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Pasqua e il suo ciclo

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Dimensione Speranza - pubblicato il 17/04/14

Originariamente la chiesa celebrava la propria festa di Pasqua in un solo giorno: nella notte tra il Sabato santo e la domenica di Pasqua

Testimonianze chiare si hanno solo nel sec. IX. Nella seconda metà di questo secolo assume una particolare importanza la controversia pasquale. Mentre i cristiani dell’Asia Minore e della Siria compivano la celebrazione annuale, indipendentemente da un determinato giorno della settimana, sempre il 14 di nisan, il plenilunio del primo mese di primavera (‘Quartodecimani’), la rimanente parte della cristianità si decise per la domenica dopo il 14 di nisan. Il concilio di Nicea del 325 pose termine a questa controversia interna della chiesa a motivo della data pasquale con la prescrizione di celebrare sempre la pasqua la domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Con questo ordinamento dipendente dalle fasi lunari si accettò che questa data di pasqua, in un computo del tempo basato sul sole, avesse un’oscillazione di cinque settimane (22 marzo – 25 aprile) e che così una gran parte dell’anno liturgico fosse caratterizzata da feste mobili. Recenti sforzi per una fissazione (più stabile) della data di pasqua sono rimasti finora senza esito .

La lingua latina come denominazione per la celebrazione annuale ha ripreso il greco Pascha (dall’ebraico Pesach), e di qui derivano lo scritto siriaco Didascalia, della prima metà del sec. II, che motiva il digiuno del mercoledì con il tradimento di Giuda e quello del venerdì con la morte in croce di Cristo. Ugualmente il digiuno del sabato, già molto presto in uso a Roma, è giustificato con il lutto degli apostoli per la morte di Gesù .

Diventa così evidente che gli eventi della Settimana santa hanno avuto un ruolo importante nella caratterizzazione liturgica dei giorni della settimana. Infine, nel Medioevo anche il giovedì riceve un inconfondibile accento cristologico nel ricordo dell’istituzione dell’eucaristia nell’Ultima Cena e della passione iniziata con l’agonia nell’orto degli ulivi «Così come la domenica rappresenta una pasqua di tutte le settimane, anche la settimana appare come una copia attenuata della Settimana santa. I grandi fatti della storia della salvezza dovevano passare sotto gli occhi dei fedeli non una volta solo nel corso dell’anno, ma ogni volta anche nel piccolo ciclo della settimana».

Questa caratterizzazione storico-salvifica della maggior parte dei giorni della settimana nel Medioevo viene soppiantata per un certo tempo, cominciando con Alcuino (+804), da numerose serie di messe votive caratterizzate differentemente. In esse hanno un ruolo particolare la venerazione della trinità e dei santi, ma anche la preoccupazione della perfezione e della salvezza dell’anima. Il tentativo di rapportare anche l’incarnazione di Gesù ai giorni della settimana non ebbe un successo permanente. Finalmente nel processo postridentino di unificazione e di fissazione della liturgia, quale troviamo soprattutto nel Messale di Pio V, si delineò la seguente serie di messe votive, che insieme con alcune aggiunte più tardive rimase in vigore esattamente 400 anni fino al Messale di Paolo VI del 1970.

  • Lunedì: Trinità
  • Martedì: angeli e anche angelo custode
  • Mercoledì: apostoli; dal 1920 anche s. Giuseppe e ss. Pietro e Paolo
  • Giovedì: Spirito santo; dal 1604 anche eucaristia, dal 1935 anche Cristo sommo ed eterno sacerdote
  • Venerdì: croce; dal 1604 anche passione di Cristo
  • Sabato: Maria

Il nuovo MI conosce 17 messe votive, tra le quali quelle citate sono tutte rappresentate. Esso però rinuncia ad assegnarle a particolari giorni della settimana. Così il singolo sacerdote è lasciato più o meno libero di mantenere la caratterizzazione dei giorni della settimana essenzialmente medievale.

a) Il triduo pasquale

Originariamente la chiesa celebrava la propria festa di pasqua in un solo giorno e precisamente nella sola notte tra il Sabato santo e la domenica di pasqua. Dal sec. IV, a partire da una prospettiva più storicizzante e da una forma di rappresentazione imitativa, si formò il «triduo santissimo del Signore crocifisso, sepolto e risorto» . Le celebrazioni liturgiche di questi tre giorni, dalla sera del Giovedì santo alla domenica di pasqua, rappresentano da allora la vera celebrazione annuale del mistero pasquale . Poiché queste celebrazioni si erano rese molto bisognose di riforma già Pio XII dispose un rinnovamento radicale (1951 e 1955), una sostanziale anticipazione della riforma postconciliare del MR del 1970. La breve descrizione che segue fa riferimento al MI del 1983.

