La responsabilità sociale dell’impresa è oggi una priorità ineludibile per i leader aziendali in tutto il mondoCome è cambiato il modo di fare impresa dopo la grande crisi economica iniziata nel 2008? Quanto spazio ha oggi nell’agire delle aziende la necessità di fare attenzione ai temi dell’impatto ambientale e della responsabilità più ampia verso la collettività? Sono questi i temi di cui si è parlato a Roma nel convegno-tavola rotonda “Fare impresa sociale sostenibile. Realtà o illusione?” promosso dall’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti).
L’altro nome dell’economia. “E’ necessaria la costruzione di una nuova economia”: non ha dubbi Marina Migliorato, responsabile CSR (Corporate Social Responsibility) di Enel. La crisi del 2008 ha posto davanti alle imprese una sfida da vincere tra “benessere economico delle aziende e benessere dell’umanità”. Per questo da più parti si parla di “integrazione sociale dell’impresa” come una nuova visione del rapporto tra business e società e la corporate social responsability, cioè la responsabilità sociale d’impresa, è “diventata una priorità ineludibile per i leader aziendali di tutto il mondo”. Realizzando, in questo modo, “interessanti punti di convergenza con l’enciclica Caritas in veritate”. La verità è che oggi se i capi dell’impresa non tengono sotto controllo, oltre al pareggio di bilancio, anche “l’indice che misura la parte non economico-finanziaria dell’agire d’impresa attraverso strategie di governance, sostenibilità ambientale, principi etici, relazioni con consumatori e gruppi di interesse, l’impresa non può creare valore vero”. Insomma “il richiamo al rapporto tra etica e agire economico delle imprese, tra valori sociali e realtà produttiva, tra etica individuale ed etica d’impresa è più diretto oggi di quanto lo sia mai stato in passato”.
Un cambiamento radicale. “Anche se molto è stato già fatto in questa direzione – ha rilevato il direttore dell’Area ricerca e sviluppo Luiss, Matteo Caroli – occorre un cambiamento radicale da parte delle imprese” superando anche un “tema concettuale” per cui la sensibilità ambientale, ad esempio, colpendo in maniera favorevole il consumatore, serva in definitiva a “fare più profitto”. Come guida per il cambiamento può essere d’aiuto, secondo Caroli “il filone dell’economia civile che nasce nell’umanesimo e che dimostra come si possa fare impresa e produrre ricchezza in modo da beneficare tutta la collettività”. Un modo di agire che può essere sintetizzato con l’espressione “buona cittadinanza”. Occorre, quindi, capire come “l’impresa possa pensare se stessa come un buon cittadino che si fa carico del benessere della collettività secondo le sue concrete possibilità”. Da questo ripensamento nasceranno allora “nuovi modelli di business che mentre creano ricchezza progettano allo stesso tempo lo sviluppo della comunità”.
Non tutto fa impresa sociale. Se qualche impresa indossa la veste della responsabilità d’impresa come specchietto per attirare clienti, l’altro rischio in tema di responsabilità sociale e progetti di solidarietà è quello dell’improvvisazione. Lo specialista di chirurgia plastica ed estetica, Fabio Abenavoli, presidente di Emergenza sorrisi Onlus, una ong che promuove missioni chirurgiche in più di 20 Paesi del mondo con l’obiettivo di operare bambini affetti da malformazioni al volto e altre patologie, è solito rapportarsi con i responsabili di CSR di molte imprese. “Troviamo persone molto competenti – ha sottolineato – ma anche persone che non hanno nessuna conoscenza di temi come la responsabilità sociale con la conseguenza che progetti di solidarietà senza logica vengono portati avanti senza verificare la ricaduta che possono avere nei Paesi prescelti”. La finalità deve essere sempre quella, che persegue anche Emergenza sorrisi, di “creare organizzazioni locali in grado di portare avanti in modo autonomo i progetti avviati, senza sottovalutare le risorse dei Paesi in cui si va ad operare e impegnandosi a fornire know how e non a sostituirli”.
Le buone pratiche. C’è oggi una “terra di mezzo tra profit e non profit, tra soggetti economici tradizionali e non” nella quale la presenza di una pluralità di soggetti porta a riconfigurare il campo dell’agire d’impresa. Federico Mento è il coordinatore di Human Foundation: “la crisi economica – concorda – ha giocato un ruolo fondamentale nel cambiamento della visione d’impresa”. Per questo la sua organizzazione si pone l’obiettivo di “offrire un contributo non solo teorico ma anche operativo alle imprese sociali per rafforzarne la capacità di rapportarsi con settore pubblico e grandi investitori”. Così tutti i mondi coinvolti e anche distanti per molti versi come il profit e il non profit possono incontrarsi per “definire insieme le nuove strategie dello sviluppo economico ma anche sociale ed umano”.