Cosa può fare un cattolico sposato civilmente che vuole regolarizzare la propria situazione ma non trova agevolazioni dall’altra parteUn lettore ha scritto ad Aleteia: “Vorrei che diceste qualcosa sulle persone che sono nate nella Chiesa cattolica, sono battezzate, hanno fatto Prima Comunione e Cresima e sono sposate, ma solo civilmente. Hanno dato parte della loro vita alla Chiesa cattolica ma non possono ricevere la Comunione o la confessione solo perché i loro coniugi non vogliono ricevere la benedizione del matrimonio…”. Il nostro esperto, padre Julio de la Vega, risponde:
È senz’altro drammatica la situazione di chi, essendo cattolico, ha contratto un matrimonio civile e con il tempo vuole regolarizzare la sua situazione… ma l’altra parte non vuole. Cosa si può fare?
Precisiamo un po’ la situazione. Tra persone battezzate, l’alleanza matrimoniale e il sacramento del matrimonio non vanno insieme, ma formano una stessa realtà. Il rifiuto del sacramento presuppone quindi il rifiuto del matrimonio. Ciò vuol dire che non si tratta semplicemente del fatto che una persona si sia sposata disobbedendo al mandato della Chiesa, quanto del fatto che non ci si è sposati. Tutto il resto deriva da questo.
Bisogna fare un’altra precisazione. Questa risposta si riferisce unicamente a quelle persone il cui matrimonio è nullo solo per questo motivo. Ciò significa che serve solo per quelle coppie che potrebbero contrarre matrimonio cattolico. Non, dunque, alle coppie in cui almeno una parte ha contratto matrimonio canonico con una terza persona, o è impossibilitata a contrarre matrimonio canonico per qualsiasi altro motivo. Vuol dire anche che c’è stata una vera volontà matrimoniale.
Detto ciò, passiamo alla domanda: si può rimediare? Con la legge in mano sì, ma nella pratica ci sono delle difficoltà. Mi spiego.
Se, come ho detto in precedenza, si tratta di soggetti che potrebbero sposarsi per la Chiesa e ci troviamo di fronte a una vera volontà matrimoniale – non ci sarebbe, ad esempio, se ci fosse il rifiuto di avere figli –, allora l’unica cosa che rende nullo il matrimonio è la mancanza di forma canonica (la cerimonia, per intenderci).
Per i casi di nullità per errore di forma, è prevista la possibilità di un mezzo di convalida chiamato “sanazione in radice” (canone 1161). Per questi casi si esige che le parti perseverino nel consenso (canone 1163), e che sia probabile che vogliano continuare a perseverare in esso (canone 1161). Non si richiede, invece, che lo sappia l’altra parte, anche se in questo caso si esige che lo motivi una causa grave (canone 1164). In genere la realizza il vescovo (potrebbe essere anche la Sede Apostolica – Roma, per intenderci), con un mezzo che inizia con la richiesta dell’interessato (canone 1165).
Le difficoltà derivano dal fatto che molte persone non capiscono che la situazione si può risolvere in questo modo. Personalmente (non escludo che ce ne siano altri), ho visto due tipi di argomentazioni in questo senso. Il primo dice che una cosa è che ci sia un vizio di forma – per cui è prevista la sanazione – e un’altra che, come in questo caso, non ci sia alcuna forma, perché non è stata celebrata la cerimonia. Mi sembra un’argomentazione inappropriata, perché dal momento in cui si è espresso esteriormente un consenso c’è già una forma, per quanto possa essere elementare.
La seconda argomentazione segnala che non ci può essere un sacramento senza la sua celebrazione. Suona più convincente, e fondamentalmente è così, ma nel matrimonio la celebrazione consiste essenzialmente proprio nell’espressione del consenso, anche nella celebrazione canonica. Chi difende un’argomentazione di questo tipo sembra dimenticare la peculiarità del matrimonio cristiano, che non consiste in un sacramento aggiunto al matrimonio, ma nel fatto che il matrimonio stesso si trasforma in sacramento e ha effetti sacramentali. Per questo credo che non sia appropriata nemmeno questa.
In realtà c’è un terzo tipo di argomentazione, per la quale se si ammette una sanazione come quella qui contemplata si presuppone una sorta di ribasso pubblico del valore del matrimonio canonico. Anche se questo fosse vero, ad ogni modo, un’argomentazione di convenienza non può prevalere sul diritto. Chi pensa così può chiedere di modificare il Codice di Diritto Canonico per lasciar fuori dalla sanazione in radice questa ipotesi. Ma finché la legge lo permette, non può negarsi per questa ragione. Ciò che è vero è che chi si avvale di una sanazione di questo tipo ha il dovere morale di non essere causa di scandalo, ovvero di spiegare a parenti e conoscenti che se si accosta, ad esempio, alla Comunione eucaristica è perché ha regolarizzato la propria situazione. Detto in poche parole: che già è sposata/o per la Chiesa.
Ad ogni modo, bisogna aggiungere che questi casi sconcertano più di una curia diocesana. E il risultato è che ci sono diocesi che la ammettono e altre che non lo fanno. Cosa si può fare in quest’ultimo caso? Visto che il diritto afferma che la sanazione può essere concessa sia dalla Sede Apostolica che dal vescovo diocesano, penso che si possa fare richiesta alla prima, attraverso la nunziatura corrispondente.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]