La celebrazione del Giovedì santo

Poiché secondo la concezione degli ebrei e in genere degli antichi il giorno si inizia la sera precedente, anche la sera del Giovedì santo fa già parte dei tre giorni santi. Ciò si giustifica anche dal punto di vista del contenuto, poiché nell’Ultima Cena Gesù anticipa sacramentalmente il dono di sé nella morte sacrificale e nell’agonia nell’Orto degli ulivi inizia propriamente la passione.

La messa della “Cena del Signore” deve essere l’unica in questo giorno (a prescindere dalla missa chrismatis del vescovo nella mattina). A essa è unita l’usanza della lavanda dei piedi (detta anche Mandatum = comando), dopo il vangelo (facoltativamente). Detta l’orazione dopo la comunione i doni preconsacrati per il Venerdì santo vengono portati al tabernacolo di un altare (cappella) laterale e viene rimosso l’ornato dell’altare maggiore (denudatio altaris = spogliazione dell’altare). La successiva adorazione davanti al ss. Sacramento deve possibilmente essere mantenuta. La denominazione di questo luogo della reposizione come “santo sepolcro” deve essere considerata meno felice . È il caso ancora di ricordare l’uso, che si mantiene, di suonare le campane per il Gloria, per poi farle tacere fino al Gloria della veglia pasquale. All’altare in luogo del campanello si usa in taluni luoghi uno strumento di legno (crotalo o raganella) .

La liturgia del Venerdì santo

I primi secoli cristiani in questo giorno della morte di Gesù rinunciarono a una particolare liturgia e tennero in esso, come nel Sabato santo, uno stretto digiuno di lutto. Verso la fine del sec. IV si conosceva a Gerusalemme, nella mattinata, l’adorazione della santa croce e nel pomeriggio una liturgia della Parola con la lettura della passione. Di una liturgia della Parola riferisce anche s. Agostino per il Nordafrica. Inoltre nelle chiese locali si svilupparono attorno ad una reliquia della croce (ad es. a Roma) delle cerimonie di adorazione della croce. Attraverso la liturgia romana importata nei paesi franchi e la elaborazione del Pontificale romano.germanico del sec. X, da una semplice liturgia di comunione si sviluppò lentamente la missa praesanctificatorum senza Preghiera eucaristica. L’uso medievale di comunicare raramente portò alla pratica che solo il sacerdote comunicasse in tale messa. In tale forma il Messale tridentino del 1570 assunse la liturgia del Venerdì santo e la conservò per quasi 400 anni. Il nuovo ordinamento introdotto nel 1955 semplificò la tradizionale ripartizione in tre parti: liturgia della Parola, adorazione della croce, liturgia di comunione, e tolse il divieto della comunione dei fedeli. Il MR del 1970 ha sostanzialmente accolto tale riforma.
Di norma la celebrazione inizia verso le 15; il colore liturgico è il rosso. Dopo la prostrazione davanti all’altare interamente spoglio e la breve introduzione con l’orazione del giorno segue la liturgia della Parola con due letture, la narrazione della passione del Signore secondo Giovanni, l’omelia e la preghiera universale. Questa nelle sue intenzioni è stata resa più concisa e formulata con maggior riguardo nei confronti degli ebrei e di coloro che prima erano detti eretici e scismatici. All’adorazione della croce sono possibili due forme di “ostensione della santa croce” (scoprimento graduale o processione con la croce svelata). Mentre clero e fedeli compiono l’atto di venerazione alla croce (genuflessione o bacio o altro segno), il coro e (o) l’assemblea eseguono gli antichi e venerabili canti per l’adorazione della santa croce, nei quali già si esprime la gioia pasquale. La semplice liturgia di comunione con i dona praesanctificata comporta come preparazione il Padre nostro, l’embolismo “Liberaci” e l’acclamazione “Tuo è il regno”. L’orazione dopo la comunione e l’orazione sul popolo fanno intravedere l’unità del mistero pasquale di morte e risurrezione.

