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Chiesa
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L’insegnamento del Messia

Jesus Christ (statue) – it

Midiman / Flickr / CC

Dimensione Speranza - pubblicato il 11/04/14

Gesù pensa e si esprime per mezzo di immagini concrete che preferisce alle affermazioni generiche o astratte

Si dice: "lo stile fa l’uomo". Qual’è dunque lo stile dell’insegnamento di Gesù?

In gran parte esso si esprime sotto forma di espressioni brevi, frizzanti, spesso allusive e talvolta enigmatiche, tinte di ironia e paradosso.

Da quest’insieme di detti traspare un pensiero rapido ed immediato, che va subito al sodo senza giri di parole. Gesù pensa e si esprime per mezzo di immagini concrete, che preferisce alle affermazioni generiche o astratte. Così, anziché dire: "la carità non si deve ostentare" Egli dice:"quando fai l’elemosina, non annunciarla con squilli di tromba" (Mt 6,2), sfiorando la comicità; e a volte arriva al grottesco: "perché guardi la pagliuzza nel’ l’occhio di tuo fratello, e non ti accorgi della trave che hai nel tuo" (Mt 5,23-24).

Le parabole costituivano una forma letteraria cara ai rabbi dell’epoca, ma tutte quelle che troviamo nei vangeli sono imperniate su aspetti familiari della vita umana, resi in forma concisa e con un costante realismo. Le parabole riflettono un vasto arco di osservazioni acute. Gesù ha saputo osservare con simpatia, senza cadere nel sentimentalismo, a volte con un pizzico di umorismo, il comportamento umano (l’affetto del padre per il figlio scapestrato, la dedizione del pastore per il proprio gregge, l’uomo che di notte si alza per aiutare il vicino, ma anche per fare cessare il baccano).

Anche l’ironia è presente: il servitore disonesto che si assicura il proprio avvenire; vi sono anche situazioni che sembrano solo indicare forme di buona creanza: il posto a tavola nel banchetto nunziale. La morale di norma è stata aggiunta dal redattore dell’evangelo, infatti fa parte dello stile di Gesù lasciare che la gente scopra da sola le implicanze contenute nelle sue parole.(Le 14,8-11;Mt 5,25-26).

Il sottinteso è che tutti i livelli dell’esistenza, dal più umile al più elevato, si assomigliano. I principi dell’azione umana, così come i processi della natura, sono legati ad un ordine universale stabilito dal Creatore, che chiunque può riconoscere ad ogni livello, se ha occhi per vedere e orecchie per intendere. Non vi è circostanza nella vita quotidiana tanto banale da non poter servire come immagine dei valori ultimi, non vi è verità così profonda che non se ne possa trovare il parallelo nell’esperienza comune.

Un esempio dell’amorosa osservazione della natura e della vita umana la troviamo in Mc 13,24-26. Le immagini qui utilizzate rispecchiano la struttura mentale dell’epoca, e non hanno, rispetto ad altri profeti del tempo, nulla di originale; l’originalità sta nel modo in cui sono state applicate e nel significato loro attribuito. 

Carattere distintivo è il realismo delle parabole

L’autore delle parabole doveva avere un interesse genuino per gli uomini ed una particolare capacità di entrare in contatto con gente diversa: notabili, sacerdoti, romani, gente comune e anche pubblicani. Criticato per quest’ultima compagnia Gesù risponde con mordente ironia: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". Un elemento importante della terapia era la sua amicizia. I sofferenti nello spirito e nel corpo lo attiravano; avevano bisogno di aiuto, e lui poteva darlo.

L’atteggiamento di Gesù verso i malati era compassionevole, con la carica di simpatia che emanava, ma anche con la forza che percepivano in Lui, ispirava nei pazienti una nuova fiducia: la fede, un termine che nei Vangeli racchiude la fiducia nella bontà di Dio e il coraggio e la sicurezza che ne derivano. (Mc 9,22-24). In questo passo Marco racconta cosa poteva fare Gesù per quanti si trovano sull’orlo della disperazione; l’apparente illogicità della risposta del padre è illuminante: "Ho fede; aiutami nella mia incredulità". Altrove, difronte ad un uomo che si dispensava dal reagire alla sua infermità crogiolandosi nel risentimento, dice: " Vuoi guarire? allora levati, prendi il tuo giaciglio e cammina". Pietoso, certamente, ma energico al tempo stesso.


La sua simpatia era particolarmente intensa verso quanti erano oppressi da un senso di colpa che li rendeva incapaci di reagire. Quando afferma: "ti sono rimessi i tuoi peccati", ecco tornare il rispetto di sé, ecco liberarsi una nuova energia morale. Con questo Egli non ; tendeva suggerire che il senso di colpa fosse una semplice illusione patologica né che i suoi pazienti si preoccupavano senza motivo, ma accettare il perdono implicava riconoscere una regola morale da cui ci si era allontanati e l’intenzione di prendere una strada migliore.

