Quando in un ambiente di lavoro, con un linguaggio quotidiano, si ascoltano espressioni come “sono scoppiato” oppure “mi sento fuso” significa che potremmo essere davanti al fenomeno del burnout.
Il termine, che letteralmente significa “bruciarsi” o “essere bruciato”. È la malattia professionale specifica degli operatori di aiuto, che colpisce soprattutto quelli più motivati e con aspettative maggiori riguardo al lavoro.
Come vedremo si tratta di una sindrome che colpisce quanti precedentemente svolgevano funzioni di aiuto al prossimo e si ritrovano sfiniti, demotivati e senza più gratificazione personale nel lavoro. Una sindrome che interessa anche il clero. Sono sei le cause di burnout individuate in uno studio svolto da autori dell’area anglosassone: sovraccarico di lavoro, mancanza di controllo su di esso, insufficiente gratificazione, venir meno del senso di appartenenza comunitario, assenza di equità percepita nel proprio trattamento, percezione di un contrasto tra i valori propri e quelli dell’organizzazione.
A volte dietro i “professionisti dell’altruismo” si nasconde l’incapacità di manifestare i propri sentimenti; o un eccesso di disponibilità; oppure un senso di impotenza che ti porta a dire “non ce la faccio più”. Anche la mancanza di gratificazione (interna ed esterna), quando ad esempio nessuno dice “grazie” può fare andare il tilt.
1. PERCHE’ SI ENTRA IN BURNOUT?
Le le cause del burnout sono molte, vanno dalla ricerca di soddisfare della propria autostima, alle difficoltà lavorative: organizzazione, ambiente fisico e sociale, mancanza di spazio, strumenti, ecc.; alle difficoltà nel gruppo di appartenenza: rapporti difficili con superiori, colleghi, utenti…
Medici, infermieri, sacerdoti, psicologi, insegnanti, assistenti sociali, volontari, impiegati sono tra le professioni più a rischio di burnout perché sono a contatto con persone bisognose di aiuto.
Gli effetti del burnout iniziano con un periodo in cui la propria autostima viene compromessa e l’identità personale ferita, si rinuncia alle proprie responsabilità professionali e il disinteresse sul lavoro cresce fino al rifiuto delle relazioni con i propri colleghi.
Le motivazioni iniziali si esauriscono, il rapporto si spersonalizza e di conseguenza si genera un fallimento professionale.
Il fenomeno segue tre stadi di sviluppo:
a) nel primo l’operatore riscontra una incongruenza tra richieste e risorse disponibili;
b) nel secondo avverte alcuni disturbi come ad esempio stanchezza, fatica psicologica, irritabilità, ecc.;
c) nel terzo l’operatore entra in uno stato depressivo che può manifestarsi attraverso atteggiamenti di cinismo, rigidità, distacco emotivo verso gli utenti.
Tuttavia le conseguenze del fenomeno non sono solo personali; oltre alla propria salute viene coinvolto anche l’ambiente in cui si vive: la famiglia subisce tensioni e conflitti, nell’ambiente di lavoro diminuisce la qualità delle prestazioni.
A rischio di burnout sono coloro che confondono il coinvolgimento personale con quello professionale compromettendosi senza un’adeguata lettura della realtà, delle risorse e degli aiuti di cui può disporre. In burnout entra, infatti, chi perde il controllo della situazione professionale che svolge.
Certamente i ritmi e i sovraccarichi di lavoro a cui l’uomo contemporaneo è sottoposto, con le dinamiche spesso di concorrenza e di conflittualità che si vivono negli ambienti professionali, concorre a determinare il burnout, tuttavia rimangono centrali le dinamiche psicologiche ed etiche implicate nelle relazioni di aiuto.
Vivere con gente che soffre implica un grande coinvolgimento psichico e il coinvolgimento può rendersi difficile quando si creano identificazioni o le proprie difese entrano in crisi.
Ci si trova esposti ad una serie di problemi psicologici difficili da gestire a causa di una inadeguata formazione o per la mancanza di un referente a cui rivolgersi che faccia da sostegno e da supervisore.
Le facili soluzioni rischiano però di peggiorare la situazione.
In genere si cerca una terapia, pensando che la natura del problema sia solo personale, altri invece cercano un lavoro in cui non ci si debba relazionare, altri ancora si creano hobby totalizzanti, mentre c’è chi si rifugia nell’alcool o nella droga per tentare di allontanare il problema.
2. SINTOMI DEL BURNOUT
i) Sintomi premonitori: iperattività, sensazione di indispensabilità, negazione dei propri bisogni, contatti sociali limitati, mancanza di tempo libero
ii) Riduzione dell’impegno verso il cliente, delusione, sensazione di scarso riconoscimento.
iii) Depressione e aggressione (“Quando passerà questa giornata”, ecc.)
iv) Declino dell’efficienza: cognitiva (disorganizzazione), della motivazione e della creatività
v) Appiattimento della vita emotiva (indifferenza), sociale (isolamento) e psichica (noia)
vi) Reazioni psicosomatiche: disturbi del sonno, incubi, problemi sessuali, ipertensione, disturbi digestivi…
vii) Disperazione: atteggiamenti verso la vita, idee suicide, perdita di senso…
3. QUALI VIE PERCORRERE?
Per la cura del burnout è importante conoscerlo e la sua prevenzione comincia già nel momento formativo. Le strategie per risolverlo o prevenirlo devono focalizzarsi “contemporaneamente” sull’individuo, sulle sue motivazioni, sulla sua preparazione, sul contesto lavorativo e sulle relazioni interpersonali.
