Le beatitudini assumono nel vangelo di Matteo il valore di una Magna charta
Le beatitudini, presenti anche nel vangelo di Luca (6,20-23), assumono nel vangelo di Matteo il valore di una Magna charta. Esse acquistano un’importanza eccezionale e una rilevanza preminente all’interno dell’insegnamento di Gesù non solo perché sono collocate come un frontespizio nel primo dei cinque grandi discorsi (Mt 5,1-12), ma anche perché la loro forma, la loro scansione ritmata, e principalmente il loro contenuto fortemente evocativo rendono il testo di particolare incidenza per il lettore.
All’interno del vangelo di Matteo le beatitudini costituiscono il primo insegnamento di Gesù. I discepoli, dopo essere stati chiamati da lui a seguirlo per una comunione di vita e per la missione (14,18-22), risultano gli uditori privilegiati del suo insegnamento, poiché essi vengono descritti più vicini a lui e distinti dalla folla nell’ascolto della sua parola: «Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i discepoli» (5, 1). Tuttavia il discorso non è diretto esclusivamente al gruppo più ristretto dei discepoli, ma a tutti. Le folle nell’ascoltare, ma soprattutto nel vivere il discorso della montagna che ha come parte iniziale le beatitudini, entrano anch’esse a far parte del gruppo dei discepoli.
La beatitudine
Le beatitudini evangeliche affondano le loro radici religioso-spirituali nelle proclamazioni di esultanza che si ritrovano nella tradizione biblica, sia testi storici che profetici, ma particolarmente nei sapienziali e nei salmi (25 volte).
Si incontrano beatitudini che sono delle dichiarazioni di felicità umana: «Lia disse: "Per mia felicità! Perché le donne mi diranno felice". Perciò lo chiamò Aser» (Gn 30,13), o di esultanza spirituale: «Tu beato Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore?».
Ciò che colpisce nel confronto tra le beatitudini dell’Antico Testamento e il testo matteano è la forma "seriale" di quest’ultimo. Sebbene nella tradizione biblica si ritrovino delle beatitudini multiple (Sal 84,4-5; 119,1-2; 128,1-2; Sir 14,1-2; 25,8-9), non si riscontra mai una sequenza così numerosa di dichiarazioni di felicità come nel testo del primo vangelo.
Il termine "beatitudine" è sinonimo di quella suprema felicità e realizzazione di se che la persona ottiene quando viene raggiunta dall’ azione di Dio che si manifesta nel vangelo attraverso la persona e la missione di Gesù: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono» (Mt 13,16-17).
I poveri in spirito
Il destinatario della prima beatitudine è un gruppo caratterizzato come «i poveri in spirito». L ‘espressione, così com’è riportata nel testo di Matteo, non si riscontra né nell’ Antico né nel Nuovo Testamento.
La tradizione biblica per indicare il «povero» utilizza diversi termini (‘āni; dal; ‘ebjōn; râsh; mišken) che acquistano il loro valore a seconda del contesto e possono definire una povertà sia materiale che psicologico:spirituale. Nell’ esperienza biblica i poveri assumono un ruolo non certo irrilevante. Essi sono i destinatari della misericordia di Dio che si rende presente attraverso l’attenzione dei propri connazionali; ne sia un esempio il precetto, forse ideale, dell’anno sabbatico: «Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo» (Es 23,10-11; cf Lv 19,9; Dt 15,7-11).
Prendendo in considerazione la Bibbia greca (LXX) incontriamo il termine «povero» (ptōchôs) sette volte nei salmi (24,16; 39,18; 68,30; 69,6; 85,1; 87,16; 108,22), Si tratta sempre di un’affermazione del salmi sta sulla propria situazione: «Volgiti a me e abbi misericordia, perché sono solo e povero» (24,16), Il riconoscimento della propria miseria introduce e motiva la richiesta dell’aiuto di Dio o il ringraziamento per averlo ottenuto. La situazione di povertà non è data tanto dalla mancanza di mezzi materiali, quanto da circostanze di seria minaccia per la vita dell’uomo a causa dei nemici o de peccato. L’affermazione della propria povertà dimostra che colui che parlane è consapevole; perciò nell’invocazione salmica esprime il bisogno dell’aiuto di Dio e quindi la dipendenza da Lui.