Nell’episodio della donna adultera Gesù conclude: "Nemmeno Io ti condanno: va, e d’ora in poi non peccare più" (Gv 8,2-11). Il sentimento di compassione nei confronti della donna non è meno marcato dello sdegno nei confronti dei suoi accusatori, ma la severità dell’ultima frase elimina ogni dubbio di "permissivismo". Quando egli afferma che i pubblicani e le prostitute sono soggetti più promettenti che non gli scribi e farisei, va inteso nel senso che i primi erano esenti da quella odiosa compiacenza di sé tipica dell’individuo che sa di essere religioso e si ritiene quindi autosufficiente. I secondi, invece, erano disposti ad essere curati dal medico.

Incontrare Gesù doveva essere una esperienza formidabile, tanta era la simpatia che ispirava e la sensibilità che mostrava verso quanti avevano bisogno di aiuto.

Verso i singoli troviamo molteplici esempi nei quali le persone riconoscevano la sua autorità e vi si sottomettevano: "ti sono rimessi i tuoi peccati", le "vocazioni" dei discepoli che abbandonano tutto per seguirlo.

Verso le masse si ripetono i fenomeni verificatisi coi singoli; interessanti sono due casi nei quali Gesù si trova difronte a della gente non disposta a simpatizzare con Lui, ciò nonostante Egli si impone con la sua autorità: quando disperde pacificamente la folla che lo vuole capo della propria rivolta e quando scaccia i mercanti dal tempio.

Gesù ci insegna anche una forma di didattica: chi ha posto il problema è costretto a trovare la riposta attraverso un nuovo cammino. Nelle parabole i presenti sono invitati a formulare un giudizio su una situazione fittizia, per applicarlo poi alla vita reale. Lc 10,25-37: "va e anche tu fà altrettanto"

La conclusione è perentoria, ma chi ha posto il problema è stato gradualmente condotto ad individuare la soluzione coinvolgendosi personalmente. In questi casi, l’autorità di Gesù si manifestava nel condurre le persone, forse contro la loro volontà, fino al punto in cui esse dovevano assumersi la responsabilità di una decisione. Autorità sì, ma che rispetta la libertà individuale.

Gesù propone di fare….

se qualcuno si rifiuta di agire di conseguenza 

egli lo lascia semplicemente a se stesso.

L’autorità di Gesù è priva del supporto di una posizione ufficiale o del prestigio della tradizione, per non dire dello spauracchio rappresentato dalle sanzioni legali o dal ricorso alla forza. Evidentemente scaturiva da una qualche indefinibile qualità personale di Gesù. Alla domanda "con quale autorità fai questo?" Egli non risponde che in termini evasivi,facendo intendere che la sua risposta sarebbe stata inutile, se chi la sollecitava non sapeva darsene una da sé. Anche su persone estranee al proprio ambiente Gesù provoca impressione Mt 8,5-10; Lc 7,2-9; ma ancora più notevole è il fatto che Gesù sembra aver dato ragione all’ufficiale, e ciò si può comprendere soltanto nel senso che Egli esercita l’autorità stessa di Dio semplicemente perché gli obbedisce senza riserve.

La reticenza che gli altri evangelisti mantengono su questo argomento riflette, con ogni probabilità, un riserbo osservato da Gesù stesso e che dobbiamo considerare come una sua caratteristica. Tornando sul concetto dell’obbedienza su citato non può sfuggire il senso di dedizione ad una missione, profondamente compenetrato in Lui e che talvolta costituiva un tremendo fardello (Lc 12,49-50). Nonostante la sua disponibilità al contatto con gli altri, la sua missione lo isolava dagli altri uomini (Mc 9,19; Mt 11,27; Lc 10,22). Gli ultimi due passi iniziano con una confessione di profonda solitudine che sempre più caratterizza la vita di Gesù. Egli non ha trovato nessuno che lo conoscesse veramente, nemmeno tra quelli che gli sono più vicini; ma vi è Qualcuno che lo conosce: Dio, suo Padre. E nella stessa maniera intima e personale anche lui conosce Dio.


Di cui sembra legittimo supporre

gli provenisse la forza del suo agire.

E’ la dedizione suprema alla sua missione,

ed è la chiave di tutto.

L’interesse degli Evangelisti punta non tanto sulla manifestazione terrena e umana di Gesù, quanto piuttosto sul Cristo della Gloria. Quindi essi descrivono la sua vita terrestre solo in funzione del suo carattere celeste e lo fanno con semplicità senza intenzione di glorificare.

Per conoscere effettivamente Gesù dobbiamo pertanto acquisire anche il suo aspetto psicologico, la sua vita e la sua struttura intima.

