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Canonizzazioni: vale l’infallibilità del papa?

Way of the Cross at the Colosseum with Pope Francis 01 © Sabrina Fusco

© Sabrina Fusco / ALETEIA

Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 19/04/14

Monta la polemica tra entusiasti e perplessi in vista del 27 aprile, quando Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II saranno dichiarati santi

La questione potrebbe sembrare tecnica, ma in realtà investe soprattutto il cuore di tutti i cattolici. Tra meno di dieci giorni, papa Francesco dichiarerà santi due pontefici, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che più di tutti hanno avuto modo e tempo (se pensiamo a Giovanni Paolo I) di toccare le sensibilità dei fedeli. Ma questo evento che si preannuncia grandioso nella portata mediatica che solleverà suscita anche alcuni dubbi e fa emergere divisioni, soprattutto tra storici e teologi. Non tutti infatti guardano favorevolmente alle modalità, ed in particolare alla velocità, con cui questi processi di canonizzazione sono stati condotti. Tra questi c’è il prof. De Mattei, che in una intervista di qualche giorno fa ha sostenuto che la canonizzazione non rientrerebbe nel territorio dell’infallibilità del papa, per cui sarebbe legittimo essere in disaccordo. In particolare, De Mattei è critico con la riforma voluta da Wojtyla nel 1983, colpevole a suo dire di aver fatto sì che il “processo di accertamento della verità sia divenuto molto più fragile” e di aver di fatto prodotto “un mutamento dello stesso concetto di santità”. Per approfondire questa questione noi di Aleteia ci siamo rivolti a Pierluigi Giovannucci, ricercatore di Storia del cristianesimo e delle Chiese presso l’Università di Padova, autore tra le altre cose di Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna(Morcelliana). Nei prossimi giorni ci dedicheremo a riflettere nello specifico sulle due figure dei prossimi santi.

L’infallibilità del papa si può estendere alla canonizzazione?

Giovannucci: La questione se il papa sia infallibile nel canonizzare l’ho studiata perché rappresenta una delle questioni attraverso le quali si è posto il tema più generale dell’infallibilità del papa. Effettivamente, il Concilio Vaticano I ha inserito determinati pronunciamenti del papa come fatti dogmatici nell’area dell’infallibilità papale, recependo qui un orientamento che però è già sostanzialmente maggioritario nel ‘600. Quindi, che il papa sia infallibile nel canonizzare viene già elaborato da riflessioni teologiche varie nel corso del ‘600. In genere i teologi, nell’arco dell’età moderna, hanno espresso la convinzione che il papa è infallibile nel momento della canonizzazione, mentre non lo è nel momento della beatificazione. Però questa cosa è legata allo statuto della beatificazione che viene definito progressivamente come un atto specifico, un primo risultato della canonizzazione, nel corso del XVII secolo. Per questo i teologi all’epoca tendevano a fare questa distinzione. In sintesi, possiamo dire che più o meno dalla metà del ‘600 si definisce un atto separato, che è la beatificazione, e un atto successivo a seguito di un secondo processo, che è la canonizzazione, e si ritiene che il papa sia infallibile al termine di questo secondo processo. Ciò anche per una ragione banale: perché è un cammino molto lungo, analizzato con grande attenzione, ripreso a distanza di tempo, garantito dai miracoli.

C’è secondo lei un errore di impostazione nella tesi di De Mattei?

