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Giovanni XXIII e l’inizio del crollo della cortina di ferro

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Catholic News Agency - pubblicato il 18/04/14
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L’eredità politica del beato Giovanni XXIII ha contribuito alle relazioni internazionali del Vaticano
Durante il suo pontificato, il beato papa Giovanni XXIII ha avviato un dialogo con l’Unione Sovietica che ha portato al crollo della cortina di ferro durante il papato del suo successore Giovanni Paolo II. Entrambi i pontefici verranno canonizzati il 27 aprile.

Nel 1961, il compleanno del “papa buono” divenne l’occasione per la prima comunicazione tra l’Unione Sovietica e il Vaticano dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Semen Kozyrev, ambasciatore sovietico in Italia, inviò gli auguri di compleanno al papa: “Dietro l’incarico da me ricevuto, la prego di comunicare a nome di N.S.Krustciof alla Sua Santità il papa Giovanni XXIII in occasione del suo 80 genetliaco le congratulazioni e i sinceri auguri della buona salute e dei successi nella sua nobile aspirazione di contribuire al rafforzamento e al consolidamento della pace sulla terra e alla soluzione dei problemi internazionali per tramite delle franche trattative”.

Giovanni XXIII scrisse una risposta a mano, su un foglio con il suo stemma; il messaggio venne consegnato a Kozyrev attraverso l’arcivescovo Carlo Grano, all’epoca nunzio apostolico in Italia.

“Sua Santità il Papa Giovanni XXIII ringrazia degli auguri, ed esprime da parte sua anche a tutto il popolo russo cordiali voti ad incremento e consolidamento della pace universale, attraverso felici intese di umana fraternità. Per questo eleva fervide preghiere”.

Questo scambio aprì un canale di comunicazione tra gli Stati, e quando emerse la crisi dei missili cubani l’anno successivo, Giovanni XXIII lo usò per inviare un messaggio all’Unione Sovietica e agli Stati Uniti.

Il messaggio terminava pregando “tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze. Che continuino a trattare, perché questa attitudine leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra”.

Il messaggio venne consegnato sia all’ambasciata americana che a quella sovietica, trasmesso dalla Radio Vaticana e pubblicato in prima pagina dalla Pravda, la voce ufficiale del partito comunista sovietico.

La diplomazia del beato Giovanni XXIII portò anche al rilascio da un gulag del cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo ucraino di Leopoli, il 25 gennaio 1963.

l cardinale Slipyj era stato arrestato dai sovietici nel 1945 e da allora aveva trascorso gran parte del tempo nei gulag siberiani.

La Santa Sede chiedeva da molto la sua liberazione, ma questa avvenne solo con il pontificato di papa Roncalli.

Un mese dopo Alexei Adzhubei, editore del quotidiano del Governo sovietico Izvestia e genero di Krusciov, visitò Roma e volle incontrare il papa.

Anche se molti prelati erano contrari all’incontro, su consiglio del cardinale Siri, arcivescovo di Genova, Giovanni XXIII decise di ricevere Adzhubei e sua moglie Rada il 7 marzo 1963.

Questa serie di eventi spianò la strada alla politica di Paolo VI dell’Ostpolitik, con la quale iniziò un dialogo con i funzionari del Patto di Varsavia per migliorare le condizioni dei cristiani delle Nazioni che vi aderivano.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]