Tra questi, quello divertente della cena improvvisata nella Nunziatura di Paría
Avendo già fatto il servizio militare quando era seminarista, allo scoppio della guerra venne richiamato come sergente. Per il suo operato generoso a Sant’Ambrogio a Milano fu promosso tenente. Venne poi trasferito a Torino, all’ospedale di Porta Nuova, e nominato primo cappellano. Baffuto, dinamico e dal sorriso franco, assisteva tutti, offrendo a ciascuno una parola di incoraggiamento. Si sedeva accanto al letto dei feriti, sempre con una parola di speranza per farli sorridere. Organizzò servizi postali per i soldati malati. Riteneva che per loro fosse fondamentale ricevere notizie dai familiari, e diceva: “Una lettera che arriva dalla famiglia sortisce più effetto di due settimane di cure mediche”.
“Era di gran lunga l’uomo più popolare dell’ospedale”, ha detto un sottufficiale.
Dopo la firma della pace, tornò a Bergamo per incaricarsi della direzione spirituale dei chierici. Papa Pio XI lo chiamò a Roma nel 1920 per affidargli la preparazione dell’anno santo 1925 e un’esposizione missionaria prima di inviarlo, nel 1924, a Sofia come amministratore apostolico.
In seguito, quando era già arcivescovo di Aeropolis e delegato apostolico in Turchia, il Presidente Atatürk, fondatore della Turchia moderna, volle creare un Paese potente trasformando la Nazione islamica in uno Stato aconfessionale. Né scuole cattoliche, né conferenze o proselitismo religioso. Quanto agli abiti, niente tonache o veli, né alcun segno esteriore di religiosità. Si diffuse un autentico caos tra il clero e le suore, che protestavano – alcuni fino alle lacrime – impotenti di fronte all’ordine presidenziale.
Il delegato apostolico non si preoccupava affatto. Anzi, a volte rideva perfino trovando ridicoli alcuni confratelli senza veste. Per non parlare delle suore… Un giorni li riunì tutti, cercando di convincerli che l’elemento più importante era quello interiore e non la facciata, e che l’abito non faceva il monaco. Poi, per dare per primo l’esempio, ordinò che comprassero quattro vestiti, uno per lui e uno per ciascuno dei suoi aiutanti. Vestiti in quel modo, tra il serio e il faceto, sorse un problema: non sapevano farsi il nodo alla cravatta. Il buon arcivescovo, ridendo, iniziò a farlo a ciascuno mentre ripeteva divertito: “Ragazzi, io ho imparato a fare questo nodo nell’esercito”.
La II Guerra Mondiale
Quando scoppiò la II Guerra Mondiale, Roncalli risiedeva a Istanbul come delegato apostolico. Faceva quanto era in suo potere per aiutare tutti, in particolare gli ebrei, perseguitati e uccisi a migliaia. Per questo gli era molto utile l’amicizia con l’ambasciatore tedesco nazista Von Papen.
Un giorno, questi si recò a far visita all’arcivescovo Roncalli per fargli una proposta strana e complicata: intercedere, grazie al suo prestigio, presso papa Pio XII perché questi appoggiasse le truppe di Hitler. Le ragioni invocate da Von Papen erano che l’esercito del Führer lottava contro il comunismo, nemico anche della Chiesa. La risposta di Roncalli fu netta e dura, malgrado l’amicizia con l’ambasciatore.
“E cosa dirò al papa quando mi chiederà degli orrori che state commettendo nei confronti di migliaia di poveri ebrei?”, chiese al potente Von Papen. Quest’ultimo non rispose nulla. La sua amicizia con l’arcivescovo non impedì che questi impiegasse tutta l’artiglieria mettendo da parte la sua fine diplomazia.
In seguito, nel 1935, Roncalli venne nominato delegato apostolico ad Atene, dove visse, per fortuna del popolo greco, la resistenza alla Germania e all’Italia nella II Guerra Mondiale, reclamando e ottenendo dal Vaticano continui aiuti sotto forma di medicinali e generi alimentari.
Nunzio apostolico a Parigi
Dopo la liberazione della Francia nell’agosto 1944, Pio XII nominò Roncalli nunzio apostolico a Parigi, in un’epoca in cui lo Stato francese era dominato dai partiti di sinistra. Poco tempo dopo il suo arrivo, si presentò un problema gravissimo: 24 vescovi cattolici erano stati inquisiti come traditori della Francia durante la Resistenza. Erano accusati di aver collaborato con i nazisti e di essere amici leali del maresciallo Pétain e del suo Governo di Vichy. L’accusa era grave, ma le prove erano scarse. Il Presidente francese era allora Bidault. E dato che al nunzio Roncalli sembravano poche le prove di colpevolezza dei vescovi, chiese serenamente alla Resistenza i dossier e un tempo sufficiente per studiarli dettagliatamente.
Furono sei mesi di duro lavoro da parte del nunzio. Alla fine chiese udienza a Bidault, e a poco a poco, con abilità, scartò davanti al Presidente tutti i nomi di vescovi condannati. Alla fine ne furono inquisiti solo tre. “Gli altri, diceva, li pongo sotto lo zucchetto e rispondo per loro”. Con la sua caparbietà contadina, il tatto diplomatico e la bontà nei confronti di tutti, c’era riuscito. Non a caso i francesi lo chiamarono con il tempo “il conciliatore”.
Per tutta Parigi correva la notizia di questo fatto che aveva avuto come protagonista il nunzio: aveva invitato a cena nella nunziatura vari personaggi di spicco. Frastornato dai tanti impegni ufficiali, si era del tutto dimenticato dell’invito quando arrivò il giorno fatidico. In casa non c’erano né cuoca né cena quando iniziarono ad arrivare i commensali: un rettore di università, un imprenditore, qualche vescovo… Il nunzio si ricordò dell’impegno della cena e chiese umilmente scusa agli invitati, ma reagì rapidamente con entusiasmo, per lo stupore di tutti, dicendo: “Devo confessare che ho dimenticato completamente l’invito. La cuoca se n’è andata, non c’è nessuno che prepari la cena. Dovremo prepararla noi. Per cui, se vi va, ciascuno prepari ciò che sa fare prendendo ciò che c’è in cucina”. All’inizio gli invitati rimasero attoniti e in silenzio, poi scoppiarono a ridere, divertiti.
“E sua eccellenza cosa preparerà?”, chiese un ospite. “Ci ho già pensato: un piatto di polenta italiana che ho imparato da mia madre. A Sotto il Monte lo chiamano ‘il piatto del Signore’ perché non manca in nessuna casa, per quanto povera possa essere. Vi piacerà, vedrete. E un’altra cosa: dirò a tutti che non ho mai visto né vedrò mai personaggi così importanti come voi mangiare la mia polenta vestiti in smoking”. Tutti risero e iniziarono a preparare la cena. Il giorno dopo, la Parigi bene raccontava tra le risate la famosa cena di polenta nella residenza del nunzio.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]