Presentato a Roma il Rapporto annuale 2014 del Centro Astalli per i rifugiati
E' dedicato al piccolo Mabruk, il bambino nato e subito affogato insieme alla sua mamma e alla pediatra e alla ginecologa che si trovavano a bordo del barcone affondato vicino a Lampedusa l'11 ottobre scorso, il Rapporto annuale 2014 del Centro Astalli per i rifugiati di Roma presentato l'8 aprile. Mabruk significa “buona fortuna” in arabo, ma il piccolo non ne ha avuto molta, così come tanti di coloro che continuano ad attraversare pericolosamente il Mediterraneo in cerca di rifugio nel nostro Paese e in Europa. E per quelli che riescono ad arrivare, le difficoltà sono spesso appena iniziate. Nel 2013 sono stati circa 21 mila i richiedenti asilo e rifugiati che si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati e 37 mila quelli assistiti in tutte le sedi territoriali dell'associazione. Al Centro Astalli, dove Papa Francesco ha scelto di fare una delle sue prime uscite a Roma, possono trovare servizi di prima accoglienza come la mensa – 102.675 i pasti distribuiti nel 2013 – e assistenza medica, legale, psicologica oltre che aiuto all'inserimento lavorativo e abitativo. In Italia, tuttavia, in materia di accoglienza non si riesce a superare la logica dell'emergenza e manca qualsiasi programmazione, anche solo per tarare il numero dei posti disponibili sulla media di quelli degli anni precedenti e i titolari di protezione si trovano spesso abbandonati a se stessi con poche opportunità di crearsi un percorso autonomo. Lo ha spiegato ad Aleteia, Berardino Guarino, direttore dei Progetti Centro Astalli.
Resta alta la richiesta di servizi e resta anche la mancanza di programmazione dell’accoglienza: è così?
Guarino: Le questioni che abbiamo sottolineato oggi sono essenzialmente due: la prima è legata al fatto che i migranti arrivano in condizioni disastrose e non per niente abbiamo avuto due naufragi tragici nel 2013. Adesso che è stata attivata l’operazione Mare nostrum va meglio, ma non bisogna mai dimenticare che le persone continuano ad arrivare attraverso dei trafficanti di esseri umani. L’altra questione è che i migranti scappano dall’Italia – la metà di quelli arrivati sono andati via – perché trovano un sistema di accoglienza poco decoroso. Soprattutto lo avvertono come poco sicuro e poiché spesso in ballo c’è il futuro dei propri figli, pensano di fare una scelta di responsabilità provando ad andare in altri Paesi che offrono di più. In realtà gli standard di accoglienza in Europa dovrebbero essere uguali per tutti. L’Italia, purtroppo, non riesce ad adeguarsi e quindi è chiamata ad una maggiore progettualità.
In questa tematica, si inserisce con proprie peculiarità, quella dei rifugiati metropolitani…
Guarino: Avviene anche in altri Paesi europei e degli altri continenti: nelle grandi città è facile trovare concentrazioni di rifugiati perché ci sono più comunità in cui inserirsi, le persone si mettono insieme e riescono in qualche modo a trovare degli edifici che danno loro ospitalità informale. Sono però situazioni molto spesso al limite sia dal punto di vista sociale che sanitario e non possiamo quindi accontentarci di prenderne atto, ma dobbiamo un po’ alla volta svuotare questo “mare” di rifugiati che ancora vive ai margini delle nostre capitali.
In Italia si parla molto di famiglia, ma forse non si pensa che anche i rifugiati hanno famiglie con le quali cercano faticosamente il ricongiungimento…
Guarino: I rifugiati hanno una opportunità rispetto ai migranti che può diventare anche un grosso limite. L’opportunità è che non devono dimostrare di avere particolari redditi e questo fattore, pur nella lentezza delle pratiche, accelera il ricongiungimento. Poi però si avverte tutto il peso economico di questa operazione soprattutto quando c’è una situazione lavorativa ancora precaria o si è appena usciti da varie terapie per ristabilire la salute fisica e mentale: avere la responsabilità di una famiglia in una città costosissima come Roma può allora rappresentare un vero e proprio shock. Occorrerebbe, almeno nel primo periodo, avere delle politiche attive rispetto alla casa, a contributi sulla scolarizzazione dei figli, a tirocini formativi: tutte cose che attualmente sono inesistenti. In effetti chiediamo ai rifugiati di trovare casa e lavoro come viene chiesto a tutti gli italiani, ma si capisce bene che le condizioni di partenza sono molto diverse.
Il Centro Astalli non ha esitato a qualificare le manovre economiche succedutesi nel tempo come “atto di vigliaccheria”…
Guarino: E' così, soprattutto quando sono stati tagliati i servizi sanitari essenziali a livello regionale che di fatto hanno ridotto la capacità di accoglienza e tagliato posti letto nei dipartimenti di igiene mentale: ne deriva che quando, ad esempio, una persona esce dall’ospedale dopo un episodio di disagio mentale acuto e non ha nessuno ad accoglierlo, finisce per strada. Così coloro che sono più vulnerabili e bisognosi sono anche quelli privi di qualsiasi rete di protezione.
Quali sono le vostre proposte?
Guarino: Il Centro Astalli chiede di adottare un atteggiamento progettuale su ogni euro speso in questo campo: bisogna sì investire sull’accoglienza, ma è necessario un piano. Allo stesso modo bisogna riempire di contenuti il “dare una protezione”: a quali diritti sociali corrisponde? Bisogna arrivare a dettagliare nel concreto: quali possibilità lavorative, quali cooperative che possono accogliere i rifugiati, quale accesso alle graduatorie per gli alloggi popolari. Al momento non esiste nulla: è tutto lasciato alla buona volontà e alle circolari interpretative. E’ tempo di codificare un po’ di più e soprattutto far sì che tutti abbiano le stesse opportunità perché ancora oggi un rifugiato che incontra l'aiuto di un ente come il Centro Astalli è più fortunato di un rifugiato che non lo incontra.