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Il mago di Oz e Mario Draghi

Mago de Oz – it

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Aleteia - pubblicato il 10/04/14

Draghi sarà capace di assumere il proprio ruolo di mago, per sostenere la credibilità del progetto europeo?

di César Nebot

Nel 1900, lo statunitense Lyman Frank Baum pubblicò il primo dei 14 libri che avrebbero formato la sua collezione de “Il meraviglioso mago di Oz”. Quasi quarant’anni dopo, sarebbe diventato famoso con il musical per il grande schermo “Il mago di Oz”, con Judy Garland come protagonista.

Se qualcuno non conoscesse la storia, è questa: Dorothy, una bambina di una fattoria del Kansas, si risveglia in una terra sconosciuta dopo aver trovato un riparo davanti alla minaccia di un tornado. Degli strani personaggi le dicono che il mago di Oz della Città di Smeraldo è l’unico che può aiutarla a tornare a casa. Per arrivare alla Città deve seguire la strada di mattoni gialli. Nel percorso incontra tre personaggi che vogliono far visita al mago perché li aiuti a superare i loro problemi: uno spaventapasseri senza cervello, uno uomo di latta senza cuore e un leone senza coraggio. Dopo un lungo cammino e dopo aver compiuto l’incarico affidato da Oz di lottare contro le streghe di diversi punti cardinali, scoprono che in realtà era un commediante, ma si rendono conto che ciascuno, lungo la via, ha superato i suoi limiti con i propri mezzi. Dorothy riesce poi a tornare a casa e a riunirsi con la sua famiglia. Fine della storia.

Il racconto è quantomeno curioso e piuttosto strano come favola infantile, dalla quale ci si aspetterebbe una morale un po’ più pratica e diretta. Dall’altro lato, sono significativi i riferimenti al colore dorato e smeraldo in un momento storico, all’inizio del XX secolo, in cui si consolidava il gold standard come sistema che avrebbe permesso di stabilizzare il commercio internazionale fissando il tipo di cambio tra le varie valute. Curiosamente, il nome del mago, Oz, è l’unità di misura americana utilizzata per l’oro.

Partendo dall’ipotesi che questa storia sia più un’allegoria sul sistema monetario vigente al momento che un racconto infantile, possiamo considerare alcuni aspetti interessanti. Seguire la via gialla per raggiungere la Città di Smeraldo consisterebbe nel seguire il gold standard per arrivare alla supremazia del dollaro come valuta. L’obiettivo di andare alla Città di Smeraldo perché ogni personaggio superi i propri limiti metterebbe in rilievo il ruolo centrale della Federal Reserve come fonte di orientamento delle azioni economiche attraverso la politica monetaria.

Dall’altro lato, anche il ruolo di ogni personaggio avrebbe un proprio senso. Dorothy, con il suo impegno a seguire i mattoni gialli, sarebbe la convinzione sul gold standard che conduce gli altri personaggi al proprio obiettivo. Lo spaventapasseri senza cervello corrisponderebbe al potere politico, l’uomo di latta senza cuore all’industria e il leone senza coraggio ai lavoratori e alla società in generale. In questa via del gold standard, in cui ci si aspetta che l’autorità monetaria risolva ogni problema, questi attori economici finiscono per scoprire che in realtà non è l’esistenza reale dell’oro nella Città di Smeraldo che li ha portati a migliorare, a superarsi e a coordinarsi, ma semplicemente il fatto di crederci e l’aspettativa che fosse così.

All’epoca dominava il panorama economico il Regno Unito con lo standard bimetallico come modo di stabilizzare il commercio internazionale, e si assicurava il sostegno alla sterlina con l’oro e l’argento provenienti dalle colonie. Gli Stati Uniti, dopo la febbre dell’oro, puntavano allo standard unico per sostenere il dollaro dalla Federal Reserve. Nel primo quarto del XX secolo, il gold standard si è imposto nonostante durante la I Guerra Mondiale fosse stato sospeso di fatto anche se non per legge.

Uno standard comune che faceva riferimento all’oro aveva però seri problemi. In primo luogo, il valore della moneta correva il rischio di essere alterato di fronte alla scoperta di nuovi giacimenti d’oro. In secondo luogo, di fronte a processi di crescita economica il volume monetario non poteva crescere per favorire l’efficienza degli scambi fino a che non fossero stati scoperti altri giacimenti d’oro. In terzo luogo, il sistema di parità fissa tra le valute divenne un modo perfetto perché gli impatti economici in un Paese si trasmettessero in modo efficiente al Paese vicino, come accadde con la crisi del 1929.