La celebrazione della veglia pasquale

Il Sabato santo, come giorno del riposo del sepolcro e del digiuno di lutto, fin dai tempi antichi non ebbe alcuna liturgia propria. Col cadere dell’oscurità si iniziava la «madre delle veglie» (s. Agostino), la santa veglia notturna a celebrazione della morte e risurrezione del Signore. «Nella grande antitesi tra notte e luce del mattino, digiuno e banchetto eucaristico, lutto e gioia festiva si viveva in modo irresistibile il contrasto tra morte e vita, caduta e risurrezione, Satana e Kyrios, antico e nuovo eone» (1). Molti oggi non possono capire come, a partire dal sec. XIV, si poté giungere a quel processo involutivo, per cui questa liturgia della veglia pasquale poté essere spostata alla prima mattina del Sabato santo.

La rinnovata liturgia della veglia pasquale si compone di lucernario, liturgia della Parola, liturgia battesimale e liturgia eucaristica.

Il Lucernario si inizia con la benedizione del fuoco, la preparazione e accensione del cero quale “luce di Cristo”, e la processione con cui è introdotto nella chiesa buia, che è quindi illuminata dai ceri dei fedeli accesi al cero pasquale. Segue il solenne annunzio pasquale, detto anche dalla parola iniziale latina Exultet. Poiché esso è un momento forte del messaggio pasquale si pone la domanda se non dovrebbe essere collocato dopo il vangelo.

La liturgia della Parola ha nove letture bibliche, di cui le due ultime dal NT (Rm 6,3-11 e un vangelo della risurrezione da uno dei sinottici, secondo l’anno del ciclo). Per motivi pastorali il numero delle letture veterotestamentarie può essere ridotto al massimo a due. A ciascuna segue un salmo responsoriale e una orazione. Dopo l’ultima lettura dell’AT il sacerdote intona il Gloria (suono delle campane). Per la prima volta viene quindi cantato di nuovo L’Alleluia.

Liturgia battesimale; poiché la veglia pasquale fin dai tempi antichi era una data preferita per il battesimo, è desiderabile anche oggi che si celebri il battesimo, possibilmente a conclusione del catecumenato. Dopo la presentazione dei battezzandi e le litanie dei santi in forma abbreviata, si ha la benedizione dell’acqua con una preghiera epicletica (e l’immersione del cero, facoltativa). Dopo la rinunzia a Satana e la professione di fede è amministrato il battesimo; gli adulti e i fanciulli nell’età del catechismo vengono
anche confermati dal vescovo, se è presente, o dal sacerdote celebrante. Se non ci sono battezzandi né si deve benedire il fonte battesimale si fa la benedizione dell’acqua lustrale (acqua benedetta). Dalla restaurazione della veglia pasquale nel 1951 è prevista a questo punto la rinnovazione delle promesse battesimali, cui segue l’aspersione dell’assemblea con l’acqua benedetta. Si ha quindi la preghiera universale.

Essa fa da ponte alla liturgia eucaristica nella quale l’azione salvifica pasquale è espressa particolarmente, prescindendo dalle orazioni presidenziali, nel prefazio, nelle inserzioni delle Preghiere eucaristiche I-IV (ricordo e/o intercessioni particolari per i neobattezzati), nella benedizione solenne tripartita e nel doppio Alleluia del congedo .
Le successive ore diurne della domenica di pasqua non avevano originariamente alcuna celebrazione eucaristica. Questa sorse solo quando verso la fine del sec. VI la vera messa della risurrezione finiva già prima della mezzanotte. Del resto la pietà popolare in certi paesi si era creata negli ultimi secoli un surrogato della veglia pasquale perduta, nella tradizionale “Celebrazione della risurrezione” nel primo mattino della domenica di pasqua, prima che iniziasse la prima messa. Dubbio sembra anche il tentativo, considerando i frequentatori della messa solenne del giorno di pasqua, che non hanno partecipato alla celebrazione notturna, di riprendere in tale messa alcuni elementi della veglia. Non tutto ciò che piace a prima vista è la conclusione più sapiente (liturgicamente). I vespri di pasqua formano la significativa conclusione del Triduo pasquale.

b) Il tempo pasquale (pentecoste)