La sua nascita cade nell’autunno dell’anno settimo prima della nostra era volgare e la sua crocifissione sarebbe da fissarsi al 7 aprile dell’anno 30, quindi egli aveva 37 anni, e se si accetta la durata di tre anni per la sua attività pubblica, doveva averne 34 quando lasciò la casa paterna.

La fisionomia di Gesù doveva esercitare un fascino irresistibile. Un giorno una donna si lasciò sfuggire un grido di lode: "beato il grembo che t’ha portato, e il seno che ti ha nutrito" Lc 11,27; Gesù risponde: beati quelli che ascoltano la parola di Dio" (11,28) dimostrando che la donna aveva di mira non solo i pregi dello spirito, ma anche quelli del corpo di Gesù.

Altri asseriscono che aveva un corpo deforme (Origene ed altri monaci greci ed egiziani) rifacendosi semplicemente sull’esegesi dogmatica d’un passo di Isaia, e tale interpretazione venne diffusa dalla concezione neoplatonica (ancora diffusa oggi) del periodo ellenistico che considerava il corpo indegno dell’uomo, come prigione dell’anima. Temevano che un corpo ben formato fosse opera del demonio. L’occhio di Gesù doveva suscitare vivissima impressione: il suo sguardo era fiamma stimolo, castigo. Lui stesso lo dice: "L’occhio tuo è la luce del tuo corpo. Se l’occhio tuo è limpido, tutto il tuo corpo sarà nella luce" (Mt. 6,22) e Marco dice "ed Egli li fissò e disse" in molti passi del suo vangelo.

Ad un dignitoso aspetto esterno doveva aggiungersi la impressione prodotta dal portamento sano, vigoroso, equilibrato di Gesù. Egli era un uomo avvezzo alla fatica, resistente, sano e robusto a differenza di altri celebri fondatori di religioni: Maometto affetto da tare ereditarie e scosso nel sistema nervoso; Buddha snervato e stanco della vita.

Il suo corpo doveva essere indurito e resistente alla fatica: "Al mattino si alzò molto presto e andò in un luogo deserto a pregare" Mc 41,35; "All’aurora chiamò attorno a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici" Lc 6,13.

Un senso di freschezza e di sano vigore spirava dal suo amore per la natura. Amava i monti e il lago spesso terminava la sua faticosa giornata salendo su qualche altura o sulle rive del lago.

Ciò che reca meraviglia è che Gesù non si stanca mai: dopo aver fatto una marcia di sei ore nel deserto, superando un dislivello di mille metri, alla sera prende parte ad una cena offertagli da Lazzaro e dalle sue Sorelle.

La maggior parte della vita pubblica Gesù la trascorre all’aperto, notti comprese, spesso non c’era il tempo di mangiare, fino a tarda notte visitava i malati, discuteva per sanare le incomprensioni e l’orgoglio dei discepoli, oppure aveva scontri fisici e/o verbali con Farisei e Sadducei. Di fronte a discussioni snervanti, lotte e insidie pericolose Gesù non si è mai ritirato e sempre lo vediamo come nella notte, in mezzo al lago in tempesta, che dorme tranquillo adagiato sul suo guanciale.

Tutto questo dimostra come non avesse un temperamento eccitabile, nervoso; invece Egli era sempre padrone dei suoi sensi: era insomma perfettamente sano.

L’uomo che non sa valutare lo straordinario e l’eroico, perché misura tutto col proprio metro della mediocrità, ha creduto e crede di dover attribuire a Gesù una anomalia psichica. I primi a spargere questa voce furono proprio i suoi parenti e poi, anche i suoi avversari Farisei.


Come dobbiamo concepire la sua struttura psichica dal punto di vista puramente umano.

Gli Evangelisti furono colpiti dalla nota dominante del suo carattere umano: la straordinaria chiarezza del suo pensiero nel fissare uno scopo, l’irremovibile fermezza della sua volontà nel raggiungerlo. In sintesi la virile fermezza nell’eseguire la volontà del Padre, che Egli aveva conosciuta ed accettata come suo incomprensibile dovere: fino al sacrificio totale.

Nel suo parlare troviamo "Io sono venuto…", "non sono venuto…", sono formule chiare di un "si" e di un "no". Altri esempi in Mt. 10,34;9,13;5,17;20,28; Mc.10,45; Lc 19,10;12,49.

In Lc 2,49 Gesù dimostra di sapere ciò che vuole, lo sa fin dall’inizio. Le tentazioni del demonio nel deserto o anche quelle dei suoi discepoli( Mc 8,31 ss; Mt.16,22; Gv. 6,57,-6,67) sono una vittoriosa affermazione contro la possibilità di glorificare, in modo diverso ai voleri di Dio, il suo potere messianico, di usarlo a scopi egoistici e non all’edificazione del Regno di Dio. Gesù, anche se abbandonato, continua la sua via; deciso, se occorre, a percorrerla da solo, abbandonato da tutti (Giov 6,68). E’ un uomo dalla volontà chiara, dall’azione sicura e decisa.