Con il tempo, il gold standard andò scomparendo, e con gli accordi di Bretton Woods del 1944 iniziò il cammino per svincolare le valute dalle riserve auree che si immagazzinavano nei sotterranei delle Banche centrali. I benefici del sistema dei tipi di cambio fissi riferiti al gold standard avevano dimostrato di non essere superiori ai costi, alle difficoltà e ai rischi che comportavano. Si passò dalla credibilità dell’oro a quella della capacità delle Banche centrali di influire sulle decisioni dei vari agenti economici in base al tipo di interesse. Si affermò la libera fluttuazione delle valute, ma ancora una volta non dimostrò di essere il sistema perfetto di autoregolamentazione dei mercati per attenuare le fluttuazioni di fronte alla crisi del petrolio del 1974. Di fatto, come risposta, nel 1979 si fece un tentativo di mantenere un sistema di parità fissa, questa volta con bande di oscillazione: il Sistema Monetario Europeo, anticamera dell’attuale euro, che fallì strepitosamente in un solo decennio.

Si concluse che si stava sbagliando qualcosa. Forse la stabilizzazione economica non poteva essere il risultato dell’imposizione di certi regimi di cambio, ma il contrario. Dalla stabilizzazione mediante la convergenza nel comportamento macroeconomico sorgeva un sistema di parità stabile che favoriva il commercio e rafforzava questa stabilità. Nel 1992 si firmò così il trattato di Maastricht, che imponeva una roadmap per la convergenza delle economie candidate ad appartenere alla zona euro. Per la credibilità del progetto serviva un’autorità monetaria che fosse sovranazionale perché le sue decisioni non fossero subordinate agli interessi di un solo Paese o alla discrezione della politica fiscale di ogni Governo. Nel 1997 nacque così la Banca Centrale Europea.

Fino al 2007 l’Unione Monetaria Europea si è consolidata con l’euro, ma la crisi subprime, la crisi bancaria, del debito sovrano e gli squilibri eterogenei delle economie europee hanno dato luogo alla crisi dell’euro minacciando anche la sua stessa esistenza.

Di fronte a questi ultimi convulsi sette anni, si constata sempre più il ruolo da protagonista della politica monetaria della Banca Centrale Europea anche al di sopra della politica fiscale di ciascuno dei Governi degli Stati membri. Di fatto, la “prima de riesgo” (l’eccesso del rendimento richiesto da un investitore nel momento in cui il rischio sale) delle economie periferiche non si è ridotto fino a quando Mario Draghi, il 26 luglio 2012, ha annunciato che la Banca Centrale Europea avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro e non lasciar cadere queste economie.

È sempre più rilevante per la stabilizzazione dell’economia europea e la sua competitività a livello mondiale che la Banca Centrale assuma il suo ruolo preponderante. È necessario che reagisca con sufficiente capacità e flessibilità per promuovere non solo la stabilità dei prezzi, ma anche la crescita economica dell’eurozona e difendersi in caso di eventuali guerre di valute.

C’è chi approfitta della congiuntura per buttare sul tappeto il ritorno al gold standard come sistema di stabilizzazione trascurando, in uno sfoggio di assenza di senso scientifico, le difficoltà che comporterebbe la transizione a quel sistema e dimenticando le prove del fatto che questo si
stema ha favorito una più efficace trasmissione degli impatti negativi tra Paesi nella crisi del 1929 e che l’attuale eurozona, disponendo di un sistema di parità fissa interna, sta subendo aggiustamenti seri e dolorosi che si stanno prolungando troppo nel tempo.

Tornare al gold standard sarebbe come chiedere a Dorothy di tornare sui suoi passi sulla strada di mattoni gialli solo per pensare che all’inizio del cammino si stava meglio.

La Banca Centrale Europea, e in particolare Mario Draghi, deve credere e assumere il proprio ruolo di mago di Oz, non tanto per l’oro che potrebbe immagazzinare come riserva, ma per sostenere la credibilità del Progetto Europeo e dell’euro. Solo in questo modo la diversità di attori economici della nostra vecchia Europa potrà coordinarsi e migliorare il benessere dei cittadini. Così, forse, la politica europea disporrà di un cervello, l’industria e il sistema imprenditoriale disporranno di un cuore, di una ragione del condividere, e i lavoratori saranno sufficientemente coraggiosi da difendere, esigere ed essere responsabili nei confronti dei propri diritti e doveri come cittadini europei.

Anche sel’Europa è il vecchio continente, sembra che gli Stati Uniti abbiano imparato questa lezione da molto tempo e siano in vantaggio. Il futuro del progetto europeo passa per il fatto che, lasciando da parte le voci discordanti delle streghe dei punti cardinali del racconto, Mario Draghi creda nel suo ruolo e lo eserciti con maggior chiarezza, come mago di Oz.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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