L'omelia della Via Crucis di padre Raniero Cantalamessa
Dentro la storia divino-umana della passione di Gesú ci sono tante piccole storie di uomini e di donne entrati nel raggio della sua luce o della sua ombra. La più tragica di esse è quella di Giuda Iscariota. È uno dei pochi fatti attestati, con uguale rilievo, da tutti e quattro i vangeli e dal resto del Nuovo Testamento. La primitiva comunità cristiana ha molto riflettuto sulla vicenda e noi faremmo male a non fare altrettanto. Essa ha tanto da dirci.
Giuda fu scelto fin dalla prima ora per essere uno dei dodici. Nell’inserire il suo nome nella lista degli apostoli l’evangelista Luca scrive “Giuda Iscariota che divenne” (egeneto) il traditore” (Lc 6, 16). Dunque Giuda non era nato traditore e non lo era al momento di essere scelto da Gesú; lo divenne! Siamo davanti a uno dei drammi più foschi della libertà umana.
Perché lo divenne? In anni non lontani, quando era di moda la tesi del Gesú “rivoluzionario”, si è cercato di dare al suo gesto delle motivazioni ideali. Qualcuno ha visto nel suo soprannome di “Iscariota” una deformazione di “sicariota”, cioè appartenente al gruppo di zeloti estremisti che agivano da “sicari” contro i romani; altri hanno pensato che Giuda fosse deluso dal modo con cui Gesú portava avanti la sua idea del “regno di Dio” e che volesse forzargli la mano ad agire anche sul piano politico contro i pagani. È il Giuda del celebre musical “Jesus Christ Superstar”e di altri spettacoli e romanzi recenti. Un Giuda che si avvicina a un altro celebre traditore del proprio benefattore: Bruto che uccise Giulio Cesare per salvare la Repubblica!
Sono ricostruzioni da rispettare quando rivestono qualche dignità letteraria o artistica, ma non hanno alcun fondamento storico. I vangeli – le uniche fonti attendibili che abbiamo sul personaggio – parlano di un motivo molto più terra-terra: il denaro. A Giuda era stata affidata la borsa comune del gruppo; in occasione dell’unzione di Betania aveva protestato contro lo spreco del profumo prezioso versato da Maria sui piedi di Gesù, non perché gli importasse dei poveri, fa notare Giovanni, ma perché “era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,6). La sua proposta ai capi dei sacerdoti è esplicita: “Quanto siete disposti a darmi, se io ve lo consegno? Ed essi gli fissarono trenta sicli d’argento” (Mt 26, 15).
* * *
Ma perché meravigliarsi di questa spiegazione e trovarla troppo banale? Non è stato forse quasi sempre così nella storia e non è ancora oggi così? Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia; letteralmente, “l’idolo di metallo fuso” (cf. Es 34, 17). E si capisce il perché. Chi è, oggettivamente, se non soggettivamente (cioè nei fatti, non nelle intenzioni), il vero nemico, il concorrente di Dio, in questo mondo? Satana? Ma nessun uomo decide di servire, senza motivo, Satana. Se lo fa, è perché crede di ottenere da lui qualche potere o qualche beneficio temporale. Chi è, nei fatti, l’altro padrone, l’anti-Dio, ce lo dice chiaramente Gesù: “Nessuno può servire a due padroni: non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6, 24). Il denaro è il “dio visibile”[1], a differenza del Dio vero che è invisibile.
Mammona è l’anti-dio perché crea un universo spirituale alternativo, cambia oggetto alle virtù teologali. Fede, speranza e carità non vengono più riposte in Dio, ma nel denaro. Si attua una sinistra inversione di tutti i valori. “Tutto è possibile a chi crede”, dice la Scrittura (Mc 9, 23); ma il mondo dice: “Tutto è possibile a chi ha il denaro”. E, a un certo livello, tutti i fatti sembrano dargli ragione.