Gesù ha un carattere eroico e tale assoluta dedizione la esige anche dai suoi discepoli ( Mt. 2,22 "lascia che i morti …" non si tratta di morti, ma di viventi 1), dal giovane ricco (Mc. 10,21) .

Tutti sentono un timore reverenziale per il Maestro e per trovare nella loro storia qualcosa di analogo si rifanno ai grandi Profeti. Egli amava la solitudine, ma soprattutto come momento di silenzio in cui concentrava la sua forza con la quale annunciava la verità.

In contrapposizione ai momenti di silenzio non troviamo un uomo che trattiene nella calma e nel silenzio i suoi sentimenti, ma assistiamo a un vero e proprio movimento di passione ( Mt. 16,23;7,23;13,41s). Con un giudizio pieno d’ira terminano le parabole delle vergini, dei talenti, delle pecore e dei capri; la collera è presente in quelle del re verso il servo (Mt. 18,34), verso gli invitati alle nozze Mt. 22,13, del buono e del cattivo economo (Lc 12,46) o verso i mercanti nel tempio. Il mondo dei sentimenti ove nacquero tali parabole od episodi è colmo di forti vibrazioni emotive e non c’è traccia di mollezza sentimentale; presi isolatamente questi episodi possono anche sconcertare, ma non sono altro che il frutto della sua intima contrarietà, del suo senso della verità e di lealtà ferita che Lo costringono ad erompere con parole forti e severe. Gesù non cercava sotterfugi, non era un debole quando si trattava di testimoniare la verità, anche se il suo sdegno porta sempre l’impronta della più alta libertà morale.

Di Gesù non abbiamo una descrizione d’un sognatore, d’un fanatico o di un estatico che pure erano amate dalla mentalità dell’epoca ( Maometto, S. Paolo ), solo in una circostanza abbiamo una trasfigurazione (Mc. 9,2). Ma era una rivelazione non in senso soggettivo per Gesù ma oggettivo per fare superare ai discepoli l’imminente Passione, ma di quanto avvenne nell’intimo di Gesù non si fa parola.

Di certo Gesù ebbe dei momenti di estasi o partecipò a dei fenomeni sovrannaturali e di essi sappiamo solamente che Gesù non si lasciò mai impressionare rimanendo sempre padrone di sé, consapevole della sua missione; ciò esclude di trovarsi difronte ad uno spirito squilibrato od infermo.

Come si comporta Gesù nelle discussioni con i suoi avversari? Egli sa adeguarsi ad ogni circostanza: confonde i Sadducei deducendo conseguenze dal concetto imperfetto di Dio che essi avevano (Mc. 12,27), con i Farisei la sua penetrazione logica distrugge la trama di una argomentazione conforme ai canoni delle scuole rabbiniche" Mt. 22,44); difronte a complesse questioni, suscitate d’improvviso, egli riconduce il problema entro linee chiare e semplici che zittiscono gli interroganti (Mc.3,4 ; Lc. 14,5). Gesù vuole che la genuinità e la semplicità dei bambini si sostituisca al peso imposto alle coscienze dalle tradizioni degli antichi che hanno soffocato la genuina sensibilità morale e religiosa. (Mc. 9,35s;10,13ss)


Gesù possiede un finissimo dono d’osservazione, pensiamo alle sue parabole, bastano pochi tratti a presentarci nel pieno del calore contadini, pescatori, mercanti, bambini, donne, ecc.. Il pensiero di Gesù è sempre aderente alla vita, con piena coscienza s’accosta alla realtà immediata, e prende le cose come sono, non come dovrebbero essere, o come vorrebbe che fossero. Non pensa di spezzare con la violenza il quadro esterno in cui si muoveva la vita del suo popolo. Egli sa benissimo che "nessuno inserisce una giunta di panno nuovo in un vestito vecchio e che per gli uomini nuovi occorrerà un "Nuovo patto nel suo sangue".

(Mt 16,18) Promette questa chiesa solo per l’avvenire, non la fonda già con ogni sua struttura per il presente; dall’intimo dell’uomo nuovo dovrà nascere la nuova Comunità.

Lo spirito di Gesù è troppo oggettivo e troppo aderente alla realtà per compiacersi di pure ideologie, o per attendere la salvezza solo o principalmente da istituzioni o da prescrizioni nuove. Queste per Lui non sono la cosa più urgente. Nulla è più lontano da Gesù che l’idolatria delle forme o degl’inquadramenti rigidi e morti. Lo scopo supremo a cui tende non sono le forme, ma solo ed unicamente l’uomo vivente.

qui l’articolo originale

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