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Aprirsi all’altro, un imperativo per il cristiano

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padre Renato Zilio - pubblicato il 04/04/14
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I responsabili della Pastorale dei migranti delle grandi città d’Europa si incontrano a ViennaDa noi, i fiori a un uomo si offrono solo sulla tomba”, mi soffia dietro Paola, mentre vater Martin, parroco cattolico, presenta all’imam Senad Kusur un bel mazzo di rose rosse. È per la sua accoglienza fraterna, sorridente, nella moschea bosniaca Hippgasse del centro città, seguita da un abbraccio che commuove. Gesto che si fa insegnamento, quando parte da due leader religiosi. A Vienna, grande città multiculturale e multireligiosa, si assiste a miracoli come questo. O come quello di veder partire insieme da qui un giovane imam bosniaco e un prete cattolico per incontrare le comunità religiose miste, cristiane e musulmane, di Sarajevo e di Mostar, qualche mese fa. Assiste, stupito, il nostro gruppo, una ventina di responsabili della Pastorale dei migranti nelle grandi città europee, come Milano, Torino, Basilea, Bruxelles, Parigi, Barcelona…

Più tardi, nella cripta della chiesa di S. Canisio, con il vescovo ausiliare Franz Scharl una piccola assemblea locale celebra fraternamente con noi tra lingue e canti differenti. Unico il messaggio: aprirsi all’altro è fondamentale per un cristiano. “L’ospitalità è la strada della verità”, ripeteva Louis Massignon, noto islamologo. Nelle sale accanto una cena tipica è preparata da un gruppo di giovani rifugiati, afgani e iraniani. Si ascolta il loro cammino di catecumenato cristiano, il loro coraggio di vivere, la forza di resistere. “Siamo nati in mezzo al sangue e alla guerra” dice uno di loro, “ma Dio soffre con noi”. Guardandoli, commenta a bassa voce in francese Brigitte: “Ecco delle vite da ricostruire, per davvero! Dovranno imparare un’altra lingua, una fede, un modo di vivere, delle tradizioni differenti, soli, a migliaia di chilometri da casa.” Ma con il cibo si assapora anche il senso della loro vita: un’autentica sfida.

Articolato con questi incontri speciali, il meeting annuale vissuto dal 16 al 19 marzo presenta come titolo: “Le migrazioni e l’incontro delle religioni: una sfida per la pastorale”. Si è rivelato, in fondo, un laboratorio di comunione e di rispetto dell’altro nel suo aspetto più misterioso e originale: la propria credenza religiosa. Nel capire ormai la necessità di vivere i tempi di domani, quelli della fratellanza e del “dialogo profetico” come lo definiva con successo un relatore, “al servizio della vita”.

Ogni mattino degli esperti di teologia o di missiologia, infatti, come Richard Potz, Hubert Weber, Franz Helm… danno delle piste concrete basate sulla Bibbia o la riflessione teologica. Poi, si snoda il racconto di ogni città: come la gente emigrata, nel suo contesto quotidiano, sa farsi presenza, intreccio, indifferenza o incontro di religioni differenti. Esempi concreti, appassionanti, di uomini di oggi, che sanno apprezzare spesso o costruire perfino con l’altro, totalmente differente, – come ci testimonia qui un giovane imam – il suo rapporto con Dio. Scoprendone sempre più il volto di una trascendenza ineffabile. O di una concretezza, che sa farsi gesto di empatia con altre tradizioni religiose. Come la preghiera fatta assieme, musulmani e cristiani, di fronte ai migranti morti in mare, nell’Estrecho de Gibraltar. O l’interreligious walk, marcia comunitaria ai più vari luoghi di culto nei quartieri di Londra, con l’organizzazione Interfaith. Sì, le religioni sono sentieri diversi che salgono in modi differenti la montagna di Dio. “Non importa che vai piano, l’importante è che non ti perdi mai” scandisce un proverbio iraniano in un video della festa dei popoli di Merano. Mentre padre Francisco ricorda con semplicità una verità disarmante: “Todos somos buscadores de Dios”(tutti siamo alla ricerca di Dio).

Così, il prossimo anno, l’appuntamento del gruppo dei responsabili della Pastorale delle migrazioni nelle grandi città d’Europa non si farà, come era previsto, nel contesto grandioso dell’Esposizione universale di Milano. Ma nella diocesi di Cadiz e Ceuta, in Spagna. Ai bordi del Marocco. Perché, in fondo, oggi per davvero – nell’era missionaria di papa Francesco – Dios espera en la frontera. Sì, Dio ci attende alla frontiera. In tutti i sensi.