Come le grandi feste abbiano bisogno di un certo “tempo di risonanza” si può vedere già nel calendario liturgico ebraico, in cui 50 giorni (= sette settimane) dopo la festa di Pesach (insieme festa dei pani azimi) veniva celebrata la “Festa delle settimane” (= Shavuot) come festa della mietitura del grano e memoriale dell’Alleanza al Sinai. Corrispondentemente già il II secolo conosce il tempo pasquale dei 30 giorni (in greco Pentekoste), che secondo At 2,1 s. si compie con l’effusione dello Spirito santo promesso, il vero frutto del mistero pasquale. Le NG rimangono sul terreno della più antica tradizione quando affermano: «I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla domenica di pentecoste si celebrano nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come “la grande domenica”» (22). Espressione simbolica di questa ininterrotta gioia festiva è la prescrizione di lasciare il cero pasquale come simbolo del Signore risorto, durante i 30 giorni, davanti all’assemblea, in prossimità dell’altare, e di accenderlo durante le celebrazioni.

La prima settimana del tempo pasquale forma l’ottava di pasqua. La liturgia di questa ottava è caratterizzata non solo dal mistero pasquale, ma anche dall’attenzione per i neobattezzati, i quali nelle celebrazioni eucaristiche quotidiane venivano introdotti più profondamente nei misteri dei sacramenti dell’iniziazione da essi ricevuti (“catechesi mistagogiche”) (2). Questa settimana si chiamava un tempo, a motivo delle vesti bianche dei neobattezzati, anche “settimana in albis”, e la domenica seguente domenica in albis. L’uso di celebrare la prima comunione in tale domenica risale al sec. XVIII.

Nel sec. VII sorse la Pascha annotinum come una commemorazione annuale del battesimo ricevuto. Poiché il vero anniversario, a motivo della data pasquale oscillante, non di rado cadeva prima della festa di pasqua, si delineò infine come giorno commemorativo il lunedì dopo la domenica in albis.

Per sottolineare più fortemente l’unità del tempo pasquale le rispettive domeniche vengono chiamate ora domeniche di pasqua, e la “domenica in albis” forma la seconda, mentre pentecoste forma l’ottava domenica. I loro testi liturgici sono intensamente caratterizzati dal mistero pasquale. La tradizionale “domenica del Buon Pastore” è stata spostata dalla terza alla quarta domenica di pasqua per non interrompere i vangeli delle apparizioni del Risorto. Per il tempo pasquale sono disponibili cinque prefazi (più tre per l’ascensione), di cui solo il primo è stabilito per determinati giorni (veglia, domenica e ottava di pasqua).

Nel sec. IV sorse, il quarantesimo giorno dopo pasqua, la festa dell’Ascensione, soprattutto ispirata ad At 1,3. «I giorni dopo l’ascensione, fino al sabato prima di pentecoste, preparano la venuta dello Spirito santo» (NG 26). In questo modo la novena di pentecoste formatasi nel clima della pietà popolare è accolta anche nella liturgia ufficiale.
Il cinquantesimo giorno dopo pasqua = Pentecoste (dal greco pentekoste = cinquantesimo, sottinteso giorno), è la conclusione del tempo pasquale. Sempre più, tuttavia, si vide in essa la festa autonoma dell’invio dello Spirito santo, le si diede una propria ottava e in certe parti della chiesa un secondo e un terzo giorno festivo, e si parlò di un proprio ciclo di pentecoste. La riforma liturgica postconciliare si preoccupò di collegare di nuovo più saldamente questo giorno a pasqua. Cade così anche l’ottava di pentecoste e nei testi liturgici si fa di nuovo fortemente riferimento a pasqua (colletta e prefazio). La sequenza Veni, Sancte Spiritus è stata mantenuta obbligatoria per pentecoste. Nei luoghi dove i fedeli partecipano numerosi alla messa nel lunedì e martedì di pentecoste si riprende la messa della solennità o si dice una messa votiva dello Spirito santo.