La cura del burnout può essere sintetizzata in due imperativi etici: “conosci te stesso” e “cura le tue relazioni”.
È necessario comprendere le motivazioni, le aspettative e le ragioni che spingono a vivere una professione di aiuto.
Per questo motivo oggi si pone l’attenzione sulla valutazione che la persona fa di ciò che gli sta capitando, delle forze di cui può disporre, delle strategie di coping (“fronteggiamento”) che può mettere in atto e della possibilità di poter o meno influenzare il corso degli eventi della propria vita.
Ma ci sono anche fattori organizzativi da valutare e sui quali lavorare incisivamente. Molto spesso bisogna chiarire compiti e ruoli, modificare l’ambiente di lavoro o il proprio modo di lavorare. Nelle professioni di aiuto è particolarmente importante lavorare sulla competenza relazionale e comunicativa nella quale sono comprese risorse cognitive, affettive e comportamentali.
Secondo Luciano Sandrin questa competenza aiuta a saper stare nella relazione, ad essere attenti all’interezza esperienziale e comunicativa dell’altro, sapendone leggere anche gli aspetti simbolici, senza fughe ma anche senza indebite “con-fusioni”.
Ma cosa vuol dire aiutare l’altro senza bruciarsi? Il burnout richiede di lavorare su ideali e su aspettative che altri hanno o che noi stessi coltiviamo sul nostro lavoro. Significa definire meglio il proprio ruolo, “negoziarlo” con coloro con i quali e per i quali si lavora, sapendolo anche adattare alle varie circostanze, mirando ad obiettivi raggiungibili (anche modesti ma concreti), rinforzando così il senso di autoefficacia e di autostima professionale.
È importante, anche attraverso interventi formativi mirati, difendere la propria capacità di pensare per non essere prigionieri della situazione e saper dare un senso al proprio lavoro, riscoprendone il valore. Sono utili spazi di condivisione nei quali il gruppo, sotto la guida di un supervisore, possa diventare un contesto accogliente, luogo di sostegno, d’identificazione ed elaborazione.
Per sentirsi realizzati nel proprio lavoro, c’è bisogno di rivedere e rielaborare la propria immagine di “aiutante”, adattandola ai vari ambiti di lavoro, abbandonando l’immagine di “guaritore onnipotente” per fare propr
ia quella del “guaritore ferito”, di colui che sa di non poter curare le ferite dell’altro senza riconoscere e curare le proprie ferite, trasformando i suoi limiti e le sue sofferenze in fonte di guarigione. La cura della relazione è la via da seguire affinché il rapporto con l’altro rimanga empatico, nel senso di essere capaci di gestire le emozioni dell’altro come se fossero le proprie, ma senza farsene travolgere.
4. COME USCIRNE
È importante la condivisione di un insieme di significati e di valori morali. Il burnout non è infatti solo una conseguenza dello stress; la causa vera infatti è la mancanza di un senso e di un significato delle cose che si vivono e si fanno.
Questo fenomeno ha in sé elementi di provocazione etica importanti per tutti i soggetti protagonisti della relazione: prendersi cura dell’altro presuppone un “dover” prendersi cura di sé e dell’ambiente in cui la relazione di aiuto si sviluppa.
E questo perché uno dei principi-base dell’etica della cura, “il far del bene all’altro”, lo si può vivere – senza essere a rischio di burnout – solo a partire da un proprio equilibrio.
In concreto, inoltre, gli studi più autorevoli propongono quattro obiettivi da perseguire: diminuire la componente onirico-idealista rispetto al proprio lavoro, riconducendo le aspettative alla realtà; evidenziare i valori positivi della professione; coltivare interessi al di fuori dell’ambiente lavorativo per poter allargare le proprie esperienze; lavorare in compagnia con altre persone per condividere la gioia e la fatica della stessa professione.
Tuttavia il fenomeno va prevenuto anche a livello sociale. Spesso in molti ospedali, provveditorati e aziende si ignora il burnout perché si ritiene sia un problema del singolo, che non incide realmente nell’organizzazione del lavoro, su cui non si possa fare molto. Il burnout invece dovrebbe essere preso in seria considerazione perché non è solamente un problema personale e perché danneggia il rendimento finale.
Il burnout ha costi alti, anche economici per gli stessi enti cui appartiene chi ne è colpito, e il gran numero di lavoratori dei Paesi occidentali a tecnologia avanzata che soffrono di questo “bruciarsi emotivo”, indica un chiaro collegamento tra burnout e l’attuale cultura del lavoro.
Sono poi le buone relazioni e amicizie, capire il proprio ritmo di lavoro e gestire bene il tempo libero ad essere le medicine che guariscono.
Per saperne di più:
SANDRIN LUCIANO, Aiutare senza bruciarsi. Come superare il burnout nelle professioni di aiuto, Paoline, Milano 2004.
SANDRIN LUCIANO, Compagni di viaggio. Il malato e chi lo cura, Paoline, Milano 2000.
FRANCESCO OCCHETTA, Burnout, in Aggiornamenti Sociali , 2005. (Il testo è un estratto dell’articolo e presenta alcuni aggiornamenti).