsi in elicottero, in macchina o in aereo, a dire il rosario prima di scendere per incontrare i capi di Stato e le folle. ‘Mistico’ è un vocabolo che Boccardo usa più volte: lui l’ha visto sempre pregare, nei momenti più impensabili e nei luoghi più diversi, sotto le calure infernali oppure al freddo e al gelo. La seconda parola è coerenza: Boccardo dice che ha il papa ha avuto tanto ascolto, da parte soprattutto dei giovani, perché si mostrava come un uomo che viveva quello che diceva, che non ha mai rivisto la sua speranza nel mondo giovanile, che è sempre stato esigente con i giovani e li ha sempre spronati a fare bene e meglio. Con assoluta coerenza poi viveva la sua stessa vita, nel massacrarsi nei viaggi, nel resistere fino alla fine nella debolezza della malattia: una coerenza fisica e spirituale che i giovani hanno apprezzato e che li ha convinti. L’altra parola chiave che Boccardo usa è umanità: Giovanni Paolo II è stato un papa che in mezzo a tutte le vicende storiche che ha vissuto, ai personaggi storici straordinari che ha incontrato, aveva sempre la capacità di riconoscere la persona, e di avere un’attenzione per questa, individuale e concreta, non falsa, non costruita, ma reale e autentica.

La sfida era quella di mostrare l’uomo oltre l’immagine mediatica che se ne ha?

Agasso: Vedo che stanno emergendo oggi, anche in molti altri autori, questi aspetti. Si riscopre che al di là dello spettacolo del Giovanni Paolo II ‘superstar’ che abbiamo visto e vissuto – che ha avuto un ruolo comunque perché ha avvicinato il papa a milioni di individui, cosa mai vista prima e mai pensata sino ad allora – c’era un uomo, profondamente radicato in alcune cose, nella preghiera, nell’attenzione alle persone, nella preparazione meticolosa della messa. Per lui, dice Boccardo, andare nei paesi lontani non era andare a incontrare capi di Stato, ma era andare a dire messa. Per questo c’era in lui una lunga attenzione ai gesti, ai momenti. Celebrare l’eucarestia in mezzo al popolo di Dio, questo era lo scopo per cui viaggiava, che veniva prima di tutto il resto.

Tra gli ultimi capitoli ci sono quelli dedicati a due termini chiave: “umanità” e “fragilità”. Perché?

Agasso: Giovanni Paolo II mostrava una straordinaria forza nella fragilità, proprio perché lui si rendeva conto di diventare ogni giorno più debole. Boccardo racconta che l’unica volta che vide Wojtyla alterato fu quando in Polonia si era ritirato in una cappella a pregare, mentre da fuori arrivavano il clamore della gente e il canto di un coro che provava per la messa. Lui si arrabbiò moltissimo perché non poteva andare ad azzittire tutti personalmente: allora batté più volte la mano sulla sedia chiedendo che facessero star zitte queste persone. Era arrabbiato perché si sentiva fragile e impotente; ma nonostante questo lui ha sempre ripetuto ai suoi collaboratori: “io andrò avanti testimoniando il Vangelo finché Dio vorrà”. E così fece, al di là della spoliazione che interessò il suo fisico: ricordiamo che prima perse la facoltà di camminare, poi la voce, insomma, via via vennero meno i suoi strumenti di evangelizzazione, divenne fragilissimo, dipendente da tutto e da tutti. Eppure utilizzò perfino questo per evangelizzare.

Che cosa c’era di “polacco” nel suo pontificato?

Agasso: Certamente egli ha portato la capacità di resistere della fede contro tutte le avversità, contro ogni tipo di “invasione”. Poi ha portato una forte impronta mariana: la Madonna di Czestochowa era ogni giorno davanti ai suoi occhi nella cappella. Ha portato anche la sua forza fisica, la capacità di affrontare tutto, dall’attentato, alla malattia, agli incidenti; questo essere montanaro, coriaceo, resistente, capace di sopportare sempre. E poi c’è tutto l’aspetto politico, che riguarda il bisogno di libertà, come quando andò in Polonia e disse: “Nessuno può pensare di togliere Dio all’uomo”. Questo fu il messaggio forte che portò nel mondo, a tutti i dittatori di destra e di sinistra.

Cosa lo rendeva così affascinante per i giovani?

Agasso: C’è un piccolo episodio che illustra bene questo concetto. Boccardo racconta che a Denver Giovanni Paolo II arrivò in uno stadio dove era raccolta una moltitudine di giovani. Quando il papa salì per andare sull’altare che era stato costruito, le telecamere inquadrarono da vicino il suo volto commosso mentre guardava i giovani davanti a lui che cantavano e ballavano. Gli si videro quasi le lacrime scendere dagli occhi. Qualche giorno dopo fu realizzata un’inchiesta con alcuni giovani di Denver a cui fu chiesto cosa li avesse colpiti, e qualcuno di loro rispose: “Michael Jackson non ha mai pianto per me!”. Credo che i giovani vedevano in Wojtyla una persona autentica, credibile, per come si comportava, per come parlava, per le cose che diceva, per la capacità di essere felice in mezzo a loro, ma sempre molto duro, preciso, molto insistente nel richiedergli di fare la loro parte, di non lasciarsi abbindolare o scoraggiare, e soprattutto di non lasciarsi sviare nel rapporto con Dio.

Dunque i giovani vogliono nel papa non un “amico”, ma un padre autorevole?

Agasso: Esatto, un padre autorevole, che ha autorevolezza perché vive quello che dice. Lui ha vissuto quello che diceva, anche da giovane. Come si ricorda spesso, “non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma credibili”, e Giovanni Paolo II è stato profondamente credibile, soprattutto per i giovani, che sono quelli che hanno maggior bisogno di testimoni significativi per la loro vita.

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