Il nuovo ordinamento ha soppresso questa processione penitenziale perché basata su un uso locale romano.
Le Litaniae minores devono la loro origine al vescovo Mamerto di Vienne, il quale nel 469, dopo un periodo di grandi tribolazioni per il paese, ordinò nei tre giorni prima dell’ascensione processioni penitenziali e digiuni. Roma accolse queste processioni penitenziali (senza i digiuni) solo sotto Leone III (+816). Le NG le hanno mantenute e ne hanno spiegato il senso, in collegamento con le quattro Tempora, nel modo seguente: «Con le Rogazioni e le Quattro Tempora, la chiesa suole pregare il Signore per le necessità degli uomini, soprattutto per i frutti della terra e per il lavoro dell’uomo, e ringraziarlo pubblicamente» (45). Il loro assetto più preciso è lasciato alla determinazione delle Conferenze episcopali. I vescovi italiani hanno stabilito che «la prassi delle “rogazioni”, espresse sia nella forma litanica che accompagna anche le processioni da un luogo all’altro, sia nella forma di supplica nelle liturgie eucaristiche per varie necessità o in altre celebrazioni.., può essere opportunamente rivalorizzata… in momenti particolari dell’anno liturgico: a) nella settimana di preghiera per l’unione dei cristiani… b) in uno o più giorni prima dell’ascensione… c) in occasione delle esposizioni solenni annuali dell’eucaristia… d) in occasione della giornata nazionale del ringraziamento.. e) in occasione dei pellegrinaggi ai santuari… In tutte queste circostanze nella celebrazione della messa si può usare un formulano adatto scelto tra quelli indicati nelle messe per varie necessità o votive…».

c) La Quaresima

Quanto allo sviluppo storico, occorre innanzitutto riferirsi al digiuno di lutto di due giorni, il Venerdì e il Sabato
santo, che nel sec. III venne esteso all’intera Settimana santa (anche se non come digiuno pieno). Il concilio di Nicea del 325 conosce già prima del Triduo pasquale un digiuno di 40 giorni, che a Roma iniziava la sesta domenica prima di pasqua = prima domenica di digiuno. Poiché però non si digiunava la domenica e tuttavia si volevano avere 40 veri giorni di digiuno, si anticipò l’inizio di quattro giorni e si contarono inoltre anche il Venerdì e il Sabato santo. Nel sec. VI per vari motivi si attribuì alle tre domeniche precedenti una particolare importanza e si diede loro il nome (con un calcolo approssimativo) di Quinquagesima (= il 50°), di Sessagesima (= il 60°) e di Settuagesima (= il 70); le due settimane e mezza prima del Mercoledì delle ceneri formarono così una sorta di prequaresima. Non venne richiesto il digiuno, ma il colore viola delle vesti liturgiche, e l’omissione del Gloria, dell’Alleluia e del Te Deum conferì a questo tempo un carattere penitenziale .

Il digiuno della chiesa antica consisteva nel limitarsi a un pasto (la sera) e nell’astenersi dalla carne e dal vino, più tardi anche dai latticini (latte, burro, formaggio) e dalle uova. La caratterizzazione liturgico-ascetica di queste settimane era determinata essenzialmente dalle istituzioni del catecumenato (preparazione al battesimo) e della penitenza pubblica. Nel Medioevo il motivo della passione (mistica della passione) raggiunse, in rapporto alla Quaresima nel suo insieme, un’importanza maggiore.

Il nuovo ordinamento, secondo le direttive del Vaticano II (SC 109 s.), venne determinato attraverso le NG 27-31. Il tempo preparatorio alla Quaresima venne lasciato cadere; i grandi temi della Quaresima relativi al contenuto (battesimo, conversione, penitenza) e all’orientamento al mistero pasquale vennero più fortemente accentuati.

L’ingresso nella Quaresima è sempre formato dal Mercoledì delle ceneri. Il rito dell’imposizione delle ceneri fu destinato originariamente solo ai pubblici peccatori, ma dopo l’abolizione della penitenza pubblica (sec. X) venne mantenuto per tutti i fedeli. La prescrizione secondo la quale per ottenere le ceneri si devono bruciare rami di palma dell’anno precedente, risale al sec. XII. La benedizione delle ceneri si compie dopo il vangelo. L’imposizione che segue è accompagnata dalle parole di Gn 3,19 o Mc 1,15b. Il rito delle ceneri può essere compiuto anche fuori della messa come liturgia della Parola.

Le sei domeniche di Quaresima ricevono ognuna una propria caratterizzazione soprattutto attraverso il vangelo della messa.

Note

1) A. Stuiber, Von der Pascha-Nactwache zum Karsamstaggottesdienst, in KBI 75 (1950) 99.
2) Il più antico esempio conosciuto sono le omelie pasquali di Asterio Sofista, le più famose sono le “cinque catechesi mistagogiche” di Cirillo (Giovanni?) di Gerusalemme. Cfr. A. Adam, Kirchenjahr, 76 [trad. it., L’anno liturgico come itinerario di fede, 95-96].

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