Giovannucci: L’intervista di De Mattei io la inquadro in quella che è la sua posizione storiografica generale. Lui mescola due aspetti: uno dottrinale e un altro di fatto. Da un punto di vista dottrinale, il papa è infallibile nel momento in cui canonizza, sia se canonizza dei santi che ci vanno bene, sia se canonizza dei santi che non ci vanno bene. Ora qui il problema di De Mattei, mi sembra, è che non gli “garbi” tanto Giovanni XXIII come santo, e conoscendo le sue posizioni non mi stupisco più di tanto. Però, l’idea che la modifica delle procedure apportata da Giovanni Paolo II nel 1983 abbia modificato anche lo statuto della canonizzazione direi che non è accettabile. Quello che Giovanni Paolo II ha fatto è stato apportare dei cambiamenti alla legge canonica per quanto riguarda la procedura, ma in termini teologici non è cambiato lo statuto della canonizzazione. Giovanni Paolo II, in senso stretto, ha eliminato la necessità di ripetere due volte i processi di canonizzazione, i processi informativi, cioè di fare un processo a livello diocesano e poi uno a livello romano. Ora di fatto a livello diocesano si fa tutto il processo, dopodiché a Roma si discute e si decide, una volta sola. Stabilendo anche delle tempistiche minime, che possono comunque essere anche derogate, come nell’avvio della causa dello stesso Giovanni Paolo II, che sono delle distanze minime, ridotte ora rispetto a prima.

Cosa ha prodotto questa modifica?

Giovannucci: Questo ha prodotto una velocizzazione dei processi e uno sfrondamento dei passaggi procedurali. E a sua volta questo ha prodotto come conseguenza la moltiplicazione da un lato delle cause introdotte e dall’altro lato delle cause definite in tempi piuttosto rapidi. Questo era quello che Wojtyla voleva: creare un sistema che consentisse tempi controllabili; naturalmente lui non poteva sapere che avrebbe avuto davanti a sé oltre 20 anni di pontificato. Ma l’idea era quella di accelerare rispetto a procedure che per quanto riguarda l’età moderna sono procedure secolari: certamente nell’età moderna non avrebbe potuto essere canonizzato un papa morto 30-40 anni prima, anche perché dopo la riforma di Urbano VIII, non poteva essere definita nessuna causa di beatificazione, cioè non poteva essere introdotta presso la Congregazione dei riti, se non 50 anni dopo la morte del “servo di Dio”. Questo voleva dire che, data la procedura lunga di congregazioni ecc., non si poteva arrivare ad una beatificazione a meno di 60-70 anni dalla morte. Quindi era un tempo molto più lungo. Questa realtà stabilita intorno agli anni Trenta del ‘600 è rimasta pressoché immutata grosso modo fino all’età di Paolo VI.

Perché Giovanni Paolo II ha voluto velocizzare queste procedure?

Giovannucci: I tempi lunghi producevano una conseguenza, storicamente parlando: l’ampio lasso di tempo tra l’istruzione della causa del servo di Dio e la beatificazione o canonizzazione. Quindi questo “servo di Dio” non è più conosciuto dalle persone, non è più un personaggio che possa avere una sua attualità, ed è una figura molto lontana, quasi “archeologica”. Naturalmente nel corso del ‘900 questo aspetto ha cominciato ad essere preso in considerazione in termini critici da più di un papa, probabilmente già a partire da Benedetto XV, poi Pio XI, e in seguito anche Pio XII. Però, siccome nessuno di questi papi è intervenuto in maniera specifica nel modificare le norme canoniche che regolano le canonizzazioni, solo con Paolo VI si è avuto uno sfrondamento, nel 1969, e poi, più forte ancora, c’è stata una modifica che ha portato alla velocizzazione con Wojtyla. Naturalmente questo ha portato con sé non tanto un indebolimento dello statuto teologico di queste figure, ma una loro inflazione. Questo vuol dire che, a parte qualche grande personaggio, come può essere Padre Pio, Madre Teresa, Giovanni XXII, la gente non conosce la gran parte dei nuovi santi. O meglio, li vede nel momento in cui vengono proclamati ma poi se li perde per strada. Naturalmente penso che Wojtyla questa cosa non l’avesse calcolata; un po�
�� però probabilmente la considerava una cosa inevitabile, nella misura in cui gli dava la possibilità di fornire a tutti i Paesi, a tutti i continenti, a tutti gli Stati un modello di riferimento. Sicuramente ricorderà quando, durante i suoi viaggi, Wojtyla beatificava una persona a Cuba, una persona nel Malawi, oppure una nel Madagascar. Magari la Fondatrice della congregazione di suore a Cuneo, probabilmente già ad Alessandria non se la ricordano. Ma l’obiettivo di Wojtyla era